Cosa c'è sotto il caso Acerra
14.09.04
Per dire come dovrebbe funzionare un corretto sistema di smaltimento dei rifiuti urbani, c'è poco da improvvisare. Occorre in primo luogo operare per la riduzione dei rifiuti prodotti. Poi, tra un terzo e la metà dei rifiuti - carta, vetro, alluminio, plastica, frazione organica - va recuperato con la raccolta differenziata e avviato al riuso e al riciclaggio, una quota residua va bruciata per ricavarne energia, ciò che resta (rifiuti inerti e inoffensivi) va collocata in discarica. Questa ricetta vale anche per la Campania, dove perciò è necessario realizzare alcuni impianti di termovalorizzazione che vanno costruiti in aree industriali, preferibilmente vicino alle città dove si producono più rifiuti: e Acerra, per l'appunto area industriale, è tra i siti «candidabili».
Acerra, però, è oggi molto di più di una delle tante vertenze italiane che vedono gruppi di cittadini opporsi, con metodi più o meno condivisibili, alla realizzazione di un impianto considerato dannoso per l'ambiente e la salute. E' divenuta un simbolo, il simbolo della malagestione dei rifiuti nell'Italia del Sud. E allora è bene andare a guardare cosa vi sia dietro questo simbolo. C'è, intanto, il fallimento della stagione ultradecennale della gestione straordinaria, commissariale, dei rifiuti in quasi tutte le regioni meridionali. Una scelta nata all'indomani di Tangentopoli, allora largamente giustificata dal rivelarsi di un sistema di gestione dei rifiuti sistematicamente illegale e molto spesso criminale: ma un passaggio con tali caratteri di eccezionalità non può durare dieci anni, o serve a creare in breve tempo le condizioni per una gestione ordinaria, efficiente e, naturalmente, legale del ciclo dei rifiuti, oppure ha fallito. E ha fallito, non c'è dubbio: nel Sud la raccolta differenziata resta ai minimi termini e le ecomafie rimangano stabilmente in campo nel business dei rifiuti.
Dietro Acerra c'è poi la latitanza delle istituzioni: sembra incredibile ma in Campania come in Puglia, i «commissari» si sono lavati le mani delle scelte di localizzazione dei nuovi impianti, delegandole alle ditte assegnatarie dei relativi appalti. Proprio nel caso del termovalorizzatore di Acerra, questa assenza della politica ha mostrato più che altrove i suoi frutti avvelenati: nessuna preliminare valutazione d'impatto ambientale, «ecoballe» che contengono ogni genere di rifiuto, nessuno sforzo per compensare la percezione negativa del nuovo impianto con serie iniziative di bonifica dell'area industriale. Ancora, Acerra evoca l'assenza sistematica di un impegno prioritario da parte dei decisori politici a confrontare le proprie scelte con le comunità locali da queste direttamente investite. Infine, dietro il simbolo Acerra si nasconde un rischio letale: che passi nell'opinione pubblica l'idea che nell'Italia del Sud sia impossibile una gestione sostenibile e legale dei rifiuti. Un'idea dannosa e infondata: lo dimostrano le numerose esperienze di comuni meridionali dove si è riusciti ad attestare la raccolta differenziata su standard europei. Insomma, la «questione meridionale» dei rifiuti non è figlia di una specie di impronta genetica maledetta.
Semplicemente servirebbe una classe dirigente più consapevole che affrontare con coraggio e responsabilità gli aspetti più spinosi di crisi ambientale è tutt'uno con l'esigenza di promuovere uno sviluppo vero, fondato sul rispetto delle regole e sulla valorizzazione delle risorse territoriali.
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