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A casa di Kerry ce ne sono tre

Macchine di guerra

Negli Usa sono sempre più in voga i SUV SUV (Sport Utility Vehicles), enormi veicoli mangiabenzina usati spesso solo in città. E il tema dell'ambiente è stato solo marginalmente toccato in campagna elettorale. Come se si trattasse solo della salute di qualche albero
16 settembre 2004
Alessandro Ursic

. Consumano anche il doppio di una macchina normale e sono diventati uno dei simboli degli sprechi energetici degli Stati Uniti, riassumendo in un singolo oggetto tutti gli stereotipi sugli americani che inquinano allegramente il mondo senza fare nulla per limitarsi un po’. Ma se vi aspettate che i SUV (Sport Utility Vehicles), le enormi automobili sempre più in voga negli Usa, siano uno degli argomenti di cui si parla nella campagna elettorale per le presidenziali, siete proprio fuori strada. Di ambiente, nella sfida tra George W. Bush e John Kerry, si sta parlando pochissimo. E quando lo si fa, si cerca un improbabile compromesso tra lo stile di vita attuale e le possibilità offerte al momento dalla ricerca scientifica. Ben che vada, alla fine si discute di palliativi.

Al vertice sulla Terra di Rio de Janeiro, nel giugno 1992, l’allora presidente George Bush senior paralizzò la discussione sulla riduzione dei gas inquinanti con una frase rimasta famosa: “Lo stile di vita americano non è materia di negoziato”. In realtà lo era eccome, e per questo il summit si concluse con un nulla di fatto. Ma spiegare ai cittadini dell’unica superpotenza rimasta che per migliorare l’aria del pianeta bisognava innanzitutto consumare meno era un’incombenza di cui un presidente che cercava di essere rieletto non volle farsi carico. Non stupisce che oggi il figlio George W. – il quale glissa sull’effetto serra, sostenendo che prima di cercare di limitarlo bisogna avere prove scientifiche che esso esista veramente – non tocchi l’argomento.

Neanche da Kerry, tuttavia, sono giunti finora segnali confortanti. Lo sfidante democratico è stato preso di mira dalla stampa progressista per le sue ambiguità espresse proprio in relazione ai SUV. “Voglio che gli americani guidino – ha detto recentemente in un comizio nel Missouri –. Volete guidare un SUV? Magnifico. Questa è l’America”. Kerry sa che demonizzare in toto la categoria dei guidatori di questi bestioni mangiabenzina gli costerebbe troppi voti: su ogni quattro macchine vendute oggi negli Usa, una è un SUV. Ma si rende anche conto che l’argomento ha una certa presa su quella minoranza di elettori che delle tematiche ambientali si interessano. E quindi ha prima negato – lui che si professa ambientalista – di possedere un SUV. Poi, quando gli hanno fatto notare che nel parco macchine di casa Kerry di SUV ce ne sono tre, si è giustificato dicendo che la proprietaria è in realtà sua moglie, Teresa Heinz.
Intanto, nell’indifferenza che i media riservano a questo tema in tempi di guerra al terrorismo, ha enunciato il suo programma energetico, che prevede tra l’altro investimenti di 10 miliardi di dollari per una maggiore efficienza nei consumi delle automobili.

Il problema, per il momento, rimane però confinato nel dibattito tra liberal, lungi dall’essere affrontato a livello nazionale. Le automobili prodotte negli Usa hanno sempre consumato più di quelle europee e giapponesi, anche prima che nascessero i SUV. Ma questa specie di fuoristrada da città batte tutti i record: di media fanno neanche 8 chilometri con un litro, in alcuni casi nemmeno la metà. Favoriti dal costo della benzina molto meno caro rispetto agli standard europei – al momento, caro-petrolio compreso, si aggira intorno ai 43 centesimi di euro al litro – gli automobilisti statunitensi sembrano non preoccuparsi del fatto che sono costretti a fare il pieno al serbatoio ogni tre giorni, e le vendite di SUV crescono anno opo anno.

Le leggi Usa non cercano di disincentivare l’acquisto dei giganti della strada, anzi. I piccoli imprenditori possono dedurre dalle tasse fino a 100mila dollari sull’acquisto di camion leggeri. Ma la regola, concepita per favorire gli affari, è ormai sfruttata da molti come un’opportunità di comprare a prezzo scontato giganteschi SUV che magari servono alla moglie per portare a scuola i bambini e fare la spesa al supermercato. L’amministrazione Bush – definita da molti osservatori la peggiore della storia dal punto di vista dell’ambiente – non si pronuncia in merito, e intanto ha evitato di rinnovare gli incentivi fiscali (1.500 dollari) per comprare le automobili ibride a doppio motore (elettrico e a benzina).

Il problema è che parlare di ambiente, quando ci sono di mezzo gli Stati Uniti, non significa solo disquisire sulla salute di qualche albero. Vuol dire toccare un nervo scoperto, che la società americana non ha ancora voluto affrontare seriamente. Senza rendersi conto che condiziona anche scelte di politica estera che hanno conseguenze sulla vita di tutti, come la stessa guerra al terrorismo.

A spiegare questo legame bastano alcuni numeri. Gli Usa importano circa il 60 per cento del loro fabbisogno petrolifero, un quarto di questo proviene dalla sola Arabia Saudita. E ogni anno gli Stati Uniti consumano 3 miliardi di barili di petrolio solo per far funzionare il loro parco automobili. “Se i veicoli statunitensi – ha scritto Clyde Prestowitz nel suo libro “Stato canaglia” – consumassero quanto quelli europei e giapponesi, gli Usa non avrebbero più bisogno di importare il petrolio dal Golfo Persico”.

Ecco perché molti si chiedono perchè l’America non prenda maggiormente a cuore il discorso del risparmio energetico, dato che sarebbe nel suo stesso interesse. L’american way of life tanto caro a Bush senior ha un prezzo, ed è la dipendenza del Paese dalle forniture straniere, che stanno in massima parte nell’area più instabile del pianeta.

 

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