L'età dell'entropia
3.09.04
"Mai più pomperemo più di 82 milioni di barili", ha annunciato il mese scorso T. Boone Pickens, magnate del petrolio e capitalista d'assalto.(1) Dato che al momento stiamo pompando 82 milioni di barili al giorno, Pickens ha detto che la produzione globale ha raggiunto il suo picco. Se ha ragione, allora si confermano le tesi del geologo Kenneth Deffeys, che l'anno scorso, tra lo scherno generale, ha
detto di essere "sicuro al 99 per cento" che il picco si sarebbe raggiunto nel 2004.(2) Ma, cosa ancora più importante, la civiltà industriale è destinata a finire.
Non nell'immediato, naturalmente. Ma a meno che non venga scoperta o sviluppata un'altra fonte di energia, altrettanto economica, con lo stesso tasso elevato di "ritorno energetico sull'energia investita" (EROEI), a poco a poco non saremo più in grado di generare la crescita necessaria a impedire al sistema finanziario, basato sul debito, di crollare. Un surplus di energia disponibile è un'incredibile anomalia storica e biologica. Un'offerta di petrolio superiore alla domanda ci ha permesso di fare quel che altre specie faticano a fare: espandere lo spazio ecologico da noi occupato, ma senza dover competere direttamente per le risorse scarse. Il surplus ci ha indotti a credere nella che una popolazione globale di 6, 9 o 10 miliardi di persone potesse vivere nella pace e nel confort universali.
Se la tolleranza e l'agiatezza sono, come sospetto, la conseguenza di un surplus energetico, allora, man mano che l'offerta diminuisce, ricominceremo a litigare come dei gattini in un sacco. In presenza di entropia, la virtù potrebbe rivelarsi impossibile.
La sola domanda che val la pena di porci è cosa abbiamo intenzione di fare. Potrebbe esserci una cura miracolosa. La fotosintesi, la trivellazione di fluidi geotermali, la fusione a freddo, l'energia idrocatalitica all'idrogeno e altre simili innovazioni potrebbero forse fornirci una quantità illimitata di energia a basso costo. Ma non dobbiamo contarci troppo. Le barriere tecnologiche, o persino teoriche, potrebbero rivelarsi insormontabili. Esistono molte alternative al petrolio, ma nessuna di queste è a basso costo, e nessuna è caratterizzata da un EROEI altrettanto elevato.(3) Se è vero che l'età della crescita è finita, ed è cominciata l'età dell'entropia, e se vogliamo conservare intatta la speranza di una qualità della vita decente senza distruggere quella di altri, allora le nostre infrastrutture, i nostri insediamenti, le nostre industrie e le nostre vite devono essere completamente ricostruite. Dato che i nostri governi esitano persino ad aumentare le tasse sul petrolio, la cosa razionale da fare è cercare la soluzione noi stessi: sviluppare dei sistemi economici che non dipendano dai combustibili fossili.
Da diversi anni sono partecipo a uno di questi esperimenti. Adesso che ha compiuto dieci anni, credo possiamo dire che funziona.
Tinkers' Bubble sono quaranta acri di boschi, frutteti e pascoli nel sud del Somerset. Nel 1994, è stato comprato da un gruppo di ambientalisti; una dozzina di persone ci si sono trasferite, si sono divise il terreno e hanno costruito delle abitazioni temporanee. Si sono imposte una serie di regole molto severe, incluso il divieto di usare motori a combustione interna. Hanno fatto solo una piccola eccezione per i trasporti: i 12 residenti si dividono due automobili. Per il resto, l'unico combustibile fossile che consumano è la paraffina per le lampade.
Gli abitanti di Tinkers' Bubble hanno costruito un piccolo mulino, alcuni pannelli solari e latrine a secco, e hanno comprato una macchina a vapore alimentata a legna per lavorare il legname, delle piccole mucche e una grande casa.
Quasi tutti avevano predetto che sarebbe stato un disastro. Il giornale "The Independent" ha persino sostenuto che il progetto fosse fallito, dopo che uno dei suoi giornalisti, arrivando al mercato, aveva trovato la casa vuota. Non c'è dubbio che sia stato difficile. I residenti hanno trascorso il primo inverno trascinandosi a fatica in 60 centimetri di fango. Alcuni dei locali, credendo che i nuovi abitanti fossero dei pellegrini new age, si sono infuriati. Ci sono stati molti conflitti interni. Il lavoro è duro. Hanno tagliato gli alberi con le seghe, riscaldato le case con la legna, mietuto la paglia con le falci e intrapreso molti altri lavori manuali, come mungere le mucche, ripulire i campi dalle erbacce e raccogliere le messi.
Ma sono riusciti a sopravvivere. Hanno fatto amicizia con il locali, che cominciano a vedere il progetto come una ricchezza: la terra è biodiversa, ha ancora i frutteti ed è aperta al pubblico. La stalla ha vinto il primo premio del mercato agricolo locale. Hanno imparato, spesso dolorosamente, a vivere insieme.
Siccome la fattoria non usa macchinari pesanti, contrariamente a molte altre, non è indebitata con la banca. Henry David Thoreau, 150 anni dopo aver pubblicato Walden, è ancora vivo e vegeto nel Somerset. Inutile dirlo, un esercito di burocrati si è mosso per ucciderlo. L'agricoltura contadina, hanno scoperto gli abitanti di Tinkers' Bubble, nel Regno Unito è praticamente illegale.
Il primo problema è il piano regolatore. Il modello si regge solo se ti costruisci la casa sulla tua terra e con i tuoi materiali: non si può vivere in questo modo e pagare un mutuo. Così i coloni si sono imposti ulteriore regole: le loro case, fatte di legno, balle di paglia, graticci ricoperti di fango e argilla e tetti di paglia, avrebbero dovuto avere un impatto visivo e ambientale minimo.
Ma il piano regolatore non prevede cose del genere. Non è in grado di distinguere tra un obbrobrio paesaggistico di 8 stanze e una casa che si vede solo quando ci vai a sbattere contro. I residenti hanno chiesto il permesso di costruire e gli è stato rifiutato. Hanno fatto ricorso e hanno vinto, ma poi il governo ha ribaltato la sentenza. Hanno quindi fatto ricorso all'alta corte e alla corte d'appello e hanno cercato di portare il caso alla camera dei Lords, in tutti i casi senza alcun successo.
Ma quando hanno presentato di nuovo la domanda, il comune, che si era reso conto che dei senza-casa stavano cercando di costruirsi un'abitazione senza gravare sui soldi dei contribuenti, ha cambiato idea e ha permesso loro di vivere lì. Poi è stata la volta dell'ispettore di igiene ambientale. Ci sono due tipi di regolamenti nel Regno Unito. Quelli a cui si le grandi imprese si oppongono, e quelli che tollerano o addirittura incoraggiano, perché possono permettersi i costi di rispettarli, contrariamente ai loro concorrenti più piccoli. Ecco perché è legale imbottire i nostri animali di antibiotici, le nostre verdure di pesticidi, il nostro cibo di additivi e la nostra acqua di nitrati, e perché qualunque processo che non richieda alluminio inossidabile, refrigerazione e illuminazione fluorescente è praticamente illegale.
Il giro di vite sulle piccole imprese alimentari, giustificato dal fatto che i loro prodotti potrebbero contenere batteri, è stato accompagnato, sin dagli anni '70, da un aumento vertiginoso dei casi di intossicazione alimentare: la produzione su ampia scala e i trasporti su grandi distanze aumentano la probabilità di infezioni. A Tinkers' Bubble, che non ha mai avvelenato nessuno, è stato proibito di vendere qualunque tipo di cibo o bevanda: il suo formaggio, il suo bacon, i suoi succhi di frutta e il suo sidro sono stati messi fuori legge. Ma i suoi abitanti hanno imparato a vivere con queste limitazioni, così come hanno fatto con altre. Non hanno ancora risolto tutti i loro problemi, ma hanno dimostrato che una vita pressoché libera dal consumo di combustibili fossili è possibile. Potrebbe non funzionare per tutti, naturalmente, però funziona. E un giorno, a meno che non troviamo la volontà di rispondere alla crisi imminente, coloro che vivono in questo modo potrebbero scoprire, nonostante le ovvie privazioni, che le loro vite sono più confortevoli delle nostre.
(2) Bob Holmes e Nicola Jones, 2 agosto 2003, Brace yourself for the end of cheap oil, New Scientist, vol 179, issue 2406. (<<)
(3) Le tabelle dell'EROEI si trovano in Richard Heinberg, The Party's Over: Oil, War and the Fate of Industrial Societies, New Society Publishers: Canada, 2003. (<<)
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