L’ACQUA TRADITA: MAPPA DELLE VERTENZE NEL BELPAESE
Stefano Lenzi – responsabile Ufficio istituzionale e legislativo WWF Italia
Lucia Ambrogi - collaboratrice dell’Ufficio istituzionale e legislativo WWF Italia
Del senno di poi son pieni… gli scarichi. Se andiamo ad esaminare la normativa nazionale sulle acque scopriamo ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che siamo un paese di ottimi legislatori e di mediocri o pessimi amministratori.
In Italia sulla carta è sin dal 1933 che le acque superficiali interne e le acque sotterranee sono un bene di pubblico interesse, l’hanno ribadito da allora perlomeno altre due normative fondamentali (quali la cosiddetta Legge Galli, L. 36/1994, e il decreto legislativo sugli scarichi idrici e la tutela delle acque, Decreto legislativo n. 152/1999) che segnano almeno formalmente un’importante evoluzione giuridico-normativa nella definizione del concetto di gestione sotto la regia pubblica di una risorsa che deve essere accessibile a tutti; riconosciuta, al fine, anche come sistema ecologico complesso da tutelare. Anche recentemente abbiamo battuto tutti in Europa, anticipando di almeno un anno alcuni contenuti della Direttiva quadro europea 2000/60/CE. Ma è bastato l’art. 35 della Legge Finanziaria 2002 per minare il concetto di bene pubblico, almeno per quanto riguarda le attività di captazione, adduzione e distribuzione, aprendo la strada alla privatizzazione della risorsa allo sbarco in Italia delle multinazionali dell’oro blu.
Anche sulla difesa del suolo e sul mantenimento dell’equilibrio idrogeologico eravamo riusciti finalmente a conquistare con la legge n. 183/1989 il concetto di governo del territorio attraverso l’attività di pianificazione degli interventi su scala di bacino idrografico, per poi passare dopo il disastro di Sarno, con la legge n. 180/1998, alla pur necessaria delimitazione emergenziale della aree a rischio idraulico e di frana, finché non si è degenerato con l’utilizzare impropriamente le Ordinanze per la protezione civile per progettare e realizzare interventi legati anche a non precisati grandi eventi in deroga alle norme di tutela del paesaggio e dei beni naturali e culturali (L n. 401/2001). Come dire che per tutelare il fragile equilibrio del territorio, sovrapporre (in nome di inesistenti avvenimenti eccezionali) allo scempio la speculazione di Stato non può far altro che bene.
Ma torniamo alle acque. Il Regio Decreto dell’11 dicembre 1933 n. 1775 all’art. 1 definisce come pubbliche tutte le acque: sorgenti, fluenti e lacuali ,anche se artificialmente estratte dal sottosuolo (…), le quali, considerate sia isolatamente per la loro portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico, al quale appartengono, abbiano o acquistino attitudine ad usi di pubblico generale interesse.
Proprio a partire dalla definizione del requisito fondamentale del bene pubblico quale attitudine ad usi di pubblico e generale interesse di circa 70 anni fa, che si è andata affermando nel tempo un’interpretazione estensiva della giurisprudenza. Interpretazione che ha consentito di affermare la natura pubblica del “bene acqua” comprendendo in questo concetto, oltre alle acque superficiali non di minima entità e quelle sotterranee, sorgenti, colatoi, fossati, ghiacciai, canali.
C’è comunque da dire che, seppur evoluto per i suoi tempi, il legislatore del Ventennio, nel ribadire la natura pubblica del “bene acqua”, mirava con il RD 1775/1933 a massimizzare lo sfruttamento della risorsa, non ponendosi il problema della sua tutela e della restituzione all’ambiente naturale, ritenendola un bene illimitato. Ed è su questa impronta che è ancora strutturato il sistema tariffario ancora oggi in vigore che, come allora, non tiene conto del risparmio, della possibilità di riutilizzo e restituzione dell’acqua non inquinata. Anche se c’è da osservare che il costo del servizio è comunque, generalmente, aumentato in misura significativa per l’applicazione divenuta obbligatoria della tariffa della fognatura e depurazione che viene addebitata anche quando il servizio non è erogato.
Questa visione dissipativa della risorsa e l’incerta definizione del costo sociale dell’acqua ha consentito che nel nostro paese non si dedicasse la dovuta attenzione al mantenimento/miglioramento dei sistemi e delle infrastrutture di adduzione, distribuzione e di smaltimento, con l’affermarsi di fenomeni inefficienza, incuria e malfunzionamento che fanno stimare (secondo i dati ufficiali) perdite in rete su scala nazionale attorno al 27% dell’acqua addotta prima di giungere all’utenza, con ulteriori perdite del 5%, causate dall’inadeguatezza degli impianti domestici.
Più di sessanta anni dopo è la cosiddetta Legge Galli (L. n. 36/1994) che getta le basi per al gestione integrata dell’intero ciclo idrico. Il ciclo integrato (captazione, trattamento, distribuzione, fognature e depurazione) secondo questa normativa viene affidato ad un unico soggetto con lo scopo di assicurare una gestione razionale dell’acqua riducendo gli sprechi e favorendo il risparmio e il riuso. Si stabilisce anche il principio che l’onere della gestione ricada sulla tariffa, elemento regolatore del sistema, trasferendo il costo sulla gestione della risorsa dalla collettività all’utenza.
Al centro del sistema di governo pubblico della risorsa acqua ci sono Le Regioni che istituiscono gli Ambiti Territoriali Ottimali che oltre a una ricognizione delle opere di acquedotto, infrastruttura e depurazione esistenti e alla definizioni di Piani d’Ambito, devono scegliere la migliore forma di gestione del servizio idrico integrato (concessione a terzi o affidamento diretto a società miste a maggioranza pubblica).
Al 2001 la situazione è che le ricognizioni condotte dalle Regioni, prima dell’insediamento degli ATO sono terminate in 52 Ambiti, sui 74 insediati e i 91 previsti. Circa 14 ATO pari a 1/3 di quelli insediati) ha redatto il Piano d’Ambito e 10 di questi hanno affidato la gestione del servizio idrico integrato. La situazione gestionale è di fatto rimasta quella antecedente alla Legge Galli, mentre la stessa individuazione degli ATO è peregrina, perché basata più che su criteri geografico-ambientali, sulle suddivisioni amministrative.
In questa situazione di inerzia si incunea proprio due anni fa l’art. 35 della legge n. 448/2001, la legge finanziaria 2002, che stabilisce l’affidamento diretto, senza gara, dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale: tra questi. i servizi pubblici di captazione, adduzione, distribuzione della risorsa, di fognatura e di depurazione delle acque. Il provvedimento indica un modello preferenziale di gestione del servizio integrato, tramite la trasformazione (entro il termine del 30 giugno 2003) delle aziende speciali e dei consorzi pubblici in società di capitali (S.p.A.), che pur controllate da enti pubblici locali sono soggetti di diritto privato che possono essere partecipati d aziende private. In alternativa, si pongono a gara internazionale la gestione delle reti e l’erogazione dei servizi pubblici locali. La costante è che si apre ai privati in ritmi serrati senza le garanzie sufficienti.
Il Governo in carica e la maggioranza che lo sostiene non pare in questo come in altri casi (vedi le continue violazioni sulla disciplina dei rifiuti) porsi il problema come si concili questa impostazione con quanto stabilito dalla Direttiva 2000/60/CE per la quale “l’acqua non è un prodotto commerciale, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale”. Ma non è necessario andar lontano: la Legge Galli nel 1994 recita “Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà” e il Decreto legislativo n. 152/1999 punta alla migliore tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee attraverso elevati standard di qualità sanitari ed ecologici. Qualcuno dovrebbe spiegare come perseguire questi obiettivi quando con troppa fretta e approssimazione si mette in discussione il concetto dell’acqua come bene pubblico.
Come succede spesso in Italia, è proprio a causa della forbice che si è creata tra la norma scritta e i principi dettati in ambito nazionale e comunitario e la realtà istituzionale e di mercato che si è creata nella gestione delle politiche di difesa del suolo e di gestione del ciclo integrato dell’acqua che stanno fiorendo in Italia le vertenze per una gestione ecosostenibile e solidale dalla risorsa acqua.
Nord Italia
IL PO: IL PIANO DI BACINO ALLA PROVA
Il Bacino del fiume Po, con i suoi oltre 70.000 chilometri quadrati, attorno al quale gravitano circa 17 milioni di abitanti è di gran lunga il più vasto e problematico d’Italia. La sua Autorità di Bacino estende la sua influenza su un quarto del paese. Il Piano di assetto idrogeologico del Po (approvato nel 2001), che ha introdotto, accogliendo le proposte del WWF, la rinaturazione e la manutenzione del territorio come presupposti per ridurre il rischio idrogeologico e riqualificare l’ambiente, è fermo e gli attuali progetti e interventi promossi sul fiume seguono la vecchia e controproducente logica legata all’emergenza e a opere di artificializzazione dei corsi d’acqua. Il WWF, che ha già avviato concrete iniziative con i Giovani Imprenditori di Confindustria, la Coldiretti, i parchi fluviali e con molti Comuni, lancia un appello alla salvaguardia e valorizzazione del più grande fiume d’Italia per richiedere l’urgente e indispensabile cambiamento di rotta all’Autorità di Bacino del Po con l’avvio di diffusi progetti di riqualificazione ambientale. L’appello verrà promosso in occasione delle iniziative che verranno svolte dal WWF in collaborazione con molti enti pubblici lungo il fiume tra il 27 maggio e il 15 giugno.
Piemonte
VAL SUSA: I DANNI DELLA TORINO-LIONE
Le associazioni ambientaliste, con in prima fila il WWF, insieme a tutti i Comuni della Val Susa si oppongono alla realizzazione delle due tratte della linea ad Alta Velocità Torino-Lione (che sono state presentate in procedura di valutazione di impatto ambientale il 7 marzo scorso - tratta Confine di Stato-Bruzolo - e il 10 marzo - tratta Bussoleno-Torino) Ancora non è progettato il mega-tunnel del Gran d’Ambin che creerà pesanti devastazioni in una zona ricca d’acquiferi e di sorgenti. In merito agli aspetti salienti del quadro ambientale delle tratte sottoposte a VIA: si sottolinea come nell’ipotesi di realizzazione della linea si devasterebbe (con l’apertura per anni delle aree di cantiere, la coltivazione di 20 cave e gli 8 milioni di metri cubi da mettere in discarica) una natura e un paesaggio di grande pregio; negli studi presentati viene sottovalutato ampiamente il rischio idrogeologico sia in fase di cantiere che in quella d’esercizio, particolarmente grave nella piana tra Bruzolo e Borgone per la realizzazione di trincee e rilevati e nel Comune di Pianezza, dove verranno localizzati siti di deposito e discarica; non vengono considerate le pesanti interferenze con i SIC, con particolare riguardo alla zona umida di Casellette e alla Riserva naturale di Foresto. Di particolare rilievo l’opposizione di tutti i Comuni interessati alla linea, sia di centro-destra che di centro-sinistra: i 25 Comuni della Val di Susa, 1 della Val Ceronda e Casternone e 6 della Cintura Nord-Ovest di Torino (per un totale di 300 mila abitanti), che hanno come capofila la Comunità Montana Bassa Val di Susa e Val Cenischia. Gli enti locali hanno prodotto il 20 gennaio scorso un documento in cui ribadiscono la loro “posizione di contrarietà…all’ipotesi progettuale AV/AC” e chiedono di poter contare alla “definizione di una diversa strategia trasportistica” che riaffermi “il ruolo della programmazione per promuovere lo sviluppo sostenibile”.
Tra Piemonte e Liguria
GENOVA-NOVI LIGURE: UN INUTILE TERZO VALICO
Il consorzio Co.Civ., presentando il progetto preliminare e lo studio di impatto ambientale, ha riavviata la procedura VIA (pubblicazione il 10 marzo) riguardante la realizzazione del cosiddetto Terzo Valico sulla direttrice ad AV Milano-Genova, che prevede la costruzione di tratti in galleria per complessivi 42 km con ricadute molto negative sull’ambiente e con il rischio di depauperamento delle risorse idriche. Co.Civ. non è nuovo ad omettere parti essenziali delle elaborazioni progettuali: ha già dovuto incassare due pronunce di compatibilità negative per la linea ad AV Milano-Genova nel 1994 e nel 1998 e una procedura interlocutoria negativa nel 2000 per le grandi lacune della documentazione presentata in occasione VIA sul primo progetto del terzo Valico. Il WWF e al Coordinamento interregionale dei comitati cittadini contro il Terzo Valico (sulla direttrice Genova Voltri - Novi Ligure), che da anni stanno contrastando un’opera del tutto inutile, hanno formato un gruppo di lavoro tecnico che ha redatto le Osservazioni inviate alla Commissione VIA. Il gruppo di lavoro, composto da esperti nelle varie materie, ha rilevato, a proposito degli aspetti riguardanti suolo e sottosuolo e l’ambiente idrico, che: si vorrebbe procedere sul versante padano al disalveo del torrente Scrivia, affluente del Po, con un prelievo di 600 mila mc di inerti, senza considerare gli squilibri molto gravi che potrebbe generare questo ingente prelievo, con conseguenze anche disastrose su argini, ponti e falde; si indica come necessario un pesantissimo intervento di maquillage della cava Cementir di Voltaggio, dove vengono “scaricati” due milioni di metri cubi di inerti che rischiano di creare una barriera che, facilitando l’accumulo delle acque, può mettere in pericolo l’abitato di Voltaggio; si descrivono con estrema superficialità i problemi idrogeologici, sottovalutandone la portata e non indicando soluzioni praticabili ai rischi che si possono correre rispetto alle sorgenti in territorio ligure e piemontese (vengono, ad esempio, minimizzati i rischi nella zona di Pietralavezzara e Rigoroso) e, soprattutto, quelli legati alle interferenze con la falda della galleria artificiale di Novi.
Liguria
VAL LEMME: ACQUA CONTRO CEMENTO
Da molti anni ormai si confrontano in Val Lemme (provincia di Alessandria) due idee opposte di gestione del territorio: da una parte la Cementir, gruppo Caltagirone, che, a lungo assecondata dall'amministrazione provinciale di Alessandria e dalla Regione Piemonte, mira ad impiantare una cava di marna da cemento su un'area di 195 ettari, minacciando 1 milione di alberi e una decina di sorgenti, dall'altra la quasi totalità degli enti locali, le associazioni ambientaliste e il "popolo dell'acqua" costituitosi in comitato. I comuni di Gavi e Carrosio si sono sempre opposti al progetto, forti del fatto che la cava andrebbe a compromettere le fonti dei loro acquedotti, mentre il Parco Regionale delle Capanne di Marcarolo, insieme alle tante persone che negli ultimi due anni si sono spese nel tentativo di bloccare i lavori e le ruspe anche con azioni dirette ancorché sempre ispirate dalla non-violenza, non è riuscito purtroppo ad evitare che al suo interno, in una zona per di più denominata dalla UE Sito di Interesse Comunitario (SIC), venisse quasi interamente realizzato l'acquedotto sostitutivo. Infatti un decreto l’allora Presidente del Consiglio D'Alema nel 1999 rinnovò la concessione mineraria alla Cementir senza neppure sottoporla alla Valutazione di Impatto Ambientale, ponendo come unica condizione che la ditta si impegnasse a realizzare un acquedotto sostitutivo per i comuni di Gavi e Carrosio. Proprio questo decreto è stato recentemente annullato dal Consiglio di Stato, costringendo Provincia e Regione a sospendere ogni tipo di lavoro e segnando un'importante vittoria nella battaglia legale intrapresa dagli enti contrari e dal WWF. L'ufficio legale della Sezione Liguria del WWF, avvalendosi della collaborazione del Dipartimento di Geologia dell'Università di Genova, ha scoperto e denunciato la presenza di amianto in natura sia nei luoghi interessati dalla costruzione dell'acquedotto sostitutivo sia nell'area di miniera; inoltre ha presentato un corposo esposto su tutta la vicenda alle Procure della Repubblica di Alessandria e Tortona, denunciando anche un traffico di rifiuti pericolosi provenienti dalla zona dei lavori e diretti verso un'area ex industriale in periferia di Tortona e intraprendendo un'azione penale sulle violazioni del "Decreto Ronchi" sui rifiuti. Il WWF ha pure affiancato l'ufficio legale del Comune di Carrosio nella vicenda degli espropri dei terreni interessati dal progetto ed ha consegnato un esposto alla Stazione dei Carabinieri di Voltaggio segnalando il mancato adempimento di tutte le norme di sicurezza durante i lavori dell'acquedotto sulla strada provinciale
Lombardia
IN LOMBARDIA: NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA
Si voterà contro la privatizzazione dell’acqua in Lombardia. L’ufficio di presidenza del consiglio regionale lo scorso 28 febbraio ha dichiarato ammissibili i tre quesiti dei sindaci che si oppongono alla liberalizzazione del servizio idrico integrato. Il fronte dei sindaci, che è passato dagli iniziali 50 agli attuali 300, ha proposto ai Lombardia tre referendum chiedendo l’abrogazione di quelle norme della legge regionale 21/1998 che: a) consentono ai privati di gestire i servizi di distribuzione dell’acqua, depurazione e fognatura; b) la nascita di grande aziende di gestione della risorsa a livello provinciale; c) la prevalenza del voto dei grandi comuni su quelli minori all’interno dei comitati di gestione degli Ambiti Ottimali. La vertenza consentirà secondo i promotori di difendere il principio che l’acqua non è un bene pubblico e non una merce e a contrastare aggravi dei costi dei servizi idrici a carico dei cittadini.
NOVATE MEZZOLA: IL PIAN DI SPAGNA ALLO SBARAGLIO
Il Pian di Spagna – Lago di Novate Mezzola è una delle più importanti zone umide della Lombardia, con un’estensione di oltre 1700 ettari. Nonostante quest’area sia riserva naturale regionale dal 1985 l’ente di gestione è incapace di garantirne la conservazione. Numerosi sono i problemi per la presenza di costruzioni abusive, discariche non autorizzate di rifiuti, assenza di depurazione. La Regione Lombardia, su richiesta dell’ente di gestione, ha presentato recentemente un progetto di camper service a ridosso della zona di massima tutela. Il WWF, che insieme ad altre associazioni ambientaliste (Legambiente e LIPU) ha promosso un Osservatorio permanente, cerca con risorse volontarie di supplire alla mancanza di iniziativa, controlli e vigilanza dell’ente di gestione.
Friuli Venezia Giulia
IL TAGLIAMENTO: ATTENTATO AL RE DEI FIUMI
Il Tagliamento è il fiume a più alta naturalità dell’area alpina, un corso d’acqua che conserva intatte le dinamiche fluviali naturali. Chiamato non a caso il “re dei fiumi alpini” costituisce il riferimento per gli studi di ecologia fluviale in Europa e per i suoi elevati valori paesaggistici. Il letto del fiume occupa un’area pari a 115 km quadrati e scorre all’interno di un ampio materasso ghiaioso (50 km quadrati), tra numerose isole piene di vegetazione (per complessivi 11 km quadrati). La Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, per ragioni di sicurezza idraulica, ha deciso di costruire su una superficie di 14 km quadrati, tre grosse casse di espansione per circa 30 milioni di metri cubi di acqua su una superficie pari a 14 km quadrati, in corrispondenza del Sito di Interesse Comunitario “Greto del Tagliamento (cod. IT 33100007). Il WWF, in accordo tra gli altri con i maggiori centri di ricerca europea sui sistemi fluviali (tra cui l’Istituto Federale Svizzero di Scienza e Tecnologia) ha denunciato il progetto in ambito comunitario sostenendo, tra l’altro, che il progetto regionale: non garantisce la sicurezza idraulica, anche perché diminuisce la sua naturale capacità di ritenzione idrica e riduce la sezione trasversale del fiume; provvede la distruzione di una delle aree ecologicamente più importanti con gravi conseguenze per i tratti golenali.
TOLMEZZO: ACQUE PULITE PER DECRETO
Il Governo Berlusconi con il DPCM 14 febbraio 2002, facendo riferimento alla Legge sulla Protezione Civile (L. n. 225/1992), decreta lo “stato di emergenza socio-ambientale determinatasi nel settore della depurazione delle acque reflue nel Comune di Tolmezzo”, provocato dal sequestro da parte della magistratura della locale cartiera che immette scarichi fuori dai limiti di legge nel Tagliamento provocando un grave inquinamento. Lo stesso giorno di questo provvedimento viene nominato dal Governo il commissario ad acta, individuato nel presidente della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, che procede il giorno successivo ad autorizzare gli scarichi della cartiera in attesa di approfondimenti. Il WWF che ha presentato un ricorso al TAR Friuli Venezia Giulia e una richiesta di infrazione alla Commissione Europea contro lo Stato italiano, osserva come con questo provvedimento, che utilizza strumentalmente la normativa della protezione civile, legittima in realtà l’inquinamento contro ogni evidenza e in deroga alle leggi vigenti, dichiarando un’emergenza strumentale e pretestuosa.
Veneto
SUL PO, ADIGE E BRENTA, SCAVO SELVAGGIO
Nei primi giorni di aprile 2003, dopo 6 mesi di indagini, 19.000 telefonate intercettate per complessive 600 ore di ascolto il Corpo Forestale dello Stato ha arrestato 11 persone legate a 4 ditte impegnate nelle escavazioni abusive di sabbia nei fiumi Po, Adige e Brenta. Le imputazioni agli 11 arrestati sono il riciclaggio, il furto aggravato, il falso ideologico e materiale, la truffa ai danni della Regione Veneto, la corruzione, la rivelazione di segreti di ufficio. In particolare gli interventi abusivi di escavo lungo il corso dei predetti fiumi potrebbe aver comportato rischi per la disponibilità delle risorse idropotabili, compromissione delle falde con scomparsa delle risorgive oltre a rendere accessibili le falde all’inquinamento mettendo a rischio la sicurezza idrogeologica del territorio. Il WWF Italia e Veneto stanno intervenendo quali parte offese procedendo con propri legali alla raccolta di materiali e prove che dimostrino il “danno ambientale” causato da tali abusi. Nel Veneto il problema dell’escavazione abusiva nei fiumi è alla ribalta da diverso tempo, complice una normativa scarna e con competenze spesso contrastanti, i cavatori abusivi spesso continuano il loro lavoro redditivo anche alla luce di precedenti condanne e/o contestazioni da parte degli organi di controllo, sanatorie e processi troppo lunghi sono un notevole aiuto a questo business incontrollato.
Toscana
MUGELLO: PERDITE D’ACQUA AD ALTA VELOCITA’
Nel Mugello per le gallerie per l’Alta Velocità ferroviaria, progettate a suo tempo dall’attuale ministro dei trasporti e delle Infrastrutture Pietro Lunardi, esiste un grave problema di depauperamento delle falde e di scomparsa di alcune sorgenti, oltre che di inquinamento dei corpi idrici, che ha provocato difficoltà per l’approvvigionamento idrico nella zona. Nei cantieri della Linea ad Alta Velocità Bologna-Firenze si arriva a perdite sino a 750 litri al secondo di ottima acqua di montagna. Responsabile del temuto disastro ambientale è il Consorzio Cavet , che nel 1991 aveva chiesto per la realizzazione della tratta Bologna-Firenze 850 miliardi di vecchie lire e oggi valuta l’opera a consuntivo attorno agli 8.250 miliardi di vecchie lire. Il WWF, insieme alla altre principali associazioni ambientaliste, chiede alla Regione Toscana e agli enti locali interessati di costituirsi parte civile contro i predatori dell’acqua, il ripristino ambientale dei corsi d’acqua e interventi affinché sia garantito l’approvigionamento idropotabile per le popolazioni della zona.
VAL CECINA: IL FIUME SCOMPARSO
Da tempo viene accreditata l’idea della crisi idrica della Val di Cecina nel livornese. Niente di più falso, sottolineano gli ambientalisti, perché in realtà l’acqua in Val di Cecina ci sarebbe se non fosse sprecata, consentendo alla maggiore utenza industriale, l’industria chimica multinazionale Solvay, di lavorare ancora a ciclo aperto. C’è chi invece attribuisce strumentalmente la colpa della penuria della zona di acqua alla siccità, ma il problema vero non è questo, ma la regolamentazione dei consumi nel rispetto della normativa. In contrasto con la normativa, che garantisce innanzitutto il deflusso regolare delle acque e gli usi idropotabili e irrigui, in Val di Cecina invece non si tiene conto del depauperamento del fiume, è l’acqua del rubinetto a venire razionata, poco si fa nel settore irriguo e l’industria preleva senza controlli da parte di terzi. Non mancano certo i problemi da inquinamento legati all’assenza dei depuratori e all’attività industriale ed agricola, ma il problema sostanziale sono i prelievi massicci di acqua dolce per uso industriale. Il WWF Toscana è da tempo che cerca di contrastare l’uso incontrollato della risorsa dicendo no a qualsiasi ipotesi di ulteriore sviluppo della maggiore utenza industriale della Val di Cecina se prima quest’ultima non riduce drasticamente i suoi prelievi di alveo e di subalveo. L’associazione ambientalista ricorda che oggi sono disponibili tecnologie che consentono di: ridurre i consumi di acqua, riciclare l’acqua di processo o quella proveniente dai depuratori e dall’acqua di mare.
IL MERSE: LA FALDA A RISCHIO DI AVVELENAMENTO
L’alto corso del Merse, situato in una zona di elevato pregio naturalistico, è interessato da un fenomeno di inquinamento delle acque e, soprattutto, dei sedimenti fluviali, a seguito della dismissione e della chiusura della miniera di Campiano, nel Comune di Montieri. Dall’aprile 2001 hanno iniziato a riversarsi nel Fosso Ribudelli ingenti quantità di acque con pH fortemente acido ed alto contenuto di vari metalli tossici, provenienti con molte probabilità dai depositi di ceneri ematitiche localizzati nelle profondità della miniera dalla Società Mineraria Campiano-ENI e da una vecchia miniera limitrofa collegata ad essa da un tunnel, grazie al rialzo delle acque di falda non più prelevate,. La contaminazione è stata contenuta a partire dal settembre del 2001, grazie all’intervento di messa in sicurezza effettuato dalla Regione Toscana che ha provveduto, a proprie spese, a realizzare un apposito sistema di depurazione in grado di abbattere circa il 90% degli inquinanti. Secondo il WWF Toscana la risoluzione del problema non può fermarsi limitarsi alla messa in sicurezza di questi depositi ma dovrà prevedere interventi di riqualificazione della zona e la bonifica di tutta l’area mineraria. Gli ambientalisti chiedono all’ENI di farsi carico dei costi del disinquinamento. La soluzione di “bonifica” attualmente prospettata (chiusura idraulica delle Miniere di Merse e Campiano da effettuarsi comunque dopo 5 anni di monitoraggio) secondo il WWF Toscana è insufficiente: per il persistere dell’inquinamento della falda e perché trascura il risanamento ambientale dell’ecosistema fluviale intorno alla confluenza del Ribudelli nel Merse.
Lazio
IL SIMBRIVIO: EMERGENZA IDRICA NEL LAZIO?
La crisi idrica nel Lazio si è manifestata recentemente in particolar modo nella valle dell’Aniene e in gran parte dei comuni serviti dal sistema acquedottistico del Simbrivio, che ha origine nei Monti Simbruini nell’omonimo parco regionale. I tre acquedotti consortili servono un’utenza di 500.000 abitanti distribuiti in 57 comuni di tre province (Roma, Frosinone, Latina). La rete acquedottistica del Simbrivio è particolarmente inefficiente a causa delle perdite dovute a condotte fatiscenti con perdite che, ad esempio, nel Comprensorio dei Castelli Romani sono quantificabili attorno al 60-70% del flusso. Invece di cercare di riparare a questa situazione la Regione Lazio sta pensando di investire altri 9 miliardi di vecchie lire per la captazione di nuove sorgenti che insistono sempre nel territorio del parco regionale dei Monti Simbruini. Il WWF Lazio chiede al Commissario Straordinario del Consorzio Simbrivio (il vicepresidente della Provincia di Roma) di procedere invece, tra l’altro a: un’analisi dei fabbisogni idropotabili in relazione alle risorse idriche utilizzate; il monitoraggio della situazione idrogeologica; il ripristino della rete di distribuzione.
Abruzzo
ANCHE DALL’ABRUZZO: NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA
In Abruzzo 5 Ambiti Territoriali Ottimali su 6 hanno votato la trasformazione delle rispettive aziende pubbliche in SpA. Tale trasformazione è il primo passo verso la loro privatizzazione: le amministrazioni locali, infatti, potranno mantenere la maggioranza all’interno della SpA solo per 3 - 5 anni, trascorsi i quali si dovrà necessariamente consentire l’ingresso ai privati in maggioranza. l’Ente d’Ambito composto dagli Enti Locali rimarrà nominalmente proprietario delle reti, ma, come è avvenuto in tante parti del mondo, gli interessi dei privati potranno prendere il sopravvento. Nel momento in cui si entra nella logica privatistica diminuiscono le garanzie a tutela dei cittadini, siano essi contribuenti, clienti o lavoratori. Infatti si c’è il rischio concreto di: aumenti straordinari delle tariffe, diminuzione della qualità del servizio, rimodulazione dei contratti in senso peggiorativo per i lavoratori del settore e forte riduzione del personale. Dal punto di vista ambientale, poi, l’affidamento della gestione ai privati può determinare la perdita di quel minimo di attenzione verso il risparmio idrico e la tutela del territorio che un controllo pubblico può assicurare. Il WWF, insieme ad Abruzzo Social Forum e CGIL-FNLE Abruzzo, ha lanciato una campagna di informazione e mobilitazione per chiedere alle competenti amministrazioni locali di bloccare ogni altro passo verso l’ingresso dei privati nelle SpA, anche in attesa della sentenza della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi da diverse regioni sulla costituzionalità dell’art. 35 della Finanziaria 2002. In particolare, all’ATO di Teramo – l’unico che ancora non ha votato la trasformazione – si chiede di rinunciarvi, ricorrendo anche ad un recente emendamento approvato nella finanziaria regionale che consente di affidare direttamente la gestione del servizio idrico a società o consorzi a prevalente capitale pubblico. Il WWF Abruzzo ribadisce la necessità che gli Enti locali si facciano promotori di un’ampia consultazione dei cittadini prima di prendere qualsiasi decisione sulla gestione dell’acqua: ingresso di privati nelle SpA, modalità di gestione della risorsa, tariffazione, risparmio idrico. Il tutto in un quadro più generale che porti ad una nuova legge regionale di settore che porti ad una gestione delle risorse idriche trasparente, efficiente e ambientalmente sostenibile.
GRAN SASSO: VOGLIONO TOGLIERE L’ACQUA A TRE PROVINCE
Il Gran Sasso d’Italia ospita la falda acquifera che rifornisce gran parte degli acquedotti delle province di Teramo, L’Aquila e Pescara. In questa zona importantissima e delicatissima, cuore del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e individuata come sito di interesse comunitario (SIC) per gli habitat e le numerose specie vegetali ed animali presenti, nelle viscere della montagna a stretto contatto con l’acquifero profondo, sono state realizzate negli anni passati due gallerie autostradali e tre enormi sale sotterranee che ospitano i Laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. La realizzazione di queste opere ha causato un danno enorme alla falda acquifera che si è abbassata di 600 metri con conseguente scomparsa di moltissime sorgenti. Il Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Lunardi – già progettista dei precedenti tunnel autostradali – vuole realizzare una terza galleria di servizio ai Laboratori e altre due sale laboratorio sotterranee: un nuovo colpo alla più importante risorsa idrica d’Abruzzo con ulteriori perdite di preziosa acqua. Il WWF Abruzzo, insieme a enti locali, associazioni e migliaia di cittadini, si sono schierati contro il terzo traforo e l’ampliamento dei Laboratori di Fisica Nucleare, riportando una prima importante vittoria davanti al Tr
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