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Dai rifiuti una profezia

Se la gente di Korogocho potesse mettere le mani sui rifiuti di Napoli, vivrebbe benissimo
3 ottobre 2004
Fonte: www.nigrizia.it
settembre 2004

Disegno di Mario Biani Ogni mese dalle pagine di Nigrizia padre Zanotelli risponde ad una delle lettere ricevute. Tutte vengono pubblicate nel sito www.nigrizia.it.

Alcune settimane fa, il telegiornale ci ha mostrato l’emergenza rifiuti che sta colpendo Napoli e gran parte della Campania. Vedere quelle immagini di montagne di roba scartata e pensare alla "tua" Korogocho è stato un tutt’uno. Noi, qui, non sappiamo più dove mettere i rifiuti; loro, là, sono costretti a vivere di rifiuti.

P. F., Desio (Milano)

A Napoli, e in buona parte della Campania, la gente è sommersa dai rifiuti. Questi costituiscono una minaccia e un’emergenza (che la camorra, del resto, sa giostrare a proprio vantaggio). Si è arrivati a esportare rifiuti in Germania.

In Kenya, buona parte dei rifiuti di Nairobi vengono ammassati a Mukuru, un’altura che sorge davanti alla baraccopoli di Korogocho. A dire il vero, qui arrivano soltanto i rifiuti "cattivi". Quelli "buoni", infatti, rimangono in città, dove "i ricchi" se li accaparrano per rivenderli a buon prezzo. Si può dire che a Mukuru arrivano "i rifiuti dei rifiuti". Eppure molta gente di Korogocho vive di questi rifiuti: ricuperano, riciclano, riutilizzano e rivendono quasi tutto.

Fu proprio con i cenciaioli di Mukuru che feci la mia prima esperienza di missione in Kenya. Piano piano, sono nate due cooperative di riciclaggio: Mukuru "A" e Mukuru "B". La prima compera ciò che la gente riesce a raccogliere nella discarica e poi lo rivende; la seconda, invece, si avventura dentro la capitale alla ricerca dei rifiuti buoni, certamente più redditizi.

Proprio in questi giorni, due miei grandi amici di Mukuru "A" – Anthony e Irungu –, due autentici "fiori della discarica", stanno girando per l’Italia, ospiti di Claudina, una volontaria italiana da poco rientrata, dopo 4 anni trascorsi con la gente di Korogocho. Vogliono conoscere nuove metodologie di riciclaggio per migliorare il lavoro della loro cooperativa.

Pensando a loro ti dico questo. Se la gente di Korogocho potesse mettere le mani sui rifiuti di Napoli vivrebbe benissimo: ricupererebbe, riciclerebbe e rivenderebbe quasi tutto. I rifiuti che ci sommergono farebbero la fortuna di tanti poveri.

Seconda cosa: noi ricchi produciamo tanti e tali rifiuti perché viviamo con uno stile di vita assurdo. Siamo il 20% della popolazione mondiale e consumiamo l’83% delle risorse della terra. Non possiamo che produrre valanghe di rifiuti, che ci sommergono, ci spaventano, ci danno fastidio. Noi non viviamo di e sui rifiuti: cerchiamo di sbatterli il più possibile lontano da noi che li abbiamo prodotti.

Terza cosa: se tutti i poveri del mondo volessero vivere come viviamo noi, con lo stesso tenore di vita, gli esperti dicono che occorrerebbero quattro pianeti Terra per ottenere sufficienti risorse e altri quattro come pattumiere. Insomma, il sistema economico odierno non è sostenibile.

I rifiuti di Napoli (e tanti altri rifiuti del mondo ricco) ci dicono che dobbiamo avere il coraggio di rimettere in discussione il nostro stile di vita e ridurre i nostri consumi. Impossibile, pensano in molti. Possibilissimo, dico io. Cominciamo da cose semplici: protestiamo per gli eccessivi imballaggi, rifiutiamo di acquistare cose confezionate in chili di cartone e plastica, combattiamo la moda dell’"usa e getta", preferiamo il vetro (magari "a rendere") alla plastica, compriamo oggetti che possono essere riparati, sosteniamo un’agricoltura biologica, con il passaggio diretto dei beni dal produttore al consumatore...

Ma c’è dell’altro. Apprendiamo a differenziare i rifiuti. In molti comuni questo avviene già, in altri no. Si potrebbero creare piccole cooperative, proprio come quella di Mukuru, magari formate da giovani attenti alla salvaguardia del creato. Gestire i rifiuti organici in funzione di un loro riuso in campo agricolo potrebbe essere un’ottima alternativa alla fuga dei giovani dalla campagna.

E non dimentichiamo il problema politico che sta dietro i rifiuti. La qualità e la quantità dei rifiuti sono decise “politicamente”. Perché non cominciare a implementare, a livello locale, quella che viene chiamata "Agenda 21" (un documento di intenti e obiettivi programmatici su ambiente, economia e società sottoscritto da oltre 170 paesi di tutto il mondo, durante la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, svoltasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992). Nel capitolo 28 dell’Agenda si legge: «Ogni amministrazione locale dovrebbe dialogare con i cittadini, le organizzazioni locali e le imprese private e adottare una propria Agenda 21 locale.

Attraverso la consultazione e la costruzione del consenso, le amministrazioni locali dovrebbero apprendere e acquisire dalla comunità locale e dal settore industriale le informazioni necessarie per formulare le migliori strategie». E poi rispolveriamo il trattato di Kyoto. Chiediamo che venga firmato da tutti gli stati. Gli Usa, i più grandi produttori di rifiuti e inquinamento, si rifiutano di firmarlo. Anche la Russia non l’ha ancora fatto.

Anthony, Irungu e la loro cooperativa costituiscono una vera profezia per noi, amanti del consumismo. Ci mostrano che si può vivere anche di rifiuti e condurre una vita umana più semplice. Ancora una volta, sono i poveri a indicarci la strada per un futuro in cui la vita viene vissuta umilmente, le risorse usate con attenzione, riciclandole, non "rifiutandole".

Alex Zanotelli

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