Una buona spesa
settembre 2004
Sono nati, anche in Italia, quasi sottotraccia. Il loro obiettivo, racconta Andrea Calori, anima della rete Lilliput a Milano e docente al Politecnico, è camminare sperimentando, fare una grande rivoluzione dal basso, procedendo piano piano, a piccoli passi, da lillipuziani appunto. Sono quelli dei Des (che sta per Distretti di economia solidale). Li trovi a Torino e a Milano, a Parma e in Aspromonte, e poi in Veneto, nelle Marche e nel Lazio, e chissà, forse anche altrove, visto che al momento non si conoscono neanche tutti. Si contano e s’incontrano in decine di meeting, fiere e convegni, ma soprattutto in rete, perché loro stessi sono rete. Hanno una mailing list attraverso la quale si scambiano informazioni, servizi e tutto quanto può essere utile per combattere la loro guerra pacifica all’economia liberista, alla finanza selvaggia, al commercio che passa dalla grande distribuzione e dallo sfruttamento dei lavoratori, strozzando piccoli produttori e realtà locali o di nicchia. Sono gli attori di un mercato altro. Interpretano i ruoli più diversi: clienti, produttori, finanziatori, commercianti etici. Collegati come se fossero snodi di una vera rete, si parlano, si scambiano informazioni, si supportano, si sostengono, in maniera organizzata e coordinata. Soprattutto, vendono e comprano in maniera nuova: niente pubblicità, niente manipolazione dell’informazione, niente Organismi geneticamente modificati, pesticidi o altre diavolerie.
Il loro ingresso ufficiale nel variegato mondo dell’equo e solidale risale a circa un anno fa. Quando stilarono una carta d’intenti, diritti e doveri ispirata a esperienze analoghe nel mondo e, in Europa, almeno in Gran Bretagna e in Germania. La loro utopia realizzata è un semplice meccanismo solidarietà, che consente a chi è a valle di comprare solo prodotti ecologici ed eticamente certificati, e a chi è a monte di abbattere i costi di produzione e di di-stribuzione, ma soprattutto di non incorrere nella stangata di finanziamenti bancari a tassi improponibili. Il valore aggiunto sistema, infatti, è che a pagare il costo di produzione di cibi, oggetti e prodotti no global sono gli stessi acquirenti. Ma proprio in tutti i sensi, e senza partite di giro che modo? Facciamo qualche esempio. A Schio, in provincia di Treviso, i pionieri di questa esperienza sono quelli della cooperativa Oberslait, un gruppo creatosi, qualche anno fa, per dare vita a un centro per il recupero di ex tossicodipendenti. Intorno avevano pascoli abbandonati, simbolo di un’economia che stava morendo. Oberslait ha deciso di finanziare, senza contratti capestro, una serie di allevamenti di bovini che rispondessero a criteri di produzione sani e biologici. In tempi di “mucca pazza”, la cooperativa ha fatto subito girare soldi e prodotti, diventando essa stessa una sorta di istituto di credito: ha cominciato a emettere certificati di deposito che si chiamano Bob, buoni ordinari bovini, e che funzionano in modo molto semplice. La cooperativa emette il titolo e, al momento della sigla del contratto, presta all’allevatore una cifra che corrisponde a 500 euro per ogni buono. I produttori sono sì tenuti a pagare il saldo a fine anno, ma sotto forma di beni: nel loro caso, carne e latticini biologici. La rendita assicurata per Oberslait è del 20 per cento, e i soldi così raccolti vengono reinvestiti nel territorio.
Il circolo virtuoso che, a poco a poco, ha preso piede, ha allargato e sta allargando i confini del Des di Schio. Adesso, infatti, parte dei proventi di questo giro d’affari sta servendo a bonificare e a fare manutenzione a nuovi pascoli biologici, in cui lavorano gli ex tossicodipendenti della comunità. Insomma, si è prodotta una ricchezza che, a sua volta, sta generando altra ricchezza e altra occupazione. Si è lavorato alla valorizzazione dei prodotti doc del territorio veneto. Si è evitato di
passare dalla strettoie di istituti di credito inaccessibili per le piccole e piccolissime aziende capillarmente diffuse nella zona. Sembra la scoperta dell’uovo di Colombo. Un po’ il ritorno alla vecchia economia del baratto. Ma funziona. Qualcosa di simile è partito anche a Fidenza, in provincia di Parma. A dare il via all’iniziativa è stato un gruppo di acquisto solidale, o Gas, ovvero un insieme di persone che volevano facilitarsi reciprocamente l’acquisto di prodotti genuini. Consumatori che, una volta scritte le liste della spesa, vanno a turno a far provviste per sé e per gli altri, intrattenendo rapporti commerciali direttamente con la fonte. Da parte sua, il produttore assicura qualità del prodotto in termini equi, solidali e di controllo biologico. Ebbene, sono stati loro, quelli del Gas di Fidenza, a stabilire i primi accordi con gli agricoltori. Anche lì con il sistema del finanziamento preventivo, che mette d’accordo tutti. Ciascuno dei componenti del gruppo di acquisto (o anche altri soggetti interessati), ha versato una cifra stabilita di caso in caso, assicurandosi che andasse a finanziare i singoli produttori. Il Gas ha investito soldi in appezzamenti di terreno più o meno grandi, con questa filosofia: io ti anticipo un tot per lavorare la terra, decidiamo insieme cosa produrre nell’area cofinanziata, e tu mi restituisci quanto mi devi a raccolto avvenuto, quando si rivende il prodotto. Il sistema, anche in questo caso, continua a funzionare alla grande.
E intanto il Gas di Fidenza vede aumentare il numero dei partecipanti: oggi una cinquantina di famiglie, organizzate in sottogruppi, ciascuno con un coordinatore. Hanno eletto una segreteria che svolge vari incarichi, tipo contabilità, contatti con i fornitori, coordinamento generale. Alimentando, anche in questo caso, una diversa economia possibile. Il modello più illustre cui si ispirano i Des italiani è quello, bavarese, della Unser Land. Il progetto fu creato nel lontano ’94 per la valorizzazione del circuito del pane biologico, da una casalinga che, per ottenere i finanziamenti del ministero dell’agricoltura, semplicemente si presentò al funzionario addetto come “una portatrice di sani valori sociali
e ambientali”. Simpatica, no? Questo suo discorsetto di presentazione deve essere stato ben convincente: da lì è partito un circuito di economia solidale che ha messo in contatto 300 aziende agricole produttrici di grano, patate, carne e succhi, altri 100 piccoli produttori di miele, 90 panifici, 6 macellerie, 16 ristoranti e una gastronomia, con un numero di consumatori di giorno in giorno crescente. Non solo: è stato registrato un marchio doc, ormai presente anche all’Oktoberfest. Ma sono le cifre quelle che danno la misura dell’iniziativa. Nel ’98, a quattro anni dal lancio, si è arrivati a produrre 500 mila litri di latte e 1,5 tonnellate di formaggio al mese certificati Brucker Land. Non solo: ogni anno si contano 14 mila litri di succo di mela, 650 di birra, seimila chili di pasta e tremila di miele. Nel distretto di Fürstenfeldbruck, il 15 per cento del pane riporta il marchio Brucker Land, conosciuto ormai dal 90 per cento della popolazione. Il tutto mettendo in contatto diretto i veri motori dell’economia: chi produce e chi consuma. A Torino, l’iniziativa è partita in maniera ancora più organizzata. È stata da poco attivata la sperimentazione di un Distretto di economia solidale, che si chiama DesTo. Le adesioni sono aperte a tutti coloro che hanno sottoscritto una carta di valori. Eccone i principi cardine: giustizia e rispetto delle condizioni dei lavoratori e dell’ambiente, partecipazionecollettiva alle decisioni e, soprattutto, impegno ad impiegare risorse economiche e finanziarie (compresi gli eventuali utili) per attività a scopo
socio-ambientale, il sostegno delle singole realtà e lo sviluppo della rete. Anche in questo caso, l’obiettivo più generale è ripartire la ricchezza prodotta, per incentivare una produzione che non abbia bisogno di puntelli economici dagli istituti di credito tradizionali. Per il momento è partito il circuito di vendita diretta, ed è stata istituita una sorta di bacheca su Internet (www.retecosol.org) su cui i partecipanti possono lanciare idee e proporre contratti e contatti. È stata avviata una distribuzione diretta dai produttori ai consumatori aderenti al network, e ci si sta muovendo per creare uno scambio di informazioni con le altre reti di economia solidale, italiane e straniere.
Ad aver messo insieme oltre 50 tra negozi, alberghi, ristoranti, bed&breakfast è stato anche l’Ente Parco dell’Aspromonte. L’idea è venuta Tonino Perna, direttore della struttura, e i Comuni coinvolti dall’iniziativa sono ormai 14. Perna è andato ben oltre contatti e accordi di massima: è riuscito a farsi coniare dalla Zecca dello Stato una vera moneta legalmente riconosciuta, spendibile solo all’interno della zona del parco, che si chiama ecoaspromonte. Supportato da Banca Etica, è il primo esperimento in Italia di valuta a circolazione limitata. Il valore di scambio è fissato a un euro per un ecoaspromonte. Tra i suoi valori aggiunti, il fatto che, avendo una data di scadenza fissa e una spendibilità nulla al di fuori dall’area interessata, è del tutto immune da taglieggiamenti e richieste di pizzo da parte della ’ndrangheta. Non è poco. Per invogliare il visitatore straniero a comprare con la moneta locale, gli si offre la certezza che prodotti e servizi provenienti da chi è convenzionato sono genuini, ecocompatibili, assolutamente tipici della zona, e in più soggetti a uno sconto, anche se modesto. Gli attori di questa piccola rivoluzione sembrano entusiasti, anche se il primo conteggio di entrate e uscite si farà il 30 novembre, data ultima per tradurre in euro la ricchezza fin qui accumulata in ecoaspromonte. A un’iniziativa analoga sta pensando anche il Des della Brianza, in Lombardia. Il progetto è partito con l’istituzione di una serie di banche del tempo. La seconda fase prevede, anche in questo caso, il conio di una
moneta locale, che serva a incentivare scambi commerciali all’interno del distretto e, di conseguenza, a valorizzare i prodotti locali, nella convinzione che la loro immissione nel mercato debba partire dalla richiesta del consumatore. È il ribaltamento delle regole di mercato: più che indurre bisogni, una rete di economia solidale deve produrre quello che il
consumatore ama acquistare.
Non finisce qui: anche Milano sta muovendosi in questa direzione. È appena partito il primo censimento dei potenziali membri di un analogo distretto di economia. I risultati saranno pubblicati tra breve. Intanto, però, il variegato mondo dell’equo e no global è impegnato a contarsi, e a costruire solidi canali di comunicazione. Iniziative simili sono segnalate a
Senigallia (Ancona), Lucca, Roma e Napoli. Mentre esponenzialmente in crescita sono anche le Mag, cooperative di mutua autogestione finalizzate a scambi di fondi tra soci. Sono aperte ad altre
cooperative e associazioni no-profit, che si vogliano muovere nell’ambito della pace, del disarmo, dell’ecologia, del risparmio energetico, della controinformazione, dell’educazione allo sviluppo, della lotta all’emarginazione, del commercio equo e solidale. Anche queste realtà funzionano un po’ come istituti di credito: prestano soldi a interessvantaggiosi, senza garanzie patrimoniali. Per il momento, a lavorare a pieno regime sono: la Mag servizi a Verona, la Mag 4 a Torino, l’Autogest a Udine, la Mag 6 a Reggio Emilia, la Mag Venezia a Marghera. Anche in questo caso, siamo solo all’inizio di un’avventura.
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