Nobel per la pace alla donna che pianta alberi
9.10.04
Da ieri il Kenia ha un nuovo eroe. Anzi un’eroina. Dopo i tanti maratoneti che sono saliti sul podio delle Olimpiadi negli ultimi anni, su uno degli altari più gloriosi del pianeta, quello del premio Nobel per la pace, è salita l’ecologista keniota Wangari Maathai, la prima donna africana ad essere insignita del prestigioso riconoscimento. «Gli altri, i corridori, e chi se li ricorda più», spiegava ieri eccitato il guardiano del suo ufficio alla periferia di Nairobi. E’ qui la sede dell’organizzazione non governativa Green Belt , «Cintura Verde», che dal 1977 lotta per la tutela dell’ambiente in Kenia. «Ora c’è solo lei - ripeteva il custode -, la grade Wangari».
IL «NUOVO ORGOGLIO» - Il «nuovo orgoglio del Kenia e di tutta l’Africa», come l’ha definita al telegiornale il presidente Mwai Kibaki, ha appreso la notizia ieri mattina, mentre si trovava a Nyeri, la sua città Natale, ai piedi del Monte Kenia.
Ha ricevuto una telefonata da Oslo «che l’ha colta di sorpresa» racconta Gathii, uno dei suoi assistenti. All’altro capo del telefono c’era un diplomatico norvegese che le ha letto la motivazione del premio. «Lei si è distinta per aver promosso lo sviluppo compatibile, la democrazia e la pace». E’ stata l’ultima comunicazione; poi il suo cellulare è stato spento. «Eravate in troppi a volerle parlare - spiega ancora Gathii -. La notizia era del tutto inaspettata, quindi Wangari, dopo un attimo di smarrimento, ha preferito restare sola».
LA GIOIA - Soltanto nel pomeriggio si è fatta viva, con una conferenza stampa velocissima per spiegare la sua gioia: «Grande, enorme - ha balbettato -. Ringrazio Dio e i miei antenati che mi hanno guidato in questa lotta per la tutela ambientale». Si è rivolta poi al Monte Kenia, 5.200 metri, la seconda cima dell’Africa. «Da bambina mi fermavo immobile, ore e ore, a guardarla. Lei mi ha insegnato a difendere l’ambiente e a impedire il degrado ecologico che oggi ci sta divorando. Ho lottato duramente per difenderla, ma ci sono riuscita».
Si è commossa quando ha ricordato i suoi giorni in carcere, colpevole di essere un membro dell’opposizione ai tempi della dittatura di Daniel arap Moi. «Si può finire in cella per difendere il proprio Paese? - si è domandata retoricamente -. Assurdo, eppure a me è capitato». In realtà la neolaureata Nobel fu anche minacciata e picchiata selvaggiamente dalle forze di sicurezza. Volevano che abbandonasse la lotta per tutelare i parchi, che la smettesse di intralciare il business rampante, con le sue speculazioni edilizie e le devastanti, ma molto redditizie, attività turistiche. In particolare, Wangari si scontrò con uno dei figli di Moi che, con una certa spregiudicatezza, voleva costruire nel Parco centrale di Nairobi, lo storico Uhuru Park, un palazzone tutto vetro e cemento.
IL PREMIO -Quando le è stato domandato che cosa farà con i soldi del premio, non ha avuto esitazioni: «Naturalmente li investirò per rendere ancora più incisiva l’azione degli ecologisti. Non mai avuto, né gestito così tanto denaro. Forse dovrò chiamare qualcuno che amministri questo patrimonio. Comunque pensate che l’associazione Green Belt in 27 anni di attività ha piantato circa 30 milioni di alberi. Le spese sono state enormi. Ho pregato tanto perché arrivassero un po’ di soldi e finalmente i miei desideri sono stati esauditi. Non è meraviglioso?». Ma la signora Wangari spera soprattutto nell’effetto emulazione: «Il premio dovrebbe servire a far capire a tutti quanto sia importante la tutela ambientale. Occorre impedire le speculazioni selvagge e rendersi conto che se si continua così la nostra Terra non reggerà. Io credo che questo premio non sia stato vinto soltanto da me, ma anche da tutte le persone che hanno a cuore questi valori».
Sociale.network