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Le parole di Wangari Mathaai, premiata con il Nobel per la Pace

L'Aids? Un'arma per sterminare i neri

10 ottobre 2004
Luciano Causa

Wanghari Maathai L' Aids è un'arma creata in laboratorio per sterminare i neri. È quanto, senza perifrasi, ha affermato ieri a Nairobi – nel suo primo incontro con la stampa – la professoressa Wangari Mathaai, premiata venerdì, prima donna africana, con il Nobel per la Pace per il suo impegno ambientalista e per la difesa dei diritti civili – delle donne in specie – e della democrazia. Impegno che le costò processi, galera e bastonature ai tempi del “regno” di Daniel arap Moi, presidente-padrone del Kenya per 24 anni, fino al dicembre 2002. Combattiva come sempre – ora è parlamentare e viceministro dell'ambiente, carica da cui minaccia continuamente di dimettersi ogni qual volta non riesce ad evitare nuove cicatrici ambientali – vestita con un tradizionale abito africano, ha parlato alla periferia sud di Nairobi, Adams Arcade, nella sede dell'organizzazione da lei creata «Green Belt», cintura verde, che nei 27 anni di vita è riuscita a piantare 30 milioni di alberi in Africa, cercando di bloccare la desertificazione selvaggia. Ma ha dedicato poco tempo allo scontato impegno ambientale, a cui – ha ribadito – destinerà buona parte degli 1,1 milioni di euro che comporta il Nobel, per attaccare invece sul fronte Aids, su cui si era già espressa lo scorso agosto trovando scarsa eco scientifica ma molti sostenitori tra gli africani. La professoressa – ha una cattedra di biologia, la sua materia, presso la facoltà di veterinaria di Nairobi ed è stata la prima cattedratica in Kenya – non ha dubbi. Scartata l'ipotesi che l'Aids sia un flagello di Dio contro gli africani, espresso assoluto scetticismo sulla possibilità che il virus derivi dalle scimmie («conviviamo con loro dalla notte dei tempi»), verificato che intorno alle possibili cause dell'infezione si levano continue cortine fumogene, a suo avviso non resta che una spiegazione: un prodotto creato in laboratorio, con l'obiettivo principale di decimare i neri. «Altrimenti – dice – perché saremmo proprio noi la stragrande maggioranza di quanti muoiono di Aids?». Sul fatto che esistano armi di guerra batteriologiche non sembra aver dubbi; in proposito dice, sorniona: «Non è forse per questo che si è fatta la guerra in Irak?». Nega, invece, di aver mai dichiarato che l'Aids sia stato creato in laboratori occidentali. «Non ho idea – chiarisce – di chi e dove abbia prodotto questa arma biologica». Una prudente risposta al Dipartimento di Stato Americano che venerdì, nel rallegrarsi per la scelta dell'ambientalista africana per il Nobel, aveva anche parlato di alcuni «disaccordi». Riferimento implicito alle prese di posizioni sulla genesi dell'Aids, che nelle prime dichiarazioni della biologa era stato creato non solo per distruggere la razza nera, come ha ribadito oggi, ma in centri di ricerca occidentali. Ma, al di là della posizione sull'Aids (respinta dalla stragrande maggioranza del mondo scientifico), il premio alla professoressa Mathaai resta un trionfo per l'Africa, per la lotta ambientalista, e soprattutto – come ricorda la motivazione dell'Accademia di Oslo – per il legame tra difesa ecologica e vita civile. «Piantiamo un seme oggi anche per avere la pace domani» è stata una delle più belle dichiarazioni di Mathaai, fatta mentre piantava ieri l'ennesimo albero alle falde del “suo” monte Kenya: dove è nata, da dove ha tratto ispirazione profonda, e che ha visto impoverirsi per la deforestazione selvaggia, che ne ha anche seriamente compromesso i 13 corsi d'acqua, una volta ricchissimi, che dalle sue pendici nascono. E quella per la salvezza del “padre” monte Kenya, la seconda montagna più alta dell'Africa, è stata una delle prime e più decise battaglie di Mathaai. Che proprio da lì, ieri, ha ringraziato «Dio ed i miei antenati» per il premio.

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