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Ogm, una novità sorpassata

Forse si comincia a ragionare. Dopo anni in cui detrattori ed estimatori degli OGM si sono scambiati accuse sanguinose discutendo ben poco della reale utilità dei prodotti non futuri ma realmente sul mercato, il dibattito comincia a farsi più concreto, a più largo raggio.
19 ottobre 2004
Marcello Buiatti

Forse si comincia a ragionare. Dopo anni in cui detrattori ed estimatori degli OGM si sono scambiati accuse sanguinose discutendo ben poco della reale utilità dei prodotti non futuri ma realmente sul mercato, il dibattito comincia a farsi più concreto, a più largo raggio. La discussione generale non verte più solo sulle piante ma su tutte le tecnologie avanzate, nano-tecnologie incluse, come nel caso del Convegno che si terrà a Signa il prossimo fine settimana, organizzato dal Consiglio dei Diritti genetici e dalla Regione Toscana.

Per quanto riguarda i prodotti alimentari, la discussione si sposta dalla “querelle” sui rischi per la salute a valutazioni di convenienza economica dei prodotti e non della “OGMità”, per le agricolture nel nostro Paese e nel Mondo, il vero punto critico per gli agricoltori, i distributori di prodotti alimentari, le amministrazioni Regionali, i consumatori. Ci si chiede cioè per la prima volta se quello che è in campo ora sia veramente frutto di una scienza e una tecnologia avanzate e di successo e se sia compatibile con la esistenza di agricolture diverse nei diversi Paesi e in particolare con quella italiana. Leggiamo su questi argomenti l'opinione espressa in un saggio pubblicato lo scorso Luglio in un numero tematico della rivista “Current Opinion in Plant Biology”: “L'industria biotecnologica è emersa verso la metà degli anni 80 del Novecento e i primi prodotti sono apparsi sul mercato dieci anni dopo. Questa industria è caratterizzata da due prodotti, piante resistenti ad insetti ed a diserbanti (mais, soia e cotone). Negli anni 80 e 90 si è tentato di mettere a punto una serie di altri prodotti che avrebbero dovuto presentare caratteri come resistenza a funghi patogeni, migliorata composizione dell'amido, qualità dei frutti ecc. Si sono avuti pochi successi tecnologici e nessun successo commerciale. Molti fattori hanno limitato lo sviluppo dei prodotti fra cui la incapacità di rispondere alle caratteristiche richieste dal mercato.
Ad esempio il miglioramento del gusto del pomodoro mediante l'aumento del contenuto in zuccheri ha portato ad una diminuzione delle dimensioni del frutto e l'aumento della resistenza a malattie ad un accrescimento minore”. Frasi realistiche che vengono da una fonte non sospetta di posizioni contrarie alla ingegneria genetica. Difficile considerare di successo una tecnologia innovativa che in quasi 20 anni ci offre solo due prodotti in campo vegetale, nessuno in campo animale ad uso alimentare, purtroppo per ora nessuna terapia genica utilizzabile in medicina, una trentina di farmaci, ma per ora da batteri, organismi molto più facili da modificare e da mantenere isolati degli altri. La ragione dell'insuccesso è la stessa degli esempi negativi dell'articolo, una serie di interazioni impreviste fra il gene inserito, il patrimonio genetico ed il metabolismo del ricevente che hanno impedito di ottenere un alto numero di prodotti “sani” e con caratteristiche appetibili. Interazioni negative non ne erano previste nei primi anni 80, quando sono stati creati i primi OGM.

L'opinione prevalente a quell'epoca era che le caratteristiche di un organismo fossero completamente determinate dai geni, ognuno dei quali, indipendente da tutti gli altri, per quanto se ne sapeva, era in grado di definire uno e un solo carattere. Se fosse vero un gene e cioè un frammento di DNA, una volta conosciutane la funzione, potrebbe essere isolato e trasferito in un altro organismo, di specie diversa, senza tema di alcun effetto “collaterale” imprevisto. Le cose nella realtà si sono rivelate molto meno semplici , per ragioni scoperte negli ultimi dieci anni. Chi inserisce un nuovo gene, magari batterico o umano in una pianta, non può prevedere in quale parte del genoma di questa si inserirà, quante copie saranno integrate, se la sua struttura sarà modificata, se interverranno altre mutazioni ecc. Inoltre il gene inserito si potrà esprimere più o meno o anche essere completamente bloccato, la proteina che produce potrà essere modificata dall'ospite e acquisire nuove funzioni e soprattutto non è prevedibile che effetti avrà sul funzionamento degli altri geni della pianta ospite. Questi infatti, durante la evoluzione hanno creato un equilibrio dinamico fra di loro costituendo una rete armonica in cui una qualsiasi modificazione che venga dall'esterno si ripercuoterà su settori più o meno ampi della rete in modo imprevedibile a priori.

Ecco perché, solo due fra le migliaia di organismi trasformati con successo hanno risposto completamente alle aspettative e si sono mantenuti produttivi nonostante la introduzione di un gene estraneo. Fatti, questi, ben noti a chiunque lavori nel campo, abituato a trovarsi di fronte a piante tutte diverse l'una dall'altra dopo un esperimento di ingegneria genetica riuscito in quanto tale. La scienza contemporanea ( non quella “moderna” e sorpassata degli anni 80) sta studiando questi processi e comincia ora ad approntare strumenti che diminuiranno i livelli di imprevedibilità. Questo lavoro, che studia le dinamiche e le interazioni per non modificare alla cieca i sistemi trattati, richiederà molti investimenti e molto tempo. È per questo che le grandi imprese si stanno spostando dalla produzione di nuovi cibi all'uso delle piante come “fabbriche” di singole molecole ad uso industriale e farmaceutico. In questo caso i problemi di interazione con la pianta ospite non pongono soverchi problemi per il farmaco prodotto, perché questo viene purificato e liberato da eventuali molecole non previste. A differenza dei prodotti attuali invece, le nuove piante presentano forti rischi, per il possibile inquinamento con farmaci di altre della stessa specie ad uso alimentare per fecondazione con polline modificato. I livelli di interazione da tenere presenti in questo caso sono quindi quello dell'agro-ecosistema da un lato, degli esseri umani dall'altro.

Non si può invece discutere delle attuali piante OGM se non si analizza il loro effetto su una ulteriore rete di interazioni, quella costituita dalle agricolture. E allora si nota che gli OGM sono coltivati essenzialmente in cinque Paesi (Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile e Cina), che presentano tutti aziende enormi, anche grandi quanto una Regione italiana, bassi costi di manodopera e/o fortissime sovvenzioni alla produzione ed alla esportazione, politiche fondate sulla quantità del prodotto, tecniche spesso aggressive di penetrazione nei mercati basate sul “dumping”. Solo in presenza di queste caratteristiche e in particolare delle sovvenzioni c'è un vantaggio nella coltivazione degli attuali OGM.

Il Sud del Mondo invece teme la distruzione dei mercati locali, delle agricolture, culture e tradizioni collegate, che aumenterebbe il flusso di contadini poveri verso le favelas. Noi sappiamo che il misero aumento di produzione di mais OGM non compensa le perdite di chi opera nel biologico, che non è tale con OGM, in regime di marchi di origine e qualità. Quali le soluzioni da proporre? Innanzitutto la ricerca ed il trasferimento rapido alla applicazione. Contemporaneamente, la diversificazione dei prodotti, il cambiamento dei regimi brevettuali per la democratizzazione delle scelte e la autonomia dei Paesi e delle comunità, una organizzazione più equa del mercato. E innanzitutto la eliminazione della propaganda, degli slogan, delle manovre economiche nascoste, per far sì che il re sia finalmente nudo con i suoi difetti da eliminare, i suoi eventuali pregi da trovare, il tutto da discutere sul piano concreto.

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