Veerappan, la leggenda del Robin Hood indiano
21.10.04
Ottomila chilometri quadrati di giungla a cavallo fra due stati del sud dell'India, il poverissimo Tamil Nadu e il ricco Karnataka del miracolo informatico indiano. Ottomila chilometri quadrati di contraddizioni, dove i marciapiedi davanti ai call center vengono spazzati dagli intoccabili, dove i set di una delle industrie cinematografiche più fiorenti del mondo sono circondati dalla giungla degli adivasi, gli indigeni scacciati dalle loro terre per far posto ai parchi naturali. E' la scenografia dell'incredibile vita di Koose Muniswami Veerappan, il bandito più famoso dell'India, ucciso due giorni fa dalla task force speciale istituita col preciso scopo di catturarlo. Per anni i poliziotti si sono infiltrati nei villaggi di confine, lavorando sotto copertura come boscaioli, contadini e commercianti. Il cerchio intorno alla "tigre della giungla" si è andato stringendo così come si restringeva la foresta che lo ospitava, e che lui stesso aveva contribuito a distruggere. Alla fine, abbandonato dai compagni, Veerappan è caduto nella trappola: un'ambulanza guidata da due agenti ha finto di portarlo in ospedale per condurlo invece nel bel mezzo di un agguato. Venti minuti di fuoco incrociato hanno messo fine alla rocambolesca vita di Veerappan, seppellendo insieme a lui trent'anni di tangenti e di corruzione.
Il bandito dei poveri
Non è bastato evitare di tenere il funerale nel villaggio natale: nell'anonimo cimitero pubblico circondato dalla polizia sono accorse decine di migliaia di persone attirate dalla leggenda di "bandito dei poveri" che Veerappan si era cucito addosso. Perché, pur venendo da un miserrimo villaggio dell'India profonda, il bandito è sempre stato un maestro nel gestire i media, nell'inventare il colpo di teatro al momento giusto e nell'accendere l'immaginazione dei suoi conterranei.
In realtà la carriera di Veerappan era cominciata all'insegna della ferocia e della violenza che hanno caratterizzato gli anni della rapina indiscriminata delle risorse naturali indiane. A quattordici anni, su ordine dello zio cacciatore di frodo, uccise il suo primo elefante e diede inizio a una folgorante carriera di bracconiere e contrabbandiere d'avorio che, secondo alcune fonti, lo portò ad accumulare profitti per 2,6 milioni di dollari. Erano gli anni Sessanta e Veerappan faceva, in proprio, quello che i politicanti corrotti facevano a spese del governo, come dichiarò lui stesso in una rarissima intervista a India Today. Nel 1973, dopo avere fatto fuori qualcosa come duemila elefanti, Veerappan venne fermato dal blocco totale del commercio dell'avorio deciso dal governo indiano. Il bandito non si diede per vinto: rafforzò il controllo militare sulla zona e si buttò sul legno di sandalo. Mentre contribuiva attivamente alla distruzione delle foreste di sandalo - una catastrofe ambientale che ha mandato in rovina un'intera categoria di artigiani - Veerappan costruiva la sua rete. A differenza dei politici e delle autorità - anch'essi dediti alla rapina del pregiato legname - la Tigre distribuiva cibo ai villaggi indigeni, regalava soldi per la dote delle figlie dei contadini e difendeva con ferocia i villaggi di intoccabili dalle angherie della polizia.
Certo, di alberi ne tagliava parecchi, e i suoi regali calavano dall'alto insieme alle terribili punizioni con cui, da vero e proprio signore della guerra, manteneva il controllo dei propri territori. Interrogato in proposito dai giornalisti, Veerappan rispose senza mezzi termini: «I deputati statali lo fanno, i parlamentari lo fanno, perché voi figli di puttana ve la prendete solo con me? Io non sto ammassando denaro attraverso l'amministrazione pubblica come i funzionari e i politici. Sto solo guadagnando la mia vita e difendendo la mia gente».
Un colpo di teatro
Omicidi efferati, fughe rocambolesche, vendette spietate. Nel 1992 Veerappan è il nemico pubblico numero uno: viene messa una taglia sulla sua testa e viene istituita una task force interstatale per catturarlo. La Tigre si rintana nel profondo della giungla - o almeno di quel che ne rimane - e progetta la propria rinascita.
Il 27 luglio 2000 il colpo di scena. Veerappan fa irruzione nella casa di campagna di Rajkumar, un famosissimo divo cinematografico, e lo rapisce. In un paese dove vengono innalzati templi agli attori e dove le star diventano ministri, il rapimento scatena il finimondo. A Bangalore - capitale del Karnataka - una folla inferocita si riversa in strada, le scuole vengono chiuse, i politici tremano per la loro poltrona. I giornali tentano freneticamente di fornire una griglia di lettura. Il bandito vuole trattare l'amnistia, scrivono. Ha passato i cinquanta, da decenni vive rintanato nella foresta, ed è probabile che voglia costruirsi una dignitosa uscita di scena. Veerappan, però, lascia tutti di sasso. Al mediatore spedito nella giungla parla il linguaggio dei nazionalisti del Fronte di liberazione tamil, cita Che Guevara e illustra i progetti con i quali ha cercato di insegnare ai contadini a gestire la foresta, a tagliare poco e quando serve. Più di tutto stupiscono le richieste: vuole un processo all'Aja per discutere della spartizione delle acque del fiume Cauteri, la scarcerazione degli estremisti tamil e risarcimenti per i villaggi degli intoccabili distrutti durante la caccia all'uomo. Circolano voci su di un film autobiografico nel quale Veerappan spera di debuttare come attore. Alla fine riuscirà soltanto a ottenere la scarcerazione di alcuni membri della sua banda e, presumibilmente, a intascare un cospicuo riscatto. Rajkumar viene liberato.
Caccia al tesoro
Il colpaccio non riesce. Il sostegno popolare tiene anche se sul suo capo pende una succulenta taglia e l'appoggio di intoccabili e indigeni gli garantisce altri quattro anni di latitanza, ma il bandito non riesce né a riciclarsi né a trattare una resa. Non sono soltanto i cento e passa omicidi di cui è accusato, quanto il fatto che Veerappan è un testimone scomodo degli anni della rapina, un corruttore dichiarato che conosce nomi e cognomi. La sua uccisione assomiglia a un'esecuzione, e la gente si domanda come è possibile che un centinaio di poliziotti non riescano a catturare vivi due o tre banditi. E mentre le organizzazioni dei diritti umani chiedono un'inchiesta, si apre un nuovo capitolo nella saga del bandito.
Di certo Veerappan non si è mai fidato delle banche. Il suo immenso tesoro, frutto del contrabbando dell'avorio e del legno di sandalo, è molto probabilmente sepolto da qualche parte nella giungla, distribuito fra quella sorta di cisterne costruite dal bandito per proteggere la latitanza. La Tigre infatti usava stoccare grandi quantità di cibo in depositi a tenuta stagna, dove molto probabilmente ha nascosto anche il suo tesoro: un segreto di cui era a conoscenza soltanto il suo luogotenente Sethukuli Govindan, morto nel 1990 sotto il fuoco della polizia. La caccia all'oro, quindi, è aperta, e la saga è tutt'altro che finita.
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