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«Mangeremo così» Ecco l'Onu del cibo

Da ieri a Torino «Terra madre», l'incontro organizzato da Slow Food. 5 mila produttori di 1.202 «comunità» a confronto su biodiversità, diritto alla terra e alle sementi, lotta agli ogm
22 ottobre 2004
Marina Forti
Fonte: www.ilmanifesto.it
21.10.04

manifesto slowfood Ci sono i semi, le mandrie, la materia prima data dalla natura e coltivata o allevata dagli umani, e poi c'è chi conosce l'arte di trasformare queste materie prime in olio, vino, formaggio, cibi consumabili - e poi ancora c'è la cucina, che è l'arte di dosare sapori e spezie in qualcosa di gradevole ed è in sé una cultura. Questa, in sintesi (molto) estrema, è la visione illustrata da Carlo Petrini, presidente di Slow Food, all'affollata assemblea che ieri ha inaugurato la rassegna chiamata Terra Madre, incontro mondiale delle «comunità del cibo». L'idea di mettere insieme chi produce, cura e trasforma il cibo («contadini, pescatori, allevatori, nomadi») è coerente con un'associazione nata per difendere e valorizzare il buon cibo. Il risultato è l'incontro di quasi cinquemila persone che rappresentano 1.202 «comunità» di produttori: dai coltivatori di uvetta di Herat in Afghanistan ai produttori di un certo tè chiamato makoni dello Zimbabwe, passando per un mappamondo di associazioni, consorzi o cooperative di persone che si sono unite per lavorare la terra. Dunque: al Palazzo del lavoro di Torino sono da ieri riunite persone venute da 129 paesi, pochi meno di quelli rappresentati alle Nazioni unite: ciascuno per raccontare il proprio lavoro, spiegare come sono riusciti ad

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Nel dare il benvenuto a questa straordinaria assemblea non posso nascondere il sentimento di gioia, di commozione e di gratitudine per questa incredibile presenza.
Quando un anno fa maturò l’idea di Terra Madre nessuno di noi immaginava che da ogni parte del pianeta potessero convergere a questo appuntamento 1.200 comunità del cibo provenienti da 130 Paesi.
Dalle Ande peruviane alla Pampa argentina, dalla foresta Amazzonica alle montagne del Chiapas, dai vigneti californiani alle riserve dei nativi e, ancora, dall’immenso continente africano alle campagne indiane, dalle coste del Mediterraneo ai mari del Nord Europa, dai Balcani alla Mongolia, al continente australe.
La presenza in questa sala di contadini, pescatori, allevatori, nomadi: tutti organizzati in quelle che abbiamo definito “comunità del cibo”.
In noi era forte la convinzione che le comunità del cibo hanno un’importanza strategica nel disegnare una nuova società, una società equa e solidale.
Le comunità, infatti, sono fondate sul sentimento, sulla fraternità, sul rifiuto dell’egoismo. Esse legano nel lavoro i destini di donne e uomini impegnati a difendere le loro tradizioni, le loro culture e le loro colture.
Le comunità, che voi qui rappresentate, sono depositarie di sapori antichi e moderni. Sono parte importante e strategica dell’alimentazione umana, in quel delicato equilibrio tra natura e cultura che è la base fondante della nostra esistenza, della nostra vita.
È quindi con stima e con affetto che saluto voi, intellettuali della terra e dei mari, provenienti dai più disparati angoli del pianeta.
Siete l’espressione del lavoro umano: nei settori dell’agricoltura, dell’allevamento, della pesca, della pastorizia, della trasformazione delle materie prime.
Praticate arti raffinate, che consentono al latte di divenire formaggio, all’uva di divenire vino, al malto e al luppolo di divenire birra; ma siete anche l’espressione della più antica capacità dell’uomo di agire con la natura: la pratica della cucina.
La cucina intesa come linguaggio, come identità, esigenza primaria dell’uomo che si nutre e che ha bisogno del fuoco e dell’abilità, della manualità, del dosaggio dei saperi e delle spezie per rendere piacevole la propria nutrizione.
Questa piacevolezza non deve essere e non è mai stata privilegio di pochi: è una delle nostre prerogative fisiologiche, è il segno del rapporto sereno dell’uomo con la natura e con la vita.
Non esistono al mondo culture alimentari più importanti di altre: ogni realtà del pianeta esprime attraverso il cibo una sua profonda identità e un suo linguaggio.
Noi dobbiamo rispettare queste diversità; essere grati alle sapienti arti delle donne e degli uomini che sono stati in grado di produrre cibi tanto semplici quanto straordinari. Frutto dell’abilità di arrangiarsi e di sfruttare le poche risorse che talvolta ci ha riservato madre natura.
La fejoada del Brasile, il cous cous delle coste mediterranee o i tamales dell’america Latina, il Pakora delle campagne indiane, il fufu dell’Africa più profonda, la carne di renna essiccata dalle popolazioni lapponi o la pasta di noi italiani: sono tutti alimenti che rappresentano la grande sapienza del genere umano, le economie di sussistenza e l’eterna lotta contro la fame.
Questi quattro giorni metteranno in evidenza non solo questi saperi, ma le problematiche economiche, sociali, ambientali che coinvolgono il nostro lavoro quotidiano. La straordinaria vitalità di queste conoscenze non venga minacciata da logiche produttivistiche, da manipolazione dei geni, dal privilegio del profitto per pochi, dallo scarso rispetto per l’ambiente, dallo sfruttamento dei lavoratori.
La battaglia, che abbiamo fatto nostra, della difesa della biodiversità sul pianeta: la salvaguardia di specie vegetali e razze animali è una battaglia di civiltà.
Il diritto di proprietà della terra e delle sementi è un sacrosanto diritto di tutti i coltivatori del mondo.
Le multinazionali dei pesticidi e degli organismi geneticamente modificati applicano politiche incompatibili con l’ambiente, stressano la madre terra, umiliano la sovranità alimentare dei popoli e la libertà dei coltivatori.
Sole e divise le comunità non possono reagire dinanzi a questa violenza.
Queste grandi lobbies del transgenico cercano di ridicolizzare le conoscenze e le pratiche delle comunità, occorre sapere che costoro sono forti con i deboli, perché i deboli sono divisi e indifesi.
Occorre divulgare e condividere i saperi di cui voi siete i depositari e che sono un grande patrimonio culturale.
Natura e cultura devono viaggiare insieme poiché reciprocamente si alimentano.
Per questo motivo la contemporaneità di questo straordinario incontro con il Salone del gusto è carica di profondi significati.
Domani a pochi minuti da questa sede si aprirà infatti il Salone del Gusto, forse la più grande vetrina dei prodotti agroalimentari, un grande mercato di contadini e artigiani.
Le due manifestazioni non si svolgono in contemporanea per comodità organizzative: l’imponenza dei due eventi, come potete ben capire, ha richiesto notevole sforzo e impegno.
Ma il significato principale è una forte scelta culturale: la buona qualità del cibo deve incontrare un consumatore che rispetta il lavoro agricolo, che educa i suoi sensi, che diventa alleato prezioso dei produttori.
Per questo motivo, cari delegati, vi invito a visitare il Salone del Gusto. In questi tre giorni, nelle pause dei lavori e degli incontri andate a visitare il Salone, con il vostro pass potete entrare in qualsiasi momento della giornata.
Percorrete i padiglioni non solo alla scoperta dei prodotti, ma per incontrare un’umanità di produttori e di consumatori, tutti, come voi, che si comportano in maniera sostenibile a livello economico, ecologico e sociale. Tutti impegnati a dare linfa alla forza creatrice di ogni identità umana: lo scambio.
Io credo che i produttori ei consumatori, mai come in questo momento storico condividano un comune destino. La salvaguardia del patrimonio alimentare è un obbligo reciproco e si può realizzare solo con un rinnovato patto di condivisione.
Solo se i consumatori diventano co-produttori e comprendono appieno le istanze di una produzione minacciata e solo se i produttori si fanno carico di una qualità che garantisca sicurezza alimentare, sostenibilità, piacere e diritti umani, noi possiamo uscire da questo difficile momento.
Badate: questi valori e questa intuizione sono trasversali, sono validi sia al Nord che al Sud del mondo. Ci spronano ad essere parte attiva nel superamento della vergogna planetaria della malnutrizione e della fame.
Terra Madre in questi giorni è sotto i riflettori dei media del mondo, ma a me in questo giorno d’apertura piace ricordare che domenica scorsa un piccolo quotidiano della Costa D’Avorio riportava in prima pagina l’evento Terra Madre.
Nel titolo di questo quotidiano veniva riportato il termine “fraternité”.
Ecco, io penso che la fraternità possa essere il valore da condividere in questi quattro giorni: chiedo a voi di assumerla come metodo di questa nostra assemblea.
La fraternità non è la sorella povera della libertà e dell’uguaglianza.
Il secolo appena trascorso è stato carico di grandi scoperte ma anche di immense tragedie; giustamente, in questo secolo si sono spesi fiumi di inchiostro, di parole, di proclami a difesa della libertà e dell’uguaglianza.
Poca è stata l’attenzione verso la fraternità universale, io penso che proprio oggi noi dobbiamo avere il coraggio di riproporla come valore e come metodo.
In questi giorni negli oltre sessanta seminari verranno affrontati i grandi temi delle risorse del pianeta: l’acqua, le sementi, la distruzione delle economie rurali, l’agricoltura che ha bisogno della pace, le coltivazioni biologiche, la pesca sostenibile, il ruolo delle donne in agricoltura.
Sarà inevitabile che si confrontino tesi contrastanti, diversi modi di affrontare i problemi, idee e concezioni diversi.
Ebbene, solo la fraternità saprà valorizzare queste diversità e portarci più avanti nello sforzo di capirci e di comprenderci.
La stessa macchina organizzativa che è stata appena presentata nella sua complessità e imponenza, potrà evidenziare qualche difetto, cercate di capire le nostre difficoltà: la fraternità e la comprensione renderanno più piacevole questo soggiorno.
Ieri ho visto nelle vostre facce la stanchezza di lunghi viaggi, la giornata è stata faticosa; sappiate che questa organizzazione non ha l’efficienza di una grande compagnia, non è una grande impresa capitalistica.
Slow Food è una piccola associazione che ha trovato il sostegno di importanti istituzioni come la Città di Torino, la Regione Piemonte e il Ministero dell’Agricoltura. Ma che è anche sorretta dalla passione e dal cuore di centinaia di volontari che sono qui a lavorare e che hanno aperto le loro case per l’ospitalità.
Questo è spirito di fraternità!
Forse non è utopistico pensare che proprio da qui, da questo nostro incontro, possiamo porre le basi di una rete di comunità del cibo che, anche se distanti geograficamente, possano restare in contatto, arricchirsi reciprocamente nel confronto e con intelligenza; dando il senso a molti di noi di non essere soli, di essere orgogliosi del proprio lavoro e di maturare quell’autostima che può generare benessere e felicità.
A voi tutti dunque buona permanenza e buon lavoro.
Possiate trovare in questi giorni forti e durature amicizie. Scambiare esperienze di vita e di lavoro, consolidare rapporti di collaborazione e di scambio.
Conservate nella memoria questi volti, queste sensazioni e questi sentimenti.
Un giorno, non lontano, le potrete raccontare a coloro che vi amano.
Grazie e benvenuti.

Discorso pronunciato da Carlo Petrini, presidente Slow Food, in occasione dell'apertura di Terra Madre a Torino il 20/10/2004

addomesticare una certa erba degli altopiani masai che ha proprietà nutritive eccezionali e può crescere in ogni orto del Kenya, o come funziona l'economia dei pastori nomadi della Mongolia - e via con infiniti esempi. Il merito va a Slow food e a un comitato organizzatore che comprende la città di Torino, la regione Piemonte e il ministero dell'agricoltura (sindaco, presidente regionale e ministro erano infatti sul palco, ieri, insieme a delegati e relatori). Il colpo d'occhio rende conto della diversità umana rappresentata in un congresso simile: le carnagioni, le fogge degli abiti che molti indossano, i colori, i linguaggi, per non dire degli idiomi parlati (è garantita la traduzione simultanea da 7 lingue). Già solo chiamare sul palco un delegato per ogni paese è stato cosa lunga. E però questa non è solo una rassegna di diversità, ecologica e umana.

Il senso di questo incontro sta in quella definizione, «comunità del cibo»: è più che «comunità rurale», perché le comunità qui rappresentate sono persone che si sono unite volontariamente per valorizzare il proprio lavoro, migliorarlo, superare dei problemi, e spesso mantenere un tessuto sociale e culturale: come la cooperativa degli altopiani del Burkina Faso che attraverso il mutuo soccorso e il lavoro insieme è riuscita a combattere la siccità e la povertà e a difendere il «bene comune». Persone che «disegnano una nuova società solidale ed equa», per usare le parole di Petrini: «Donne e uomini impegnati a difendere tradizioni, culture e colture», «depositari di saperi antichi e moderni»: gli «intellettuali della terra».

Non si pensi però a una visione idealizzata, o alla celebrazione di un mondo bucolico. Petrini parla di mondo solidale e del valore della fraternità, e insieme di scelte culturali che diventano scelte politiche. Sottolineare l'importanza dell'agricoltura e dei saperi porta a parlare di biodiversità, a schierarsi per il sacrosanto diritto alla terra e alle sementi, a combattere «le multinazionali dei pesticidi e degli organismi transgenici». Porta ad esempio a schierarsi contro la brevettabilità degli organismi viventi, come ha sostenuto con parole accese il ministro dell'agricoltura Gianni Alemanno (sembrava di ascoltare un no global). Frei Betto, coordinatore del progetto «Fame zero» del governo di Lula da Silva, va oltre: spara sul il sistema di aiuti internazionali che «regala» cibo ai paesi poveri («serve a aiutare l'agricoltura dei paesi donatori, distrugge la cultura locale, crea dipendenza, favorisce la corruzione di chi distribuisce gli aiuti») e difende uno sviluppo sostenibile basato sulle economie locali. La fame, in Brasile come in tutto il mondo, «non dipende dalla mancanza di cibo, perché quello c'è: quello che manca è la giustizia redistributiva». Ecco: contro la «colonizzazione globale», che ha la sua espressione culinaria nella «mcdonaldizzazione», Frei Betto auspica «slow food e giustizia urgente». Immgaine dal sito di SlowFood

Da oggi dunque qui si parla di agricoltura, di risorse naturali, di diritti dei coltivatori, di riforme agrarie, di sviluppo dei piccoli mercati, di «filiere» produttive, di pace e di guerra («l'agricoltura ha bisogno di pace») - oltre che di varietà da valorizzare, di alimenti naturali o transgenici - contro cui ha spezzato una lancia ieri l'indiana Vandana Shiva. Si parla di quello che l'agroeconomo cileno Miguel Altieri ha definito il «modello della sovranità alimentare»: un'agricoltura basata sull'accesso ala terra e alle sementi, sui piccoli agricoltori da sostenere con credito e politiche di aiuto accorte, sulla piccola agroindustria, la moratoria sugli organismi transgenici, la battaglia contro i monopoli. A poca distanza da qui, al centro congressi del Lingotto, oggi comincia anche il Salone del gusto, appuntamento più tradizionale dello Slow Food: tenere insieme i due appuntamenti, ha detto Petrini, è stata «una scelta culturale: la buona qualità del cibo parte dai produttori».

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