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Soto accusa l'effetto serra e le modificazioni del clima

Uragani e terremoti, la rivolta della Terra

Forte sisma in Giappone dopo il tifone che ha causato decine di vittime
25 ottobre 2004
Claudio Gallo
Fonte: www.lastampa.it
25.10.04

Un giapponese guarda sconcertato i danni causati dal terremoto alla strada a Tochio, nord-ovest del Giappone (Ap) Charley, Frances, Ivan il Terribile e Jeanne sono arrivati in Florida uno in fila all’altro, lasciandosi alle spalle una lunga scia di distruzioni. Erano i più celebri ma non i soli. Nonostante l’estate sia arrivata in ritardo a rallegrare i bagnati di Key-West, i cicloni tropicali calati sugli Stati Uniti in agosto sono stati otto, il doppio della media per questo mese, e sono continuati oltre settembre. Nel bene e nel male i meteorologi hanno ancora il privilegio dello stupore: «Un ciclone tropicale nell’Atlantico del Sud sovverte tutte le regole», titolava il 26 marzo scorso il sito meteo del governo inglese. E’ successo che quella che appariva una «rassicurante» tempesta si è trasformata in un cliclone tropicale da manuale. La cosa stupefacente è proprio questa: qualsiasi trattato di meteorologia considera una cosa del genere impossibile per la mancanza nell’area delle condizioni fisiche che danno vita al ciclone. Colti alla sprovvista, i climatologi brasiliani hanno chiamato il primo ciclone mai avvistato sulle coste del loro paese «Catarina», dallo Stato colpito di Santa Catarina. Il giornalista britannico Mark Lynas, esperto di mutamenti climatici, autore quest’anno di «High Tide», un libro sul riscaldamento globale raccomandato da Al Gore, ha scritto il 19 settembre un articolo sul «Washington Post» che nel titolo faceva il verso a una vecchia canzone di Dylan: «Warning in the Wind», avvertimenti nel vento. Lynas mette insieme una serie impressionante di campanelli d’allarme che indicano come il clima stia cambiando. Il Giappone, colpito ieri da un violentissimo terremoto, ha subito una stagione record di tifoni che hanno allargato il loro cono di distruzione alla Cina, a Taiwan e alla penisola coreana. Il quotidiano britannico «Guardian» il 24 settembre dava notizia del rapporto di un gruppo di scienziati di Pechino: entro i prossimi cento anni si scioglieranno i grandi ghiacciai cinesi, circa il 15 per cento della superfice ghiacciata terrestre. Negli ultimi 24 anni si sono sciolti più di tremila chilometri quadrati di superfice dei 46.298 ghiacciai cinesi. Un fenomeno che in tempi medi porterà a un innalzamento del livello dei mari, al prosciugamento di molti fiumi e infine a gravi carestie per la mancanza d’acqua per l’irrigazione. Mark Lynas in alcuni suoi reportage ha raccontato come la stessa sorte sia toccata ai ghiaccia delle Ande.

Studi svizzeri dimostrano che lo stesso sta accadendo nelle Alpi. E le nevi un tempo eterne dell’Himalaya sembrano destinate a sciogliersi, provocando in prospettiva la scomparsa dei fiumi della valle dell’Indo fino al Mekong. Popolazioni con un’alimentazione che da secoli si basa sul riso rischiano di dover affrontare carestie disastrose. Andrew C. Revkin ha spiegato sul «New York Times» (24 agosto) come i ghiacciai dell’Antartide stiano accelerando la loro corsa verso il mare. Sheila Watt-Cloutier, rappresentante dei 155 mila inuit sparsi tra Groenlandia, Canada, Alaska e Russia, durante un’audizione al senato americano a metà settembre ha invitato i senatori a prendere atto che «ci troviamo sull’orlo di un evento cruciale nella storia del pianeta: la terra si sta letteralmente sciogliendo». La preoccupazione per i mutamenti climatici è condivisa ormai persino in alcuni ambienti conservatori, tradizionalmente più impermeabili alla argomentazioni ecologistiche. Il senatore John McCain, presidente del comitato sui commerci del senato americano, ha detto: «Siamo la prima generazione a influenzare il clima, e l’ultima a scamparne le conseguenze». Scampare ai mutamenti climatici comporta un’analisi delle cause del fenomeno, un’analisi estrememente complessa cui lavorano legioni di scienziati, non tutti disinteressatamente, come quelli che lavorano per le compagnie petrolifere, per esempio. Qui il problema non è solo scientifico ma anche sociale e politico: non è una sorpresa che i disastri del mutamento del clima ricadranno soprattutto sulle popolazioni più povere del pianeta. Stiamo avvicinandoci infatti alla madre di tutte le polemiche: il riscaldamento globale. Molti scienziati sono pronti a legare riscaldamento dell’atmosfera e mutamenti climatici col rigoroso filo di causa ed effetto.

L’Intergovermental Panel on Climate Change, organismo costituito dall’Onu nel 1998 e formato da 2500 scienziati di cento Paesi, conferma nel suo terzo rapporto (2001) che l’atmosfera si sta riscaldando e che probabilmente il colpevole è l’uomo, in particolare con i cosiddetti gas serra, specialmente l’anidride carbonica prodotta dalla combustione dei fossili (benzina, gas naturali, carbone). Secondo l’Ipcc (il rapporto 2001 in italiano su www.wwf.it) le temperature medie sono aumentate di 0,6 gradi dal 1960, specialmente nell’ultimo secolo. «E’ sempre più evidente che gran parte del surriscaldamento rilevato negli ultimi cinquant’anni è da attribuire alle attività umane». Gli esperti dell’Ipcc hanno quasi raddoppiato la previsione del riscaldamento medio che è stimata, a meno che non si intervenga per porvi fine, in circa 6 gradi centigradi per la fine del prossimo secolo. E’ di pochi giorni fa la presentazione del rapporto dell’Ewg (Enviromental Working Group, composto da vari Ong e gruppi ambientalisti) significativamente intitolato «Up in smoke» che lanciava l’allarme sul consumo di carbone: in America i fumi da carbone equivalgono annualmente allo smog di 37 milioni di automobili. E’ di pochi mesi fa, a settembre, invece l’allarme lanciato dal premier inglese in un lungo documento sull’ambiente, in cui invitava Bush ad aderire al protocollo di Kyoto e sottolineava come la lotta al riscaldamento globale sia per i governi la sfida del secolo. Difficile sospettare di estremismo ecologista il primo ministro di Sua Maestà.

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