"Proprietà intellettuale, biodiversità"
«...La rivendicazione di brevettabilità è sbagliata, poiché essa è fondata sul falso assunto che i geni creano organismi e pertanto i creatori di geni transgenici creano organismi transgenici. Questo è falso perché i geni non creano organismi... Affermare che un organismo e le sue generazioni future siano prodotti della "mente di un inventore" e che abbiano bisogno della protezione della proprietà intellettuale in quanto invenzioni biotecnologiche significa negare le strutture di organismi in grado di autoprodursi e autoorganizzarsi. Detto in parole semplici si tratta di un furto ai danni della creatività della natura.»
Vandana Shiva
Nel 1995 gli scienziati dell'Università del Mississippi ottennero un brevetto sull'uso della curcuma nella cura delle ferite. Il governo indiano lo contestò con successo, fornendo documenti che provavano come la curcuma era da lungo tempo usata in India con le stesse finalità: venendo a mancare il fattore «scoperta» il brevetto fu respinto. Diversa sorte toccò alle comunità locali filippine e thailandesi, ai cui danni società farmaceutiche giapponesi e americane brevettarono le proprietà anti-diabetiche del banano e di altre varietà indigene. Probabilmente gli indios Wapixana del Nord del Brasile non immaginano nemmeno che gli estratti del bibiru e del cunani da loro usati da millenni sono stati brevettati nel ricco Occidente. Questi esempi danno un'idea chiara di cosa si intende per «biopirateria»: la sistematica appropriazione (indebita) delle risorse biologiche presenti nei Paesi in via di sviluppo, patrimonio naturale e di conoscenze detenuto da sempre dalle popolazioni autoctone.
La questione controversa oggetto di questo saggio è di natura giuridica: come coniugare la necessità di tutela della proprietà intellettuale con uno sviluppo sostenibile, cioè che rispetti i diritti delle comunità e dell'ambiente di provenienza delle risorse? Allo stato attuale le multinazionali o gli istituti di ricerca dei Paesi sviluppati detengono l'assoluto monopolio dei brevetti mondiali su materiali biologici o geneticamente modificati, situazione che ha sollevato preoccupazioni per la sicurezza alimentare (è il caso degli ogm), i mezzi di sussistenza degli agricoltori (costretti a comprare le sementi dei colossi del settore) e la biodiversità (sempre più impoverita dalla proliferazione delle monocolture brevettate). Discorso identico per altre branche della scienza: basti pensare che per ottemperare agli obblighi del Protocollo di Montreal sulla riduzione dei clorofluorocarburi dannosi per l'ozono, le aziende dei Paesi in via di sviluppo devono usare un composto brevettato da società occidentali che, oltre a delle royalty stratosferiche, pretendono di diventare soci di maggioranza di quelle aziende. Uno scenario che da qui a qualche anno non potrà che esplodere.Proposte migliorative esistono, e guarda caso vengono tutte da studiosi del Terzo Mondo.
Basandosi ampiamente su di esse, il libro ci guida nei meandri di una battaglia fra logiche e interessi opposti, combattuta nei tavoli degli Accordi multilaterali facenti capo al WTO: la madre di tutte le battaglie di principi e politiche che deciderà le sorti e la civiltà del mondo di domani.
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