La mappa dei costi reali del petrolio: il Mondo.
La Leggenda
C’è una leggenda che dice che uno sviluppo infinito, persino proficuo, è possibile, che come società e come individui possiamo consumare più di quanto il nostro ambiente produce, che possiamo estrarre lavoro e risorse “altrove”.
I nostri esempi su come utilizzare il petrolio derivano da questa leggenda. La maggior parte degli americani usa energia e crea inquinamento a un ritmo che le nostre comunità e il nostro pianeta non sono in grado di sostenere. Gli “altrove” dai quali dipendiamo per estrarre risorse e disfarci dell’inquinamento sono posti reali sulla mappa– per la maggior parte comunità di minoranze etniche a basso reddito in questo paese e all’estero. Ma il vero costo del petrolio è troppo alto da sostenere. Dai costi politici, sociali e umani per cercare terra e forza lavoro economiche, ai costi ambientali e sanitari dell’estrazione e della combustione di un combustibile tossico, non rinnovabile, alla distruzione causata dalla guerra e dal militarismo – il prezzo che paghiamo per avere un’economia satura di petrolio è più di quanto nessuno di noi possa permettersi. Un mondo migliore è possibile!
Non esiste angolo al mondo che non sia stato colpito dagli effetti dell’estrazione e dell’uso del petrolio. Molti effetti negativi sono ben documentati, come il riscaldamento globale, la distruzione dell’habitat naturale e i conflitti politici per l’approvvigionamento di petrolio. Ma l’economia petrolifera si estende spesso in modo poco evidente in molti altri aspetti della vita del nostro pianeta. Il petrolio, usato per il trasporto, l’industria e l’agricoltura meccanizzata, è la spina dorsale della globalizzazione. Le istituzioni per il commercio globale, come l’OMC (Organizzazione Mondiale per il Commercio), lavorano in stretta collaborazione con le compagnie petrolifere, mentre le forze armate procurano il sostegno per proteggere questi interessi. Esaminate questa mappa per scoprire i legami tra la militarizzazione mondiale, il razzismo ambientale e la dislocazione delle popolazioni indigene, come anche le conseguenze tossiche dell’estrazione, l’uso e l’eliminazione delle materie plastiche e petrolchimiche.
1. Alaska – Il malfamato versamento di petrolio della Exxon Valdez nel 1989 contaminò oltre 700 miglia di litorale e, come conseguenza, devastò l’ecosistema. Il versamento della Valdez può essere svanito dalla memoria pubblica, ma rimane il fatto che alcune specie naturali non si sono ancora ristabilite. Dagli anni ‘70, l’estrazione di petrolio greggio dal North Slope in Alaska si è risolta in una miriade di problemi ambientali, tra cui una media di almeno un versamento di petrolio al giorno, l’emissione di circa 24.000 tonnellate di gas metano (che contribuisce al riscaldamento globale), il frastuono derivante dall’indagine sismica che ha causato migrazioni di balene polari, e la costruzione di strade e industrie minerarie che interrompono il corso dei fiumi, avendo un impatto negativo sui pesci e la natura. Come le popolazioni indigene di tutto il mondo, i Gwich’in si sono opposti a questa distruzione dei sistemi naturali dai quali dipendono. Oltre a dover sopportare gli effetti delle attuali attività, il North Slope affronta la costante minaccia di una futura espansione, inclusi i tentativi di aprire l’Alaska National Wildlife Refuge alla trivellazione.
Fonte: Alaska Wilderness League, www.alaskawild.org.
2. Washington D.C. – Gli effetti dell’industria petrolifera sulla politica statunitense sono difficili da ignorare. Il presidente Bush II fondò la propria compagnia petrolifera negli anni ‘70, e lui e la sua famiglia hanno legami con numerose imprese petrolifere del Texas. Questi legami fruttano in politica. Nelle elezioni del 2000 Bush ricevette importanti contributi finanziari dalle compagnie energetiche e dal settore automobilistico. Il governo di Bush contiene un numero record di “persone del petrolio”. Il vice presidente Cheney lasciò l’amministrazione di Bush Sr. per andare a dirigere a Dallas, in Texas, la più grande compagnia di servizi petroliferi del mondo, la Halliburton. Dal 1992, la Halliburton ha contribuito con 1,6 miliardi di dollari americani alle campagne dei politici legati a Washington. Il consigliere alla sicurezza nazionale Condoleezza Rice ha passato un decennio nella Commissione del gigante petrolifero Chevron Corporation, un servizio che le ha fatto guadagnare l’onore di avere su una delle sue superpetroliere il nome “Condoleezza”. Nel frattempo, Gail Norton, segretario degli interni, ha sostituito i quadri dell’ufficio rappresentanti i parchi nazionali con una foto di una torre di trivellazione petrolifera al largo della costa americana.
Fonte: Project Underground.
3. Cancer Alley - “Il viale del cancro” è una zona tossica che si estende per 80 miglia lungo il Mississippi tra New Orleans e Baton Rouge, dove oltre 100 raffinerie petrolifere, stabilimenti petrolchimici e altre industrie inquinano l’aria, la terra e l’acqua. La produzione di PVC, la fabbricazione di vinile e la lavorazione agricola con prodotti petrolchimici sono aspetti dell’industria petrolifera mondiale che vengono spesso ignorati. Come per l’estrazione di petrolio e le industrie navali, sono le minoranze etniche e le comunità a basso reddito che sostengono l’urto dell’inquinamento tossico. Uno studio ha dimostrato che l’80% dei residenti di Cancer Alley ha problemi respiratori. Ma i residenti – spesso guidati dalle donne più anziane – si stanno organizzando per opporsi al razzismo ambientale. Dai piccoli gruppi rurali che presentano cause contro gli inquinatori, ai programmi studio universitari, alla prima agenzia governamentale su scala statale che ha a che fare con problemi di giustizia ambientale, tutti chiedono che l’industria petrolchimica sia ritenuta responsabile verso le comunità che avvelena.
Fonte: Chatham College, Women’s Environmental Leadership and Legacy.
4. Messico – Quando la NAFTA (Il Trattato di Libero Commercio del Nordamerica) entrò in vigore nel 1994, le norme ambientali, quelle sulla sicurezza e sul lavoro sono diventate argomento di sfida quando interferiscono col “libero commercio”. L’accordo contemplava l’apertura della frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti all’attraversamento dei tir, ma le norme statunitensi per lo scarico del diesel non potevano essere applicate alle società di trasporto messicane. Gli Stati Uniti ritardarono l’apertura della loro frontiera e una controversia NAFTA tra il Messico e gli Stati Uniti è persistita fino a quando il presidente Bush non ha firmato un ordine esecutivo che permetteva ai trasporti internazionali di partire senza tenere in considerazione le norme ambientali.
Fonte: www.worldtradelaw.net, www.latimes.com.
5. Ecuador – In Ecuador, come in molti paesi, l’estrazione di risorse viene promossa da prestatori internazionali come soluzione al debito estero. L’Ecuador copre l’80% dei pagamenti per il debito estero con le entrate del petrolio. Per tenere alte queste entrate, il governo sta spingendo verso nuove frontiere petrolifere nelle terre indigene, causando la distruzione di ecosistemi e la sofferenza delle comunità che vi abitano. Le compagnie petrolifere sfruttano le risorse senza pagare le tasse, estraendo petrolio e profitti per gli investitori stranieri e lasciando l’Ecuador inquinato. Tra il 1971 e il 1991, la Texaco ha estratto più di 1,5 miliardi di barili di petrolio dal Rio delle Amazzoni ecuadoriano. Per risparmiare milioni di dollari, la Texaco ha semplicemente scaricato i rifiuti tossici delle sue attività nei fiumi fino ad allora incontaminati, nei ruscelli e nei terreni paludosi, ignorando le norme industriali. Le attività petrolifere della Texaco hanno devastato uno dei posti più fragili dal punto di visto biologico sulla terra; 2,5 milioni di acri di foresta pluviale sono andati perduti. Adesso gli attivisti ecuadoriani si sono uniti alle persone colpite dalle attività della Chevron-Texaco in Nigeria e a Richmond, in California, in una campagna internazionale per chiedere che la compagnia ripulisca la zona e paghi i danni.
Fonte: Amazon Watch, Project Underground
6. Colombia – Per decenni la Colombia è stata tormentata da guerre che spesso si intrecciano con le ricerche di petrolio. Ecco un esempio: nel 1996, la British Petroleum (BP) ha pagato 60 milioni di dollari americani al Ministero della Difesa della Colombia. In cambio, l’esercito era d’accordo nel fornire soldati per monitorare la costruzione di un oleodotto che avrebbe accelerato il trasferimento del petrolio greggio (e enormi profitti) sulla costa. La BP fornì l’addestramento per i soldati attraverso una società privata di “sicurezza” inglese chiamata Defense Systems Limited. Secondo un rapporto commissionato dal governo colombiano, la BP ha collaborato anche con i soldati locali in rapimenti, torture e omicidi. La BP ha raccolto foto e video di popolazioni locali che protestano contro le attività legate al petrolio, da consegnare poi alle forze armate colombiane, che quindi arrestavano o rapivano i dimostranti. La “Guerra alla Droga” del governo americano ha anche facilitato la ricerca e l’estrazione di petrolio in Colombia. La nebulizzazione aerea di vaste aeree con sostanze chimiche defolianti altamente tossiche, loro stesse prodotto dell’industria petrolchimica, distrugge i raccolti di cocaina, ma libera anche ampie aree per la ricerca del petrolio. Gli abitanti si stanno opponendo a questa distruzione. Gli indigeni U’wa recentemente hanno conseguito diversi successi nella lotta non violenta che hanno condotto per 10 anni al fine di proteggere la loro terra dalla gigante multinazionale Shell Oil.
Fonte: Project Underground
7. Antartide – Numerosi studi scientifici hanno dimostrato che l’accelerato cambiamento climatico del mondo – risultato della combustione di combustibili come il petrolio e degli scarichi industriali associati all’estrazione e alla raffinatura del petrolio – ha già cominciato a verificarsi. Un risultato di questa tendenza è lo scioglimento e la rottura delle calotte polari. Questo, successivamente, porta a un innalzamento del livello del mare, che può inondare città ed ecosistemi nelle zone costiere. Gli scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo delle Nazioni Unite che studia i cambiamenti climatici, chiamano questa tendenza “un non intenzionale, incontrollato, globalmente diffuso esperimento le cui massime conseguenze potrebbero essere seconde solo a una guerra nucleare mondiale”. Una soluzione a lungo termine per il problema del cambiamento climatico richiederà una transizione globale lontana dai combustibili fossili.
Fonte: Greenpeace, Rainforest Action Network.
8. Spagna – Il 19 novembre 2002, la petroliera Prestige si spaccò in due e affondò al largo della costa spagnola. La nave trasportava 77.000 tonnellate di carburante. Gli ecologisti temono che la ventiseienne Prestige sia una bomba ad orologeria ambientale a riposo a circa 130 miglia dalla costa spagnola e a 2 miglia sotto la superficie. Il disastro non solo minaccia la natura e la salute pubblica, ma devasta anche i pescatori locali. E’ improbabile che le compagnie petrolifere se ne assumano la responsabilità. “L’industria petrolifera non trascura nessuna opportunità di nascondersi dietro una struttura legale così complessa che la responsabilità delle loro azioni diventa quasi impossibile da far osservare” dice Ian Wilmore dei Friends of the Earth.
Fonte: Earthjustice, Project Underground.
9. Nigeria – Dagli anni ‘60, le trivellazioni nel delta del Niger hanno causato centinaia di versamenti di petrolio all’anno, come anche grosse eruzioni di gas provenienti dalle attività di estrazione. Migliaia di Ogoni e altre popolazioni indigene del delta del Niger sono stati massacrati dall’esercito e dalla polizia nigeriana dopo aver protestato contro la distruzione causata dalle estrazioni petrolifere. Le compagnie petrolifere come la Shell e la ChevronTexaco sono strettamente collegate col brutale regime del governo. Le compagnie pagano al governo una certa somma per ottenere i diritti di trivellazione, in cambio forniscono all’esercito armi, addestramento e braccia. Ciononostante, la resistenza è forte. Nel 2002, migliaia di donne delle comunità dello Itsekiri, Ilaje e Ijaw si unirono per chiedere giustizia economica e ambientale. Occuparono le strutture della ChevronTexaco e chiesero di porre fine all’inquinamento, di ottenere il risarcimento economico dei danni, il sostegno per lo sviluppo economico del loro paese e posti di lavoro per i propri figli. Le donne incontrarono una violenta repressione, ma riuscirono a ritardare le attività della ChervronTexaco, arrivando a negoziazioni e concessioni da parte della compagnia.
Fonte: Project Underground
10. Il centro dell’agricoltura – Dai fertilizzanti derivanti dal petrolio, pesticidi e buste di plastica fino al trasporto e alla refrigerazione, il nostro sistema alimentare dipende dall’enorme consumo di combustibili fossili, soprattutto petrolio. Circa il 17% di tutta l’energia utilizzata ogni anno in questo paese, va nella coltivazione, lavorazione e distribuzione di cibo. Per soddisfare i bisogni alimentari primari degli undici miliardi di persone che dovrebbero vivere nel 2040, avremo bisogno di triplicare l’approvvigionamento alimentare mondiale. Facendo questo con gli odierni metodi convenzionali, gli esperti stimano che ci vorrà un aumento del 1.000 per cento dell’energia totale utilizzata nella produzione alimentare. Anche se riuscissimo a tollerare il riscaldamento globale e l’inquinamento che ne deriverebbe, semplicemente questo non può accadere – non c’è nessun posto al mondo in cui ci sia abbastanza petrolio da permetterlo. I metodi dell’agricoltura sostenibile, compresa la produzione locale e organica, insieme a cambiamenti in un alimentazione non più basata sullo sfruttamento delle risorse e su cibi altamente proteici, costituiscono l’unica reale soluzione.
11. Afghanistan – Nel nord dell’Afghanistan, sulle coste orientali del mar Caspio, si trovano alcuni dei più ricchi giacimenti naturali di gas e petrolio del mondo. Nel 1996, un consorzio guidato dall’Unocal avviò delle negoziazioni col governo Talebano per costruire un gasdotto naturale attraverso il paese, ma non riuscirono a raggiungere un accordo. Abbastanza convenienti per le compagnie petrolifere statunitensi, gli attacchi USA sull’Afghanistan nel 2002 hanno portato a un cambiamento nella direzione del paese. Il nuovo presidente afgano, Hamid Karzai, un ex consulente dell’Unopal, da allora fa pressioni per ciò che lui chiama il “gasdotto per la pace”.
Fonte: EurasiaNet.org, HiPakistan.com.
12. Arabia Saudita – Essendo il paese con le più grandi riserve petrolifere del mondo, le lotte interne dell’Arabia Saudita riflettono le pressioni conflittuali dell’economia petrolifera. Dato che l’industria petrolifera richiede enormi investimenti iniziali di capitale, e dato che l’estrazione petrolifera è troppo costosa per essere redditizia se la terra e la forza lavoro venissero pagati onestamente, le economie basate sul petrolio come quella dell’Arabia Saudita tendono a essere costruite su immense disuguaglianze. Mentre le elite locali si associano con società multinazionali e governi stranieri, “l’imperialismo culturale” tende a sostituire le tradizionali abitudini di vita con altre modellate su uno stile di vita occidentale e consumistico. Nel tentativo di mantenere il potere, l’istituzione saudita, bloccata tra la pressione statunitense e una popolazione ribelle, ha diretto i propri investimenti fuori degli Stati Uniti e si è mostrata indecisa nell’accettare la guerra in Iraq.
Fonte: Project Underground
13. Iraq – Questa nazione di 24 milioni di abitanti è seconda al mondo per le sue riserve petrolifere. Chiunque controlli l’accesso alle riserve irachene non solo guadagna enormi profitti, ma possiede anche la chiave per il mondo politico. L’attuale guerra in Iraq, considerata da molti come una lotta per controllare le vaste riserve petrolifere, costerà ai contribuenti americani un minimo di 75 miliardi di dollari per l’indefinita lunghezza della guerra, e sarà seguita da una “presenza militare americana” che durerà dai dieci ai venti anni, secondo il segretario della difesa Donald Rumsfeld. Mentre l’intera infrastruttura civile irachena viene ricostruita, il petrolio – una volta regolato dal governo iracheno – sarà aperto alla proprietà di multinazionali straniere. Il governo statunitense e i leader corporativi stanno già compilando dei piani per realizzare degli utili sulla ricostruzione dell’Iraq, compresa l’idea di lasciare le attività di ricostruzione alle multinazionali “logistiche”, come la Halliburton, la più grande società di servizi petroliferi e di gas del mondo, un tempo diretta dal vicepresidente Dick Cheney.
Fonte: Project Underground
14. Kuwait – Sito dell’ultima guerra di Bush contro l’Iraq, questa minuscola nazione ci offre una vaga idea degli orrori ambientali della guerra. Chiazze di petrolio, incendi incontrollati, inquinamento tossico dell’aria e distruzione degli habitat naturali sono il risultato del sabotaggio iracheno e dei bombardamenti americani. L’inquinamento derivante dalle centinaia di incendi di pozzi petroliferi superava le emissioni giornaliere di tutte le strutture industriali e gli stabilimenti energetici americani messi insieme. Non si è riusciti a estinguere completamente questi incendi prima di otto mesi dalla fine della guerra. Le bombe FAE (bombe “a vuoto”) – armi convenzionali di distruzione di massa usate nella Guerra del Golfo e in Afghanistan – bruciano grosse quantità di combustibile quando esplodono sui loro bersagli. Anche le forze armate consumano enormi quantità di carburante nelle loro normali attività – 100.000 galloni al giorno per una singola portaerei. Proprio il petrolio per il quale si combatte alimenta la macchina da guerra, e viene usato anch’esso come arma.
Fonte: Project Underground
15. La trivellazione al largo delle coste della California – Le attività di trivellazione al largo della costa producono un flusso continuo di inquinamento; l’industria è stata segnata da versamenti sfrenati ed emanazioni tossiche. Piombo, cromo e mercurio, insieme a potenti carcinogeni come il toluene, il benzene e lo xilene, circolano nell’oceano. Le attività di trivellazione distruggono anche strati di macrocistidi, scogliere e zone paludose costiere. Durante gli anni ‘80 e ‘90, le comunità costiere vinsero molte lotte a livello locale per la regolamentazione e la restrizione delle trivellazioni. Nel 1994, la California vietò un nuovo sfruttamento del petrolio al largo della costa. Ma nel 1999, un’agenzia federale rinnovò i contratti di trivellazione a 36 siti precedentemente non trivellati lungo la costa. I funzionari statali e i gruppi ambientalisti la citarono in giudizio e il tribunale decise che il prolungamento della durata dell’’affitto era illegale. Ma l’industria e i loro alleati governamentali non hanno rinunciato e la lotta per la trivellazione al largo continua sia a livello rurale che legislativo.
Fonte: Environment California
16. Pacific Rim – I rifiuti plastici, un aspetto spesso ignorato dell’economia petrolifera, si stanno accumulando nei paesi del Pacific Rim, dando vita a catastrofi ambientali e lavorative. Nonostante la maggior parte dei rifiuti sia costituita da buste di plastica utilizzate negli Stati Uniti, essa viene trasportata oltremare a causa di più negligenti norme sull’inquinamento, insieme a salari più bassi e protezioni per la salute dei lavoratori. Molti di questi rifiuti, inclusa la plastica selezionata per il “riciclaggio”, viene alla fine buttata via o incenerita – più del 50% di quella che viene trasportata, secondo Greenpeace. I lavoratori che trattano questi materiali ricevono salari al di sotto della norma e vengono spesso esposti direttamente al mucchio di tossine che vengono rilasciate quando i prodotti petroliferi vengono raffinati.
Fonte: Ecology Center, Greenpeace
17. Filippine – Nelle Filippine, la popolazione sta cercando modi creativi ed efficaci per proteggere la propria salute dagli inquinatori petroliferi. A Manila, i residenti che vivono vicino a una struttura per l’immagazzinamento del petrolio di una gigante multi società hanno formato una “brigata del secchio”. Utilizzando secchi da 5 galloni, essi raccolgono campioni d’aria per documentarne l’inquinamento. Nelle ex basi militari statunitensi, gli abitanti si sono alleati con la Coalizione filippino-americana per le Soluzioni Ambientali per spingere le forze armate americane a ripulire le ex basi che sono contaminate dai prodotti petrolchimici e altre tossine. Anche nelle Filippine, come in altri paesi del mondo, la popolazione si sta organizzando per vietare l’incenerimento di prodotti plastici e altri rifiuti. Bruciare la plastica e altri prodotti petroliferi produce inquinanti persistenti come la diossina che ha impatti molto gravi sulla salute delle persone. La GAIA (Global Alliance for Incinerator Alternatives), un’organizzazione con membri provenienti da 60 paesi del mondo, è stata estremamente attiva nelle Filippine, le quali diventano quest’anno il primo paese ad attuare un divieto su scala nazionale per l’incenerimento dei rifiuti. Fonte: Filipino American Coalition for Environmental Solutions.
18. Kyoto Oilwatch Declaration – La produzione di combustibili fossili ha conseguenze distruttive in ogni sua fase, dall’estrazione all’inquinamento atmosferico. Se vogliamo proteggere la salute pubblica, mantenere la diversità biologica e culturale e stabilizzare il clima globale, dobbiamo liberarci dell’abitudine a utilizzare i combustibili fossili. Durante le negoziazioni di Kyoto, una coalizione di più di 200 tra le più importanti organizzazioni provenienti da 52 paesi hanno redatto la Oilwatch Declaration, la quale impone un’immediata moratoria su tutte le nuove ricerche di combustibili fossili (vedi http:/www.ran.org/oilreport/kyoto.html). Di solito, il più grande ostacolo a tali soluzioni internazionali sono gli Stati Uniti, che spesso si rifiutano di firmare o attuare tali trattati.
Fonte: Rainforest Action Network
19. Siberia – Nel Khant-Mansy Autonomous District della Siberia occidentale, ogni anno si verificano 1.000 versamenti di petrolio, secondo il Comitato Ecologico Regionale. Molte famiglie indigene hanno perso l’accesso a pascoli adeguati per accudire le renne, un fondamento del loro benessere economico e culturale. La situazione in Siberia fa parte della “violazione sistematica da parte dell’industria petrolifera del diritto delle popolazioni indigene a creare il proprio percorso di sviluppo sui propri termini culturali”. Fonte: Project Underground
Traduzione di Giorgia Capelli per Nuovi Mondi Media
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