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Asia, l'ambiente presenta il conto

Nuove immagini dallo spazio mostrano Cina e India coperte di smog. Gigantesche nubi generate dalle attività industriali dei due paesi
23 novembre 2004
Sabina Morandi 

Asia dal satellite Ci sono delle foto che meglio di ogni altra immagine ritraggono l'insostenibilità dell'attuale modello di sviluppo. Sono le fotografie scattate da Aqua e Terra, due satelliti della Nasa, che ritraggono le gigantesche nubi di smog generate dalle attività industriali dei due paesi con la crescita più rapida del mondo, India e Cina. Nel primo caso la nube che si estende ai piedi dell'Himalaya, dall'India al Pakistan, è stata arginata dalla catena montuosa che le impedisce di allargarsi a nord, verso il Tibet. Qualche migliaio di chilometri più a est, sui cieli della Cina orientale, la nube si estende dalla pianura costiera che circonda il Fiume Giallo fino a Pechino, situata nel nord del paese. In entrambi i casi si tratta dello smog prodotto dall'azione congiunta delle centrali elettriche a carbone - soprattutto in Cina - delle emissioni degli autoveicoli - soprattutto in India - e di scarichi industriali di ogni tipo.

Del resto lo smog non è l'unico problema ambientale che l'Asia dovrà prima o poi affrontare. David Griggs, dell'Hadley Center for Climate Prediction and Research britannico (Centro Hadley per la previsione e la ricerca sul clima), intervenendo a una conferenza dell'Asian Business Council a Singapore, ha illustrato le conseguenze del cambiamento climatico nella regione. Man mano che le temperature cresceranno, l'Asia verrà colpita sempre più spesso da siccità, fenomeni meteorologici estremi - come alluvioni e tifoni - e dall'erosione dei terreni agricoli causata dall'innalzamento dei mari. Basti pensare che, se il livello del mare dovesse crescere di un metro da qui a un secolo - come stimato dagli esperti - il Bangladesh perderebbe il 17 per cento del suo territorio. Potrà sembrare impossibile ma, fino a questo momento, il ruolo dell'industrializzazione accelerata dell'Asia è stato sottostimato sia dai ricercatori che stilano questo tipo di previsioni sia dagli analisti economici. Si è dovuti arrivare a pochi mesi dall'entrata in vigore ufficiale del protocollo di Kyoto - un piano molto blando per la riduzione delle emissioni - per cominciare a gettare un'occhiata a Est.

Fin qui le brutte notizie. C'è di buono che l'intervento del dottor Griggs si è svolto di fronte ai più importanti uomini d'affari di questa classe emergente che sono i capitalisti asiatici, per la prima volta riuniti a discutere del problema. Sì, avete letto bene, è la prima volta. Fino a questo momento le preoccupazioni occidentali sullo stato dell'ambiente globale sono state liquidate, nel migliore dei casi, come un lussuoso gadget idealistico per scandinavi privi di preoccupazioni economiche. Nel peggiore caso come un metodo, nemmeno troppo occulto, di frenare la crescita dei pericolosi concorrenti dagli occhi a mandorla. Piano piano, la mentalità è cominciata a cambiare. Man mano che vengono integrate nel sistema economico mondiale, le compagnie asiatiche vengono chiamate a rendere conto degli standard ambientali e lavorativi dai partner e dai clienti stranieri. Inoltre, a differenza dei capi delle multinazionali d'oltreoceano, vivendo in città come Beijing e Hong Kong, i direttori esecutivi delle industrie asiatiche sono costretti a fare i conti quotidianamente con le conseguenze dell'inquinamento.

In questo senso la disponibilità degli industriali riuniti nel Asian Business Council ad ascoltare le parole dell'esperto inglese di clima, è già un buon segno. E ieri a Singapore c'erano i nomi più noti dell'imprenditoria asiatica. Il gruppo tessile di Hong Kong Esquel, ad esempio, quasi 50 mila impiegati per un giro d'affari miliardario, si candida a leader dello sviluppo sostenibile versione cinese. Del resto Esquel è direttamente colpita dalla siccità che affligge la regione dello Xinjiang dove «nel '95 si poteva ancora coltivare il cotone che ci serviva», ha raccontato Marjorie Yang, la presidente del gruppo, «mentre oggi dobbiamo trasportarlo da campi lontani, con costi altissimi. Per questo bisogna intervenire prima che il danno sia fatto».

Sulla stessa lunghezza d'onda di Esquel viaggia la Godrej & Boyce, uno dei più grandi produttori di frigoriferi dell'India che, con l'aiuto di alcuni governi europei, ha lanciato un programma di risparmio energetico e di recupero dei rifiuti. Il programma pionieristico ha dimostrato che anche la produzione di frigo "amici dell'ozono" può essere praticabile anche in India, e che la politica di risparmio energetico, dopo gli investimenti necessari per la modernizzazione degli impianti, alla lunga produce vantaggi notevoli anche sul piano economico.

Secondo Ruth Shapiro, direttore esecutivo del Council, «la vecchia retorica anti-ecologista del "che diritto ha l'Occidente di dirci cosa fare dopo avere inquinato il pianeta per cinquant'anni" è stata sostituita da un approccio più pragmatico. Non è nell'interesse di nessuno avere ambienti inquinati: anche i direttori esecutivi devono vivere qui, e lo stesso i loro figli».

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