Messina senza sindaco ma con rifiuti d’oro
24.11.04
Promuovi oggi e promuovi domani, a Messina si sono inventati per i pizzardoni una qualifica deluxe: «Specialisti Evoluti di Vigilanza della Polizia Municipale». «Perdindirindina!!!», direbbe Totò. Manco loro però, gli scienziati del fischietto, possono metter ordine nel caos di condanne e ricorsi, leggine e abissi finanziari nel quale sprofonda il Comune. Che mentre si accatastano mirabolanti progetti per il ponte più grandioso di tutti i tempi e di tutti i continenti, è da un anno esatto (tanti auguri) senza il sindaco, Peppino Buzzanca. Il quale, condannato e decaduto per essersi fatto portare dall’autoblu in viaggio di nozze, si è imbullonato alla poltrona e resiste con l’accanimento di Cuauhtemoc durante l’assedio di Tenochtitlan. E’ una «città in macerie», scrive la Gazzetta del Sud , che pure non è ostile alla Casa delle Libertà, al governo Berlusconi e al Ponte. Una città dove il commissario Bruno Sbordone, sepolto dalla mole di lavoro che toccherebbe al sindaco deposto e a tutti gli assessori, vien giù due o tre giorni la settimana da Pordenone, dove vive, e subito se ne riparte. Dove le casse son così vuote che i creditori fanno pignorare i quadri del Comune. Dove cadono i soffitti delle scuole elementari e il solo trovare i denari per aggiustarli diventa una corsa affannosa. Dove la qualità della vita si è deteriorata al punto che Messina è all’ultimissimo posto (103° su 103) tra tutti i capoluoghi d’Italia nel dossier del «Sole 24 ore»: 93° per depositi bancari, 91° tasso di occupazione ed export, 100° per tutela dell’ambiente...
Una città dove l’ex sindaco Salvatore Leonardi, oggi alla guida di una Provincia disperata, trova il tempo per fare anche il dirigente part-time all’Università di Reggio. Dove le pagine di cronaca sparano titoli tipo «Dighe di rifiuti nei torrenti aspettano il "collaudo" delle piogge» sopra foto di discariche nei letti di fiumiciattoli defunti che attendono solo la prima piena per tappare i ponti e allagare i quartieri. Dove la raccolta della spazzatura costa al Comune 39 milioni di euro l’anno, dei quali solo 7 (uno e mezzo l’anno) recuperati per il periodo dal ’99 al 2003. Un delirio.
Per capirci: con 530 addetti Messina butta il pattume di 260 mila abitanti in fetide discariche stracolme ed è in rosso per decine di miliardi. Con 264 dipendenti, la metà, l’azienda di Padova serve venti comuni, smaltisce in due impianti d’avanguardia (posti quasi nel centro della città, alla faccia delle rivolte plebee di altre zone della penisola) i rifiuti (per un terzo differenziati) di 450 mila abitanti e grazie al pagamento corale delle bollette non costa al Comune un cent.
Non bastasse, il business messinese (come ha dimostrato l’esplosiva inchiesta del pm Ezio Arcadi conclusa con la richiesta di una ventina di arresti e molte polemiche sul coinvolgimento di uomini di spicco come l’Udc Giuseppe Astone e il diessino Lillo Crisafulli) è in mano a una società mista, Messinambiente, dove il Comune ha il 51% ma riconosce al partner privato il 118 (avete letto bene: il centodiciotto) per cento degli incassi. Un affare. Così sporco che il procuratore Luigi Croce ha detto in Commissione parlamentare per il ciclo dei rifiuti cose pesantissime. Che «tanto per l’appalto quanto per la costituzione della società mista vi fu certamente un’influenza della criminalità». Che la società partner Altacoen (Alternativa ecologica ennese) sbarcò a Messina perché spinta «dal boss Nitto Santapaola». Che a un certo punto l’ex sindaco Leonardi «resosi conto che il costo del servizio era lievitato da 23 a circa 80 miliardi di lire l’anno, voleva risolvere il contratto» ma gli amministratori della Altacoen «non fecero altro che interessare i mafiosi della zona, i quali si sono presentati in consiglio comunale che doveva discutere la questione e hanno imposto ai consiglieri, molti dei quali emanazione di quei gruppi, di soprassedere». Che a sostegno della Altacoen intervenne l’uomo forte del centrodestra messinese, Astone, che «sistemò tutto nel giro di qualche giorno» così che «il sindaco ha fatto marcia indietro e tutto è continuato come prima».
In un paese serio, una città seria, una coalizione seria, sarebbe successa l’iradiddio. Invece, a una settimana dalla pubblicazione delle accuse del giudice, non uno dei politici tirati in ballo s’è levato per protestarsi innocente e accusare il magistrato d’aver mentito. Non uno. E tutto va avanti così, come niente fosse successo. Che gli frega, della pubblica opinione? Sopire e troncare, troncare e sopire... Come dopo l’annullamento del concorso per 150 posti inesistenti (25 mila, furono i candidati) bandito da Peppino Buzzanca un attimo prima di passare dalla presidenza della Provincia alla poltrona di sindaco, annullamento salutato dalla Gazzetta con parole indignate: «Il centrodestra ha preso in giro i propri elettori proponendo in campagna elettorale una squadra utile solo a rastrellare voti». O come dopo la pubblicazione della relazione sul Ponte dell’Ufficio Tecnico comunale il quale, nonostante le pressioni, sentenziò che «l’opera così come prevista nel progetto preliminare non può integrarsi con il tessuto urbanizzato esistente».
Per non dire, appunto, di Peppino Buzzanca, il dietologo-sindaco di An che, già processato per aver lasciato scoperto per due settimane il presidio medico di Panarea durante le vacanze di Natale di alcuni anni fa, è stato condannato per essersi fatto portare con la moglie dall’auto blu da Catania a Bari dove doveva imbarcarsi per il viaggio di nozze. Dice lui, appoggiato dall’ex-giustizialista Domenico Nania, che per quella «marachella» ha «già pagato abbastanza». E non molla, costi quel che costi.
Al punto che, esauriti tutti i ricorsi possibili e immaginabili, ha fatto ricorso pure contro il verdetto che lo dichiarava decaduto. E ha scatenato l’inferno finché il Consiglio dei ministri, che non vuole correre neanche il rischio minimo di tornar alle urne (Messina è da sempre una roccaforte di destra) mentre sono in ballo il ponte e l’inchiesta sulla spazzatura, è arrivato a varare mesi fa apposta per lui, alla vigilia della sentenza in Cassazione, una leggina per la quale ineleggibilità e decadenza valgono solo per il «peculato di appropriazione» (quando ti prendi di una cosa per sempre) e non per il «peculato d’uso». Leggina a sua volta finita nel tritacarne di ricorsi, fino in Corte Costituzionale. La decisione arriverà la prossima settimana. Ma sono in pochi a sperare che la faccenda possa chiudersi lì. E i messinesi, intanto? Che aspettino, che aspettino...
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