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I contadini cinesi insorgono contro il businness delle dighe

Disastro ambientale e 10 milioni di persone sfrattate

30 novembre 2004
Sabina Morandi

Carta della provincia cinese di Sichuan La notizia è della settimana scorsa ma ci ha messo un po' di tempo per passare le maglie della censura: nella provincia del Sichuan due contadini e un poliziotto sono morti durante gli scontri scoppiati dopo una mobilitazione che va avanti da più di un mese, da quando cioè circa 40mila persone si sono messe in testa di bloccare i lavori della diga di Pubugou.
Per i comunisti cinesi - come per i socialisti indiani dell'epoca di Nerhu - le dighe sono uno dei simboli del "Grande balzo" che avrebbe dovuto portare il paese ai livelli di sviluppo dell'Occidente. L'assunzione acritica del modello di industrializzazione e di sviluppo capitalista in Cina ha portato alla costruzione di ben 20 mila grandi dighe, che hanno provocato enormi conseguenze ambientali e sociali senza riuscire però a controllare il corso dei capricciosi fiumi che attraversano il paese. L'imitazione dell'Occidente ha causato in primo luogo la rimozione, sia culturale che materiale, della raffinata opera di gestione delle risorse idriche che risale agli albori dell'impero cinese e che in alcune zone, come appunto il Sichuan, funziona ininterrottamente da circa 2200 anni. Dopo le martellanti campagne ideologiche degli anni passati, oggi è la fame di elettricità causata dallo sviluppo accelerato a spingere le autorità verso nuovi progetti. In pericolo ci sono veri e propri capolavori dell'ingegneria come il sistema d'irrigazione del Dujiangyan, costruito nel terzo secolo avanti cristo, che proteggeva circa cinque milioni di persone dal tumultuoso corso dello Yangtze, irrigando le loro terre e consentendo la navigazione in molte tratte.

Ma non è per difendere un monumento archeologico che i contadini del Sichuan si sono fatti ammazzare. Le migliaia di persone che, dal 5 novembre scorso, hanno bloccato le strade d'accesso ai cantieri della diga, fanno parte di un esercito di circa centomila persone condannate a lasciare le fertili terre che saranno sommerse dalle acque del bacino artificiale. Alla richiesta di sospendere immediatamente i lavori le autorità hanno risposto schierando diecimila soldati. Secondo alcuni resoconti circolati on line -visto che i media ufficiali hanno taciuto l'evento -contestatori si sono scontrati con la polizia intorno al palazzo del governo provinciale che, vista la gravità degli eventi, ha temporaneamente sospeso la costruzione della diga. La violenza degli scontri non deve sorprendere: i contadini sono disperati. Agli sfrattati, che sono stati informati del progetto soltanto il 27 luglio scorso, sono stati offerti risarcimenti ridicoli e nuovi insediamenti in una zona montagnosa, a stento coltivabile. I contadini dello Sinchuan hanno accusato le autorità locali di avere fornito al governo centrale false valutazioni sulla qualità delle terre da sommergere, per giustificare l'esiguità dei rimborsi loro assegnati. Ma la terra della contea di Hanyuan, nutriva egregiamente circa centomila persone, cosa che certamente non farà la diga né i due o tre supermercati che verranno alimentati dalla sua centrale.

Oltre a chiedere il blocco dei lavori, o per lo meno risarcimenti degni di questo nome, i contadini hanno denunciato l'enorme giro di mazzette che circola intorno al cantiere, sollecitando il governo centrale a farsi sentire. Accuse confermate dall'unico funzionario che ha accettato di rilasciare dichiarazioni, un membro del Political Consultative Committee della contea di Hanyuan. Fino a questo momento il governo centrale aveva ignorato le richieste degli abitanti e soltanto dopo gli scontri ha deciso di mandare una task force per esaminare la posizione dei tecnici e dei funzionari locali.

Comunque, corruzione a parte, è ormai appurato che le dighe sono una catastrofe sia sociale che ambientale. E le dighe cinesi, che complessivamente hanno causato il trasferimento coatto di circa dieci milioni di persone, non fanno eccezione. La lotta dei contadini cinesi contro le dighe, però, è lontana dal livello di consapevolezza e di politicizzazione del movimento indiano. Si tratta di una rivolta locale che non ha ancora dato vita a strutture organizzate capaci di stringere alleanze su scala nazionale o internazionale come ha fatto il movimento della valle del Narmada che, collegandosi con gli ambientalisti occidentali, ha trasformato la lotta contro le dighe in una campagna mondiale.

Ma al movimento del Narmada ci sono voluti anni, mentre qui siamo soltanto all'inizio di una lotta che, per ora, è soltanto uno dei tanti conflitti innescati dallo sviluppo accelerato. Resta il fatto che, malgrado la strettissima censura, le notizie su simili proteste si sono moltiplicate e perfino le cifre fornite dagli organi ufficiali, sicuramente corrette al ribasso, hanno dimensioni bibliche. Basti pensare che, nel solo 2003, sono state registrate 58 mila proteste su larga scala che hanno coinvolto almeno tre milioni di persone. Nel solo mese di ottobre c'è da registrare la protesta dei lavoratori tessili di Bengbu, nella provincia dell'Anhui, che hanno bloccato la città per una settimana per ottenere una pensione dignitosa. A Jining City, nella provincia dello Shandong, migliaia di lavoratori hanno assediato il distretto dei supermercati pubblici - di recente privatizzati - per protestare contro le arbitrarie riduzioni di salario e l'impiego eccessivo degli straordinari. Il 18 ottobre, a Chongoing, cinquantamila persone hanno messo a ferro e fuoco la città per protestare contro il pestaggio di un lavoratore migrante da parte della polizia. E' stato necessario un abbondante impiego di gas lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere la folla inferocita. Infine, il 29 ottobre, le autorità sono state costrette a mettere sotto legge marziale due villaggi della provincia dello Henan, dove le crescenti disparità sociali hanno causato scontri fra la comunità cinese e la minoranza musulmana.

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