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Le guerre per l’acqua

L’acqua è parte dell’eredità della terra. Bisogna preservarla per le generazioni future e proteggere quella di pubblico dominio con leggi locali, nazionali e internazionali. L’accesso all’acqua pulita è un diritto umano fondamentale e la privatizzazione non contribuirà a preservarla.

 
15 dicembre 2004
Mohammed Mesbahi
Fonte: www.nuovimondimedia.it
14.12.04

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Ogni forma vivente, ogni pianta, ogni animale e ogni essere umano ha bisogno di acqua per sopravvivere. Per secoli, probabilmente millenni, in tutto il mondo, l’acqua è stata condivisa, poiché era riconosciuto il diritto di ognuno ad accedere a questa risorsa essenziale. Per migliaia di anni gli ordinamenti giuridici hanno accettato che l’acqua corrente non potesse essere di proprietà privata. Perfino nell’Occidente industrializzato, fino a poco tempo fa, l’acqua è stata una risorsa condivisa. Nel mondo industrializzato furono creati servizi pubblici per installare dei complessi sistemi di distribuzione dell’acqua e di trattamento dei liquami. La popolazione del ‘primo mondo’ pagava per la distribuzione dell’acqua, la manutenzione del sistema, la costruzione di cisterne e di altri sistemi di immagazzinamento dell’acqua, ma questa è comunque rimasta una risorsa condivisa.

Tuttavia, negli ultimi cinquant’anni, dato che la popolazione mondiale è aumentata e che l’acqua è divenuta sempre più scarsa, quest’ultima si è trasformata in una risorsa sempre meno condivisa. Negli anni settanta organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l’UNICEF, l’ Organizzazione Mondiale della Sanità e il Piano di Sviluppo dell’ ONU iniziarono a rendere manifesta la condizione dei poveri nel Terzo Mondo. Nel 2003 più di un miliardo di persone, un quarto della popolazione mondiale, non aveva accesso all’acqua potabile. Ogni anno più di cinque milioni di persone (perlopiù bambini) muoiono a causa di malattie legate all’acqua, come la dissenteria e la diarrea. Il consumo idrico globale si duplica ogni vent’anni, più del doppio del tasso di crescita della popolazione. L’ONU prevede che l’acqua scarseggerà sempre di più e che la sua disponibilità globale pro capite potrebbe diminuire, nei prossimi vent’anni, di un terzo. I poveri del Terzo Mondo, che già soffrono per la carenza d’acqua, saranno i più colpiti

Privatizzazione dell’acqua

Nel 1989 Margaret Thatcher attuò un imponente piano di privatizzazione idrica per tutta l’Inghilterra e il Galles. D’un tratto una preziosa risorsa naturale condivisa fu sottratta agli inglesi, svenduta e privatizzata. Gli inglesi si trovarono a dover pagare le imprese idriche non solo perché fornissero l’acqua, ma anche affinché potessero ottenere profitti per i loro azionisti e per pagare enormi prezzi di gestione. Le bollette dell’acqua raddoppiarono in meno di dieci anni, causando privazioni in molte parti del Regno Unito. Ci furono 50.000 disinnesti durante questo periodo e la qualità dell’acqua si deteriorò rapidamente.

Nel 1990 le imprese idriche internazionali operavano in 12 paesi.

Tra il 1994 e il 1998 ci furono 139 grosse operazioni commerciali legate all’acqua. Inoltre, in molte parti del ‘primo mondo’, i governi hanno continuato a salvaguardare le loro risorse idriche e a fornire un servizio pubblico ai loro cittadini. Ciò intralciava i piani delle imprese idriche globali che volevano comprare questi servizi pubblici. Così iniziarono a entrare in società con istituti finanziari internazionali in modo da ridurre il ruolo giocato dai governi nella distribuzione dell’acqua.

Le prime due forme societarie, Global Water Partnership (GWP) e il Consiglio Mondiale dell’Acqua (WWC) si formarono nel 1996 con Ismail Serageldin, Vice-Presidente della Banca Mondiale, in carica al Consiglio Mondiale dell’Acqua. Una volta formate queste società, le imprese idriche potevano negoziare e collaborare con banche multilaterali e con le Nazioni Unite.
Il Consiglio Mondiale dell’Acqua tenne il suo primo meeting, il Forum Mondiale dell’Acqua, a Marrakesh nel 1997.

Nel 1998 il Consiglio Mondiale dell’Acqua creò la Commissione Mondiale dell’Acqua, che includeva tutte le maggiori società idriche e l’amministratore delegato della Banca Mondiale/Fondo Mondiale per l’Ambiente, Mohamed T. El-Ashry. La commissione richiese l’intera deregolamentazione del settore idrico e raccomandò che le società trans-nazionali prendessero il comando sulla distribuzione dell’acqua nel mondo.

Nel 2000 le società idriche private operavano in 100 paesi e il 10% dell’acqua mondiale era privatizzata. Nello stesso anno la Banca Mondiale, l’ONU e alcune delle più grandi società idriche si incontrarono al secondo Forum Mondiale dell’Acqua, a L’Aia, in Olanda. Decisero di accelerare la privatizzazione mondiale dell’acqua.

Nel maggio del 2000 Fortune Magazine previde che l’acqua sarebbe diventata “una delle più grandi occasioni di business del mondo”.

Fin da quando iniziarono a collaborare con la Banca Mondiale, le società idriche transnazionali hanno tentato di ottenere maggiore influenza sui singoli paesi. Tutta una serie di accordi commerciali ha aumentato il potere delle società idriche. L’Accordo di Libero Scambio nordamericano (NAFTA), l’Area di Libero Scambio delle Americhe (FTAA) e vari accordi dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) hanno dato alle società idriche transnazionali accesso all’acqua dei paesi che avevano firmato questi accordi. I governi di tutto il mondo, con una firma, hanno perso il loro diritto a controllare le loro scorte d’acqua .

Le due maggiori società idriche, Suez e Vivendi, forniscono ora acqua a 230 milioni di persone, il 7% della popolazione mondiale, per la maggior parte in Europa. Negli USA l’85% delle famiglie riceve l’acqua dai servizi pubblici. Ma le società idriche fanno pressione sul Congresso, con lobby che insistono per leggi che le proteggano da procedimenti penali riguardo le acque contaminate. Questa legislazione renderà più facile per le società idriche prendere il controllo della distribuzione. Il parlamento britannico ha già fatto passare una legge che fornisce alle imprese idriche del Regno Unito un indennizzo per procedimenti penali intentati contro di loro da parte del pubblico.

La privatizzazione dell’acqua nel Terzo Mondo

La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale stanno ora premendo sui paesi del Terzo Mondo affinché svendano la loro acqua alle multinazionali per ridurre il loro debito nazionale. Insieme alle organizzazioni internazionali per lo sviluppo, hanno promosso l’idea che l’unico modo per distribuire l’acqua nel Terzo Mondo sia attraverso il settore privato. I paesi del Terzo Mondo hanno enormi debiti nazionali che faticano a pagare, così in molti casi il Fondo Monetario Internazionale ha fatto ulteriori prestiti a questi paesi, a condizione che si conformino ai programmi di aggiustamento strutturale, inclusa la privatizzazione delle loro scorte d’acqua. Così come accade in Occidente, la privatizzazione dell’acqua causa costi maggiori che, nel caso delle persone più povere del mondo, non ci si può permettere di pagare.

Nelle parti più povere del mondo le persone (perlopiù donne) sono obbligate ad andare a piedi sempre più lontano in cerca d’acqua che non sia stata privatizzata, acqua che spesso non è né sicura né pulita. In alcuni casi la gente deve scegliere tra comprare l’acqua o il cibo. Oggi in Ghana, dal momento in cui è avvenuta la privatizzazione, il costo dell’acqua è raddoppiato, tanto che le famiglie così fortunate da avere l’acqua corrente devono pagare un quarto del loro reddito per questo servizio e un secchio d’acqua può arrivare a costare fino ad un decimo dei guadagni giornalieri di molte persone.

Proteste contro la privatizzazione dell’acqua

A Cochabamba, in Bolivia, le tariffe dell’acqua sono aumentate del 35% dopo che l’impresa idrica Bechtel ha acquistato, nel 1999, l’acqua della città. I cittadini di Cochabamba erano così infuriati che hanno marciato, protestato e sollevato tumulti. Alla fine, il governo boliviano ha annullato il contratto con la Bechtel. Ci sono state proteste contro la privatizzazione dell’acqua in Paraguay, Panama, Brasile, Perù, Colombia, India, Pakistan, Ungheria e Sudafrica.

Guerre per l’acqua

Nel 1979 Anwar Sadat disse: “L’unica questione che può portare di nuovo l’Egitto in guerra è l’acqua”. La sua minaccia era diretta all’Etiopia. Re Hussein di Giordania disse la stessa cosa nello stesso anno e la sua minaccia era diretta ad Israele. Negli anni ’80 i servizi segreti del governo statunitense valutarono dieci luoghi in cui sarebbero potute scoppiare guerre per l’acqua: Giordania, Israele, Cipro, Malta, la penisola araba, Algeria, Egitto, Marocco, Tunisia e lo Yemen. Più di 200 sistemi fluviali attraversano i confini internazionali.

Nel 1999 Gheddafi ammonì che la “prossima guerra nel Medio Oriente potrebbe riguardare la diminuzione delle scorte d’acqua”. Altri dicono che i conflitti passati e presenti nel Medio Oriente hanno sempre riguardato l’acqua. La scarsità d’acqua in Medio Oriente è veramente critica. Il 4,5% della popolazione mondiale vive nell’area che contiene metà del petrolio mondiale, il 2% delle precipitazioni e lo 0,4 % delle scorte d’acqua recuperabili del mondo. E’ una delle regioni del mondo più “stressate” per l’acqua, con livelli qualitativi che si vanno deteriorando e scorte d’acqua che vanno scemando. Si prevede che la scorta idrica pro capite in Arabia, entro il 2030, si ridurrà della metà.

Israele

Israele riceve due terzi della sua acqua dai territori che ha invaso: le alture del Golan e la Cisgiordania. Prende l’acqua dal Giordano e la deposita nel Mare di Galilea, contravvenendo alle leggi internazionali che stabiliscono che l’acqua non deve essere deviata dal suo bacino di raccolta. Quest’acqua viene poi trasportata alle città, alle fattorie e alle industrie israeliane.

Il fiume Giordano scorre dalle alture del Golan, in Siria e Libano, attraverso la Giordania, Israele e Palestina. Israele iniziò a prendere acqua dalle alture del Golan nel 1949 e lo invase nel 1951, cacciando gli abitanti dei villaggi e ignorando le proteste degli Osservatori dell’ONU.

Nel 1953 l’amministrazione Eisenhower preparò un piano unificato per l’uso del Giordano, garantendone a Israele l’uso del 33%. Ma Israele voleva di più, così nel settembre del 1953 iniziò a costruire in segreto un condotto per deviare il Giordano dalle alture del Golan a dispetto degli USA. Quando questi se ne accorsero furono applicate delle sanzioni. Israele sospese per breve tempo i lavori al condotto gli aiuti americani ricominciarono ad arrivare e quindi Israele continuò i lavori al progetto di deviazione, che presto fu completato. Siria e Giordania protestarono contro l’appropriazione da parte di Israele della loro acqua e l’OLP attaccò il condotto. Israele in seguito ignorò diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ ONU e occupò le alture del Golan nel 1967.

Nel 1982 Israele invase il Libano e prese il controllo dei fiumi Hasbani e Wazzani che confluiscono nel Giordano, oltre che del Litani.

Un quarto dell’acqua che rimane in Israele proviene da riserve sotterranee nella Cisgiordania, che fu occupata nel 1967. Quest’acqua rifornisce il 30% delle famiglie di Tel Aviv. Israele utilizza inoltre il 17% degli 1.9 miliardi di metri cubi d’acqua che ottiene dalle fonti rinnovabili, causando così il precipitare del livello dell’acqua.

Nel 1994 Giordania e Israele firmarono un trattato di pace in cui Israele accettava di condividere l’acqua del Giordano, ma nel 1999 Israele tagliò la fornitura d’acqua alla Giordania del 60% a causa della siccità.

Nel 1997 la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto in materia di utilizzo dei corsi d’acqua internazionali per scopi diversi dalla navigazione stabilì chiaramente come queste acque dovessero essere condivise: equamente e razionalmente.

I Palestinesi, secondo questo principio, hanno diritto a una parte equa e razionalizzata delle acque internazionali situate nella loro terra. Al momento non possono godere di questo diritto. Le severe restrizioni che Israele impone sull’uso dell’acqua agli agricoltori palestinesi limita decisamente la loro possibilità di coltivare.

India

India e Bangladesh si contendono da vent’anni i diritti di estrazione delle acque del Gange.

Egitto

L’Egitto dipende totalmente dal Nilo. Negli ultimi vent’anni l’Egitto ha deviato le acque del Nilo verso territori del deserto del Sinai in cui erano stati avviati progetti di recupero del territorio, contravvenendo le leggi internazionali, dato che il Nilo scorre attraverso Sudan, Etiopia, Uganda, Kenya, Tanzania, Ruanda, Burundi e Zaire. Le acque del Nilo dovrebbero quindi essere condivise equamente e razionalmente tra tutti questi paesi e non deviate fuori dal loro bacino di raccolta.

Nel 1996 Mubarak annunciò il suo piano di deviazione dell’acqua del Nilo dalla zona al di sotto del Canale di Suez verso la parte settentrionale del deserto del Sinai, a est del Canale di Suez, a 40 km dalla striscia di Gaza. Molti pensano che quest’acqua alla fine arriverà in Israele.

L’86% dell’acqua del Nilo viene dall’Etiopia, che ha disperatamente bisogno di sviluppare progetti idrici per coltivare viveri per la sua popolazione, e che perciò si oppone ferocemente al progetto egiziano di deviazione del Nilo. Il Sudan ha minacciato di tagliare la parte d’acqua dell’Egitto e tutti gli altri paesi bagnati dal Nilo sono contrari al progetto, vedendolo come una violazione delle leggi internazionali.

Ironicamente il Nord del Sinai nel sottosuolo è pieno d’acqua e le precipitazioni sarebbero sufficienti, se venisse coltivato, per sostenere almeno un milione di persone della zona.

Dighe

La costruzione di dighe sui fiumi transnazionali spesso contravviene le leggi internazionali, specialmente quando i paesi a monte prendono più della giusta parte d’acqua rispetto a quelli a valle. Eppure la Banca mondiale e la Banca Asiatica di Sviluppo hanno promosso la costruzione di un gran numero di gigantesche dighe per tutta l’Asia. Queste dighe provocano lo spostamento di milioni di persone che vivono nelle aree che devono essere sommerse e privano gli abitanti delle zone a valle dell’acqua fornita un tempo dal fiume.

Turchia

La Turchia ha firmato, nel 2004, un trattato con Israele per inviare 50 milioni di metri cubi d’acqua l’anno, per 20 anni, dal fiume Manavgat in Anatolia, in cambio di armi. La Turchia sta costruendo dighe sul Tigri e sull’ Eufrate, che scorrono attraverso Siria e Iraq. Questo viene chiamato il Grande Progetto Anatolico e include vasti progetti di irrigazione, sette dighe sull’Eufrate, sei dighe sul Tigri e la gigantesca diga di Ataturk. La diga di Ataturk priverà la Siria e l’Iraq della maggior parte del corso dell’Eufrate. Con Israele che già si appropria dell’acqua del Giordano dalle Alture del Golan, la Siria sarà seriamente priva d’acqua quando il Grande Progetto Anatolico della Turchia sarà completato.

Cina e il Mekong

Sei paesi dipendono dal fiume Mekong per cibo, acqua e trasporti. Il Mekong nasce in Tibet, scorre attraverso la provincia cinese di Yunnan, poi attraverso Birmania, Thailandia, Laos, Cambogia e Vietnam. La diga di Manwan, costruita dalla Cina nel 1996 ha avuto come risultato livelli del fiume più bassi e inondazioni. La Cina sta ora costruendo altre sei dighe e i paesi a valle temono che ciò potrà avere un effetto deleterio sul loro fiume. Nessuna di queste dighe cinesi è stata valutata per il suo impatto sociale o ecologico sui paesi a valle.

Nel 2003 la Banca Asiatica di Sviluppo raccomandò la costruzione di un sistema di generazione di elettricità del valore di 43 miliardi di dollari, includendo le maggiori dighe in Laos, Cina, Birmania e Cambogia. Il Mekong potrebbe diventare uno dei fiumi maggiormente chiusi da dighe del mondo, con più di 100 altre grandi dighe, e progetti di deviazione e irrigazione. E’ difficile immaginare come il Vietnam, l’ultimo paese percorso dal fiume, riuscirà a sopravvivere se tutti questi progetti verranno intrapresi. Le dighe pianificate per il Laos faranno spostare 5.700 persone, ne impoveriranno 120.000 e addosseranno al paese enormi debiti. Tutta l’elettricità prodotta dalla diga andrà in Thailandia. Migliaia di persone del luogo hanno già ricevuto l’esproprio a causa della costruzione di dighe più piccole in Laos.

Irrigazione

Istituti finanziari internazionali, come la Banca Mondiale e la Banca Asiatica di Sviluppo, finanziano gran parte di progetti idrici nel terzo mondo: enormi progetti d’irrigazione, senza un adeguato drenaggio, per far crescere il raccolto. Il 70% dell’acqua mondiale deviata dai fiumi o estratta da falde acquifere viene usata per l’irrigazione dei raccolti. Ci vogliono mille tonnellate d’acqua per produrre una tonnellata di grano.

Potenti pompe diesel estraggono l’acqua da falde acquifere profonde in precedenza non raggiungibili. Queste pompe sono state rese disponibili solo di recente, rendendo possibile per i paesi pompare l’acqua freatica più velocemente di quanto non potesse essere reintegrata dalla pioggia. In tutto il mondo i livelli dell’acqua stanno diminuendo e il mondo sta andando incontro ad un vasto, in gran parte invisibile, deficit d’acqua.

Cina, India e Stati Uniti, che insieme coltivano metà del raccolto mondiale di grano, stanno esaurendo le loro falde acquifere per provvedere ai progetti di irrigazione. La Cina sta prosciugando con le sue pompe la Pianura Cinese settentrionale, dove il livello dell’acqua diminuisce di 3 metri l’anno. He Quincheng, capo dell’Istituto di Monitoraggio Ambientale Geologico di Pechino, è preoccupato del fatto che la regione stia perdendo la sua ultima riserva d’acqua. Nell’area intorno Pechino adesso i pozzi devono essere trivellati a una profondità di 1.000 metri prima di poter attingere acqua dolce.

Progetti di irrigazione in India stanno prosciugando l’acqua in Punjab, Haryana, Gujarat, Rajasthan, Andhra Pradesh e Tamil Nadu. In alcuni luoghi i livelli dell’acqua diminuiscono di un metro l’anno.

Negli USA, il livello dell’acqua è già diminuito di 30 metri in parti del Texas, dell’Oklahoma e del Kansas, tutti stati tra i maggiori produttori di grano e che dipendono dall’irrigazione.
In Pakistan, nella provincia del Baluchistan il livello dell’acqua scende di 3,5 metri l’anno. Secondo Richard Garstang, esperto di questioni idriche del WWF, la capitale del Baluchistan, Quetta, esaurirà la propria acqua entro 15 anni.

Nello Yemen la situazione è disperata. Il prosciugamento eccessivo ha esaurito l’acqua del paese al punto che la Banca Mondiale prevede che parte dell’economia rurale potrebbe sparire entro una generazione.

Nord Africa e Arabia Saudita hanno antiche falde acquifere che non vengono mai reintegrate. L’Arabia Saudita estrae l’acqua per l’irrigazione a un ritmo tale che in cinquant’anni non ne resterà più. I fiumi di tutto il mondo vengono prosciugati per l’irrigazione, lasciando i loro letti completamente asciutti.

Quando l’acqua scarseggia, a volte i paesi smettono di irrigare e produrre viveri per deviare l’acqua rimasta verso le città e le industrie. Così devono importare il grano. Poiché l’acqua sotterranea va sempre più esaurendosi, sempre più paesi iniziano a fare affidamento sull’importazione del grano. In Cina i raccolti di grano stanno già diminuendo e presto dovrà iniziare a importarlo. La penuria d’acqua nel mondo condurrà a un mondo povero di grano.

Ma circa l’80% dell’acqua destinata all’irrigazione viene sprecata attraverso falle nelle tubature, condotti non allineati, cisterne e canali che evaporano. Un quarto di tutta la terra irrigata ha ora accumulato sali, rendendola inutilizzabile per la coltivazione; ad esempio due milioni di ettari di terreno sono andati perduti in Pakistan a causa della troppa salinità.

Inquinamento

Ogni anno 450 km cubici di acque di scarico si riversano nei fiumi, nei torrenti e nei laghi. Quest’acqua inquinata riduce l’ammontare di acqua dolce disponibile. Gruppi come International Rivers Network, Clean Waters Network e Friends of the Earth International hanno affrontato le industrie riguardo la contaminazione dei fiumi.

Soluzioni

Ridurre il consumo d’acqua è essenziale.

Migliorare l’efficienza delle irrigazioni

I progetti di irrigazione potrebbero ridurre la quantità d’acqua utilizzata fino all’ 80% se venissero usati dei gocciolatoi. I gocciolatoi erogano l’esatta quantità d’acqua di cui una pianta ha bisogno.

Riciclare l’acqua

Riciclare l’acqua, specialmente nell’industria, aiuterebbe a diminuirne il consumo.

Progetti di raccolta dell’acqua piovana

1.500 donne provenienti da 12 stati indiani si sono incontrate nel Rajasthan, in India Occidentale, per la National Women’s Water Conference nel febbraio 2003. Hanno discusso sui modi di proteggere le risorse d’acqua dell’India rurale.

Gli abitanti del villaggio di Madhya Pradesh hanno risolto il problema delle forti precipitazioni estive, seguite da mesi di siccità costruendo piccole dighe e pozzi, condividendo sia il denaro investito che la raccolta d’acqua. Le donne di Gujarat hanno costruito briglie di consolidamento e ripristinato vecchi bacini.

Le donne del Rajasthan hanno iniziato a rinverdire il deserto attraverso progetti di raccolta dell’acqua piovana della comunità.

Le donne che hanno preso parte alla conferenza si sono ferocemente opposte alla proposta del Governo di privatizzare l’acqua e hanno deciso di lottare per proteggerla. “Prenderemo i nostri bastoni e cacceremo chiunque tenterà di venderci la nostra acqua”, ha detto una donna Rajasthana.

Riciclare i prodotti di scarto ‘umani’
Riciclare i prodotti di scarto ‘umani’, piuttosto che scaricarli nei fiumi, fornirebbe del prezioso fertilizzante per far crescere più raccolto e lascerebbe nei fiumi più acqua pulita da usare come acqua potabile.

Fermare l’inquinamento industriale dei fiumi
Ridurre l’inquinamento dai processi industriali aiuterebbe allo stesso modo a mantenere i fiumi puliti e disponibili come acqua potabile.

Piantare alberi

Gli alberi prevengono l’erosione del suolo e conservano l’acqua. Le donne dei villaggi di alcune parti dell’India, per esempio di Orissa, hanno piantato degli alberi.

L’acqua è parte dell’eredità della terra. Bisogna preservarla per le generazioni future e proteggere quella di pubblico dominio con leggi locali, nazionali e internazionali. L’accesso all’acqua pulita per i bisogni basilari è un diritto umano fondamentale. Non possiamo continuare a abusare delle preziose risorse d’acqua del mondo. La cooperazione internazionale sulle sorgenti di acqua dolce è possibile e praticabile.

Deve essere ripettata la legislazione internazionale che custodisce il principio di una condivisione equa e razionale delle risorse d’acqua. La privatizzazione non è una risposta. Un ritorno ai principi di condivisione di questa risorsa vitale è possibile ed essenziale.

Note: Fonte: http://www.countercurrents.org/en-mesbahi251104.htm
Traduzione di Valeria D’Angelo per Nuovi Mondi Media
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