C'è un'autostrada nel bosco
L'ennesimo raccordo rischia di ammazzare il poco che resta della foresta postglaciale che occupava la pianura veneta. Un comitato si batte per la difesa del bosco di Olmé
18.12.04
Quello che ho davanti, risalendo l'argine di un canale di bonifica, lungo un percorso vita che vorrebbe essere un tracciato naturalistico, è uno dei pochi resti di bosco planiziale ancora rimasti nella Pianura padana. Il relitto di quello che un tempo era la pianura ai piedi delle Alpi dopo l'ultima glaciazione. Nell'epoca postglaciale, la pianura era completamente occupata, parlo del periodo tra il XIV ed il X millennio avanti Cristo, da un'associazione forestale sub-artica, la cui lenta evoluzione è riconducibile al clima estremamente freddo. Pensate ad un paesaggio nordico di pino silvestre e betulle che perdura fino all'età del ferro, in pratica fino alla soglia dell'attuale epoca storica. Poi, a causa di ripetute oscillazioni climatiche, il manto forestale evolve: rovere e farnia con tiglio, olmo, carpino e frassino. L'arrivo della «civilizzazione» romana, con le centuriazioni (1) e i disboscamenti finalizzati alla coltivazione e al pascolo, ridimensiona in maniera sensibile la superficie forestale. I Longobardi e i Franchi, fino a circa l'anno 1000, riducono ulteriormente la superficie boscata. A partire dall'alto Medioevo, il paesaggio non cambia sostanzialmente fino ai primi dell'Otticento, grazie anche alla sapiente tutela da parte di Venezia e dell'Austria. Poi è il degrado, la riduzione e, oggi, la scomparsa.
Il progressivo disboscamento
Il bosco di Olmè, che mi sta davanti, collocato nell'area veneta tra Cessalto e Ceggia, a cavallo delle province di Venezia e Treviso, che aveva ancora una superficie di 60 ettari ai primi del Novecento, si riduce a non più di 30 ettari dopo la 2° guerra mondiale. Il disboscamento negli anni Sessanta, per far posto all'autostrada Venezia-Trieste, lo riduce ulteriormente a 24 ettari. Le strade sono la sua maledizione. Il bosco, che rappresenta una delle più significative espressioni del «querceto-carpineto», cioè della vegetazione forestale potenziale della bassa pianura veneto-friulana, oggi è minacciato da un nuovo tracciato stradale.
Si tratta indubbiamente di un bosco degradato. Il suo livello di equilibrio viene ipotizzato in una dimensione non inferiore ai 100-150 ettari ed è appunto dalla considerazione del suo degrado ambientale che parte la Valutazione di Incidenza (il sito è di Importanza Comunitaria-Sic e Zona di Protezione Speciale-Zps) per giustificare la fattibilità del raccordo tra Ceggia e l'Autostrada. Una valutazione che, se condotta ai fini delle tutela del bosco, avrebbe dovuto ipotizzare un piano per il suo recupero, mentre invece trova tutta una serie di scappatoie e dimostrazioni artificiose ai fini della sostenibilità dell'infrastruttura.
Se avevate ancora qualche dubbio sulla possibilità che la Valutazione di Incidenza, detta VInc.A, non fosse funzionale e giustificativa per qualsiasi intervento sul territorio, beh, fatevelo passare, perché la storia della nuova bretella di collegamento Ceggia-Cessalto-Autostrada Venezia-Trieste lo sta a dimostrare. A monte di tutta l'operazione sta la decisione dell'amministrazione di centrosinistra del comune di Ceggia, appoggiata dall'amministrazione di centro-sinistra della provincia di Venezia, di volere a tutti i costi la bretella per alleggerire il traffico di transito nel centro storico. Alla decisione degli amministratori cerca di contrapporsi il comitato «Cittadini per il Territorio di Ceggia» il quale, nel gennaio 2004, presenta un'analisi critica della valutazione di incidenza. La Commissione Tecnica Regionale, acquisito il rapporto del comitato nel mese di marzo di quest'anno, con una procedura del tutto inusuale in quanto il Ctr dovrebbe o approvare o bocciare la variante, chiede al comune di Ceggia integrazioni e indagini sui tracciati alternativi.
La vicenda mi viene raccontata da Annalisa Guiotto, insegnante, anima e sprone del Comitato: «Siamo nel periodo delle elezioni amministrative e i candidati della maggioranza rassicurano gli elettori. Cambieranno il tracciato. E infatti, la possibilità di un diverso tracciato viene inserita anche nel programma elettorale. La giunta di centrosinistra, dopo la vittoria alle elezioni, invia alla regione veneto una seconda versione della VInc.A, con il tracciato spostato di 90 metri, ma anche questa non va bene. Ai primi di luglio è la volta di una terza versione, con tracciato a 80 metri dal margine del bosco. Poi, ai primi di settembre si scopre che esiste un progetto esecutivo, con un tracciato della strada a 30 metri. In realtà, la Commissione Tecnica Regionale avrebbe approvato la strada a 80 metri. Ed ecco il colpo di scena: la Soprintendenza avrebbe espresso parere negativo.».
Valutazioni discordanti
Insomma, troppe valutazioni di impatto discordanti per una strada che sarebbe percorsa da almeno 12-20.000 veicoli al giorno, con sicuri effetti sia sulla vegetazione che sulla ornitofauna del bosco, ragion per cui la giunta regionale del Veneto, nel 1999, aveva deciso di tutelare il Bosco Olmè con una fascia di rispetto di almeno 150 metri. La regione Veneto ha ragione, come ha ragione la Soprintendenza. Per quanto si voglia o si possa mitigare l'impatto, lo stesso è irreversibile nei confronti del bosco e non basterà l'asfalto con qualità speciali di fonoassorbenza o l'impianto di illuminazione studiato per non attirare animali, per i quali sono previsti percorsi protetti. Gli argini di terrapieno verso il bosco con barriere fonoassorbenti rappresenteranno proprio quello che non ci vuole: la loro impenetrabile struttura lineare si andrà a scontrare con il modello frattale ed ecotonale, cioè di continua, rimodellata transizione, caratteristico dei margini di un bosco.
Nella sede della Soprintendenza, a palazzo Soranzo Cappello, sul Rio marin, a Venezia, sia il soprintendente, l'arch. Guglielmo Monti, che il suo collaboratore, l'architetto Luigi Crocchi, sono convinti che la strada avrebbe un impatto irreversibile sul paesaggio. Il ragionamento è semplice: il paesaggio della pianura, caratterizzato dalla presenza del bosco planiziale misto, deve essere valutato sulla base dei principi, sia dell'ecologia del paesaggio, che dell'ecologia urbana. Di queste analisi non si trova traccia nelle ben 4 valutazioni di incidenza con le quali gli amministratori hanno rilanciato. Dopo aver esaminato la documentazione, riconosco che, in un simile ambito, l'analisi doveva basarsi sulla biosemiotica e sui parametri dell'ecofield, quale sintesi tra abitata e nicchia ecologica, (a questo proposito consiglio la lettura dell'ultimo testo di Almo Farina, «Verso una scienza del paesaggio», pubblicato da Perdisa di Bologna), il che avrebbe consentito di valutare correttamente il valore del paesaggio legato ai resti del bosco planiziale e a una ben definita geografia del paesaggio agrario e urbano nel quale il bosco si integra.
Il valore del bosco relitto, in termini paesistici, non sta nella presenza di specie prioritarie come invertebrati, anfibi, rettili e uccelli, ma nel suo valore di ecofield, di ambiente soggettivo e di grande area ecotonale, i cui elementi si traducono parzialmente nel mosaico del paesaggio agrario. Ogni frattura, ogni elemento di frammentazione tra bosco e paesaggio agrario, come sarebbe la bretella tra Ceggia e l'Autostrada, se realizzata, porterebbe ad un impatto irreversibile, alla progressiva scomparsa del bosco stesso. Manca anche un'analisi del mosaico ambientale dell'area. L'adozione di barriere e di corridoi ai margini dell'infrastruttura non garantirebbero il mantenimento dell'attuale, precario equilibrio e i corridoi faunistici potrebbero rivelarsi un ulteriore appesantimento dell'opera. Le barriere verdi, in un simile contesto, non compensano la frattura dell'impermeabilizzazione e il monitoraggio lichenico, previsto per il controllo degli inquinanti atmosferici, non sarebbe che un fiore
all'occhiello destinato ben presto ad appassire.
Un'opera sbagliata
L'opera, quindi, non può essere realizzata né a 30, né a 80, né a 90, né a 150 metri dal bosco. L'unica compensazione possibile starebbe nel progressivo aumento dell'area occupata dal bosco, se davvero vogliamo attuare una politica di conservazione e di valorizzazione delle risorse naturali, fino al raggiungimento del valore di omeostasi, inteso come capacità del bosco e dell'insieme del paesaggio agrario antropizzato, di mantenere costanti le proprie condizioni interne. Il risultato sarebbe raggiungibile solo con l'incremento dell'estensione boscata a 4-5 volte la superficie attualmente occupata, cioè 100-150 attari. Sarebbe questo il livello in cui l'omeostasi apre alla novità ontogenetica.
Annalisa Guiotto mi porta all'entrata del Bosco ai margini della zona industriale di Cessalto. Lì c'è un pannello esplicativo il quale dice che il bosco e tutta l'area contermine rientrano nel «percorso dei fiumi e dei vini», un progetto finanziato dalla Comunità europea, Fondo Fesr, Regione Veneto, Programma regionale leader 2, Gruppo di azione locale numero 5, comune di Cessalto. Mi conduce poi a occidente del bosco, dove dovrebbe passare la bretella e qui c'è un simbolo che, in legenda, viene indicato come «Elementi Morfologici e Paesaggi di Rilievo». Infervorata mi dice: «Vede, è un'area già riconosciuta di pregio, già tutelata dal comune e dall'Unione europea. Sono stati spesi fondi pubblici. Non si può ora distruggere tutto».
Il comitato ha ragione: niente bretella tra l'autostrada-Cessalto e Ceggia, se vogliamo salvare uno dei pochi lembi rimasti del nostro paesaggio della memoria.
(1) Le centurazioni erano moduli di circa 720 metri utilizzate nella suddivisione della proprietà fondiaria, in genere il occasione di elargizioni di Roma ai propri soldati reduci da battaglie vittoriose.
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