L'ecologia creativa, l'unica invenzione del declino italiano
La prospettiva di modifiche climatiche estreme per via del riscaldamento dovuto all'emissione di gas di serra e il pericolo di una conseguente rottura irreversibile della natura - irreversibile per le attuali condizioni di vita del genere umano, visto che la Terra continuerà imperterrita a esistere- sono nell'ordine delle cose. Ma a Buenos Aires si è solo sfiorato questo argomento troppo complicato; qualcuno si è limitato a fare affari, a comprare e vendere emissioni. La finanziarizzazione dell'ambiente, con la sua variante dell'ecologia creativa è un'attività nella quale noi italiani siamo considerati maestri. Sotto l'egida della Banca mondiale esistono quattro fondi d'investimento che trattano «crediti ambientali» e tre vedono prevalenti capitali italiani; anzi, uno di essi - come si legge in un ampio studio di Legambiente («l'Italia alla prova di Kyoto») - ha il bene augurante nome di Italian Carbon Fund.
Alla base del movimento ambiental-finanziario vi sono due elementi di buon senso. Il primo è che l'aria che ci sovrasta non è divisa a spicchi e le conseguenze sempre più frequenti in termini di aumento della temperatura, variazione delle correnti marine, scioglimento dei ghiacci, inondazioni, cicloni riguardano più o meno tutti gli umani. Di conseguenza, una riduzione nell'emissione di anidride carbonica (co2), di gran lunga il maggiore degli inquinanti, ovunque conseguita, sarebbe un sollievo per tutto il pianeta (genere umano). L'altro elemento è che alcuni inquinano e hanno inquinato molti meno di altri e quindi hanno più meriti, ciò che si traduce in più diritti a inquinare a loro volta. Ne esce un «aspetto innovativo ... (che) consiste nell'assegnare un valore monetario all'atmosfera, ben condiviso da tutto il pianeta, creando un mercato del carbonio...».
Se l'atmosfera ha un valore monetario, si può venderne e comprarne; i finanzieri-ecologisti spiegano se e quando in termini di futuri profitti, conviene puntare sul risparmio di co2, o sostituendo carbone e petrolio con energie non inquinanti. Oppure conviene comprare diritti a inquinare alla borsa apposita. La scelta italiana va in questo senso; ma lì scatta anche l'ecologia creativa quando nel piano governativo per le emissioni future, a grandi gruppi energetici come l'Enel arrivino i diritti a inquinare con le centrali a carbone, e gliene arrivino in eccesso, in modo che Enel e altri gruppi possano presentarsi sul mercato e venderne, guadagnando tanto come inquinatori che come non inquinatori.
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