La privatizzazione dell'acqua a Napoli
La droga è il prodotto ideale... la mercanzia finale. Nessuna propaganda è richiesta. Il cliente striscerebbe su da una fognatura a supplicare di comprare... Il mercante di droga non vende il suo prodotto al consumatore, lui vende il consumatore al suo prodotto. - W. Burroughs, Il pasto nudo
A Napoli l'acqua è parte di quella emergenza ordinaria in cui sopravvive da sempre la città. Da anni a Napoli nessuno si sorprende perché dal
rubinetto scorre acqua ogni giorno di un colore diverso, ma sempre imbevibile, con una concentrazione di nitrati fino a 4 volte superiore al limite massimo ammesso (Rapporto ecosistema urbano 2004 di Legambiente); oppure quando di acqua non ne esce affatto, specialmente d'estate; e ancora fresco è il ricordo delle proteste di qualche anno fa, con le barricate costruite con i cassonetti della spazzatura, il simbolo di un'altra perenne emergenza napoletana, per reclamare un'acqua finalmente "potabile".
Da lunedì 13 dicembre l'ordinaria emergenza napoletana si è arricchita di una nuova minaccia: la privatizzazione dei servizi idrici, promessa da mesi dal sindaco di Napoli, Rosa Russo Jervolino, e dal governatore della Regione Campania, Antonio Bassolino, l'ex-sindaco della "rinascita" napoletana, e ratificata da una votazione del consiglio comunale. Così, tra meno di 40 giorni verrà indetta la gara d'appalto per affidare la gestione dei servizi idrici ad una società privata, controllata per il primo anno al 60% dal comune, successivamente al 51% e via via meno fino alla completa dismissione.
In questo modo, il "laboratorio sociale" Campania si arricchisce di una nuova sperimentazione: accanto al "reddito di cittadinanza", che vorrebbe ridefinire la nozione di "diritto al benessere", la privatizzazione dei servizi fondamentali, cominciando dall'acqua. Il contentino e l'esproprio, la carota e il bastone.
È difficile riuscire a capire da dove gli amministratori locali abbiano tratto la legittimazione a prendere, in una votazione che ha visto la partecipazione di poco più della metà dei componenti del consiglio comunale e che si è conclusa con una maggioranza di 18 sì (corrispondenti al solo 30% del totale) contro 13 no, una decisione tanto impegnativa e tanto gravida di implicazioni per l'intera comunità. Fatto sta che la decisione è ormai presa e restano meno di 40 giorni per opporvisi e farla ritirare, impedendo "in primis" che l'appalto venga assegnato a chicchessia, la qual cosa renderebbe estremamente più difficile ed oneroso qualunque intervento successivo.
L'acqua non è un problema soltanto a Napoli, ma una delle risorse più scarse e allo stesso tempo essenziali alla vita ed insostituibili che esistano sul pianeta. Solo il 2,4% dell'acqua che ricopre la terra è dolce; di questa, il 68% viene destinato ad usi agricoli, il 22% a quelli industriali ed il restante 10% al consumo umano. Ma l'acqua è anche una delle risorse peggio distribuite al mondo: l'85% della popolazione dell'America Latina e il 75% di quella dell'Asia orientale non vi ha accesso, e cinque milioni di persone muoiono ogni anno per malattie legate alla mancanza d'acqua. Noi, il 20% più ricco della popolazione mondiale, consumiamo l'88% dell'acqua prelevata complessivamente.
La privatizzazione non può risolvere questi problemi. Si è visto ormai chiaramente che la logica del profitto si traduce solo in nuovo squilibrio e disuguaglianza, ma da anni ormai le multinazionali hanno identificato nell'acqua un nuovo mercato, una delle frontiere più allettanti da inglobare nel loro dominio e nuovo terreno su cui mettere a frutto i loro capitali. Alcune imprese, come la Suez/Lyonnaise des Eaux e Vivendi hanno già 110 milioni di clienti in più di cento paesi e aspirano ad accaparrarsi il 75% del mercato nei prossimi anni con l'aiuto della Banca Mondiale, che impone regolarmente tra le condizioni alle quali è disposta ad erogare i suoi finanziamenti capestro la privatizzazione delle utilities, acqua, energia, comunicazioni. Nel 2005, infatti, all'interno del Gats di Hong Kong, si discuterà della privatizzazione dei servizi, l'acqua tra questi; i paesi europei saranno rappresentati congiuntamente dall'Unione europea, e la posizione definita nella Direttiva Bolkenstein apre scenari che destano preoccupazione. Dai brevetti software all'acqua non c'è ormai settore della vita umana che sembra poter sfuggire al controllo delle multinazionali.
Ma il destino dell'acqua non è segnato, né a Napoli né su scala globale.
Solo qualche settimana fa, all'inizio di novembre, si è celebrata in Uruguay una consultazione referendaria sull'acqua, la prima di questo genere a livello mondiale. Nello stesso giorno, la popolazione ha mandato al potere il primo governo di sinistra della sua storia e detto "no" alla privatizzazione dell'acqua votando a favore di una riforma costituzionale che, dichiarandola "bene pubblico" e riconoscendola diritto umano fondamentale, la mette al riparo dal rischio di cadere in futuro in mani private.
Sono numerosi i paesi che in America Latina, dove più forte è la pressione delle multinazionali, si stanno opponendo decisamente alla privatizzazione dell'acqua. Gli abitanti di Cochabamba, in Bolivia, hanno dato vita ad una rivolta vittoriosa e famosa, portata sui grandi schermi dal film "The Corporation", per difendere il proprio diritto all'acqua dopo che i prezzi si erano triplicati per effetto della privatizzazione. In questo caso a beneficiarne era un'impresa locale controllata dal gigante Bechtel. La rivolta, nel 2000, durò mesi e portò per le strade migliaia di persone che subirono la violenta repressione del potere, con un bilancio di una decina di morti e di 11 giorni in cui fu dichiarato lo stato d'assedio.
La privatizzazione dell'acqua ha già dimostrato, in tutto il mondo ma soprattutto in Europa, di non saper risolvere nessun problema e di svilupparsi secondo una logica difficilmente prevedibile che finisce per negare un diritto fondamentale, peggiorare la qualità del servizio, favorire la scarsa trasparenza e le irregolarità e produrre rapporti squilibrati tra le autorità locali e le aziende concessionarie. Per tutte queste ragioni la città di Grenoble, dopo i cattivi risultati della privatizzazione che ha fruttato ben 18 milioni di euro di surplus alla Lyonnaise des Eaux in 6 anni, è tornata nel 1995 al modello pubblico, rimunicipalizzando la gestione del servizio. E in Italia, ad Arezzo, l'Assemblea del locale Ato (Ambito territoriale ottimale) ha riconosciuto, in una relazione del suo presidente, Carlo Schiatti, il fallimento dell'operazione. C'è soltanto da chiedersi come potrà mai tradursi tutto questo in una realtà come quella di Napoli, in cui si sta portando a termine, proprio in questi giorni e a suon di morti, un crudo riassestamento degli equilibri camorristici.
La posta in gioco non è soltanto la difesa dell'acqua come bene fondamentale della vita in contrapposizione alla sua riduzione a merce e alla sua sottomissione alla logica del profitto. L'acqua è un bene di cui non si può fare a meno, di cui la vita ha un bisogno totale e ineludibile. È per questo che essa è una "merce" speciale, la "mercanzia finale" di cui parlava W. Burroughs, nuova formula di quell'Algebra del Bisogno che permette di estendere sempre più in profondità la presa del potere sulla vita.
Ho sentito dire che c'era una volta una droga in India che era benefica e non dava abitudine. Era chiamata soma e viene descritta come una meravigliosa marea azzurra. Se il soma è mai esistito lo Spacciatore era già là a imbottigliarlo e monopolizzarlo e venderlo... - W. Burroughs, Il pasto nudo
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Hedelberto López Blanch, El agua, la economia... la vida http://www.rebelion.org/economia/040519hl.htm
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Iñigo Herraiz, La democracia del agua http://www.rebelion.org/noticia.php?id=7612
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Dario Stefano Dell'Aquila, Napoli, il consiglio comunale si vende l'acqua Manifesto, 14 dicembre 2004
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Speciale Repubblica sulla Sanità [http://www.napoli.repubblica.it/speciali/buonasanita/28-10-04/,]
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Raymond Avrillier, A Grenoble l'acqua ritorna pubblica http://www.inventati.org/laleggera/article.php3?id_article=131
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