Modello di sviluppo arraffa e divora
Dicembre 2004
Da noi, per via della necessità, si parla del ritorno all'idroelettrico, con prudenza naturalmente, con un migliore sfruttamento degli impianti già esistenti, ma si sa come andrà a finire: nuove dighe, il ritorno al nucleare.
La necessità giustifica il troppo che giustifica le umane stragi. Nelle due torri di Manhattan distrutte l'11 settembre del 2001 sono scomparse le sedi di 400 società, la sola banca di investimenti Kefee e Bruyette ha perso 56 impiegati. Troppo di tutto, anche di nazioni, di bandiere, di lingue, ma una soltanto che funzioni in tutto il mondo, la lingua dei soldi che parla solo di finanza e di tecniche nel nome della necessità.
Lo sviluppo 'necessario' procede senza regole. Per trent'anni nell'Italia del nord le grandi opere pubbliche sono state rimandate, nessuno ha capito il perché, forse pesava la stanchezza per la ricostruzione del dopoguerra, forse altri investimenti sembravano preferibili. Ora le grandi opere e la loro necessità sono irresistibili: nella sola Lombardia l'Hub della
Malpensa l'aeroporto gigante che riempie di rumori e veleni l'intera valle del Ticino, la nuova gigantesca Fiera campionaria che già attende milioni di visitatori cinesi, la nuova Scala, le varianti di valico, l'alta velocità ferroviaria nella totale indifferenza se i grandi numeri saranno compatibili con gli spazi e con gli inquinamenti.
Del resto una buona parte dei guasti è già stata compiuta, attorno a Milano l'avvelenamento dei terreni ha superato i 30 metri di profondità, il traffico è talmente insopportabile che i sindaci chiedono poteri dittatoriali per risolverlo, ma come è possibile se la circolazione cresce nel milanese di 100 mila auto l'anno?
Per l'altra legge della necessità che è l'agglomerazione degli impianti e del profitto l'industria chiama industria, il gigantismo altro gigantismo, la nuova Fiera guida lo sviluppo incontenibile dell'ovest Milano: nuove strade per l'aeroporto gigante, nuovi snodi autostradali, nuovo gigantesco scasso del territorio per l'alta velocità ferroviaria, secondo una razionalità demenziale ma a cui non ci si può opporre.
I tecnici e i costruttori di questo sviluppo convulso sono bravissimi a violare la legge della impenetrabilità dei corpi, ma si disinteressano delle previsioni ambientali o sociali; da tempo è stata abolita la contabilità del dare e dell'avere su quale parte del pubblico sia stato incamerato dal privato e quanto di esso dai privati più ricchi e potenti.
Solo ora, ma troppo tardi, gli 87 comuni piemontesi e lombardi, a cui la grande Malpensa ha reso difficile a volte impossibile la vita, hanno cominciato a contare i danni e a chiedere di fermarli.
I cantori dello sviluppo continuo sono ottimisti: tutto va nel migliore dei modi, le macchine intelligenti allargheranno per tutti il tempo libero che a sua volta creerà nuove occupazioni. Lo sviluppo non si cura delle scelte giudiziose, arraffa e divora dove gli conviene, sta distruggendo migliaia di specie viventi e non si vede perché non dovrà far scomparire anche quella umana, così finiremo una buona volta di occuparci della sua, nostra stoltezza.
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