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Il ponte E' uno spreco pericoloso. Il Mediterraneo va monitorato e controllato

Se lo tsunami arriva a Messina

11 gennaio 2005
Tonino Perna
Fonte: www.ilmanifesto.it
9.01.05

progetto del ponte

La tragedia del 26 dicembre in Asia ci ha fatto prendere coscienza del fatto che sappiamo pochissimo del pianeta su cui siamo trasportati nello spazio. Abitiamo una navicella di cui non conosciamo che pochi bottoni, per il resto la trattiamo come un bambino di fronte a un computer potentissimo, carico di bit che lui usa solamente come videogiochi. Ma è arrivato il momento di diventare adulti e smettere di giocare con l'unico pianeta che abbiamo. La tragedia che ha colpito il sudest asiatico, infatti, impone alcune questioni di fondo che ci riguardano tutti da vicino. La prima, che è stata denunciata da più parti, riguarda la sicurezza e la prevenzione dei disastri naturali. Diversi esperti hanno denunciato il fatto che una gran parte delle vittime potevano essere evitate se ci fosse stato un sistema di allarme, se le popolazioni della costa fossero state avvisate per tempo visto che dal momento della prima scossa all'arrivo delle prime onde distruttrici sembra siano passate diverse ore (da due a sette secondo le diverse località).

Territorio indebolito

La seconda questione riguarda il modello di urbanizzazione delle coste che, da almeno trent'anni, imperversa in tutto il mondo, trainato dalla corsa al turismo di massa che cancella qualunque legge o vincolo ambientale. A partire dal Mediterraneo dove spesso sono stati abbandonati gli antichi insediamenti , lontani dal mare, per affollare le coste con una serie interminabile di villaggi turistici, seconde case, centri commerciali, costruendo fino alla battigia. Un modello di urbanizzazione energivora che ha ignorato , come ha dimostrato Piero Laureano, i saperi acquisiti dalle generazioni precedenti, dall'uso dell'acqua piovana alle costruzioni climatizzate con materiali naturali, fino al profondo rispetto per gli alvei di fiumi e torrenti e che oggi si trova impotente di fronte alla potenza delle forze della natura.
Molti dei disastri naturali che abbiamo registrato negli ultimi anni nel nostro paese - dalla tragedia di Soverato a quella della valle di Sarno - sono in realtà dei disastri sociali in cui gli equilibri naturali e le conoscenze del passato sono state ignorate e stravolte. Certo, i terremoti non li possiamo attribuire al nostro perverso modello di sviluppo, ma gli effetti disastrosi dei terremoti e maremoti sono in gran parte legati al nostro modo di costruire, allo squilibrio tra classi sociali e tra paesi ricchi e impoveriti, ai diversi sistemi politici.

Impatti diversi

E' un fatto ormai acclarato che un uragano fa migliaia di volte più vittime in Centro America che nella costa meridionale degli Usa, o a Cuba dove esiste un ben oleato sistema di preallarme, così come un terremoto in Turchia produce una quantità di vittime e disastri decine di volte superiore a quello che produce lo stesso terremoto, con la stessa potenza, in Giappone. Pertanto la prima riflessione da fare su quest'ultima tragedia è che bisogna ripensare agli insediamenti umani, al modo di costruire, al ruolo da dare alle forze della natura. Soprattutto nelle aree ad alto rischio sismico. E tra queste sicuramente bisogna mettere in priorità l'area dello stretto di Messina, già colpita nel 1908 dal più distruttivo terremoto del '900, dove la gran parte delle vittime furono determinate proprio dall'onda anomala.

Incubo Stretto

Sui rischi che corre quest'area vale la pena riportare alcune affermazioni recenti di Enzo Boschi, presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (vedi La Repubblica del 27 dicembre). «La zona più a rischio del Mediterraneo - dichiara Boschi nell'intervista ad Aldo Cianciullo - è l'area dello Stretto di Messina. E' un'area a forma di imbuto: l'onda anomala entra e comincia a percorrerlo; man mano che il canale si stringe la massa d'acqua, non trovando spazio in larghezza, diventa sempre più alta. E alla fine, se l'energia in campo è molto alta come è avvenuta nel 1908, ci si trova di fronte a un muro liquido inarrestabile che spazza via tutto quello che trova sul suo cammino». Ma, l'onda anomala oltre che dal terremoto può essere provocata da altri fenomeni, sostiene Boschi, come è accaduto due anni fa a Stromboli. «In quell'occasione, a causa di un'accentuazione dell'attività vulcanica, ci fu il crollo di una parete dello Stromboli che produsse un'onda anomala di dimensioni considerevoli: se fosse accaduto in estate, con le spiagge piene di turisti, sarebbe stato un disastro. Tra l'altro in quell'occasione scattò subito l'allarme perché si temeva che l'attività sismica potesse continuare producendo altri crolli».

Da queste osservazioni di un esperto del livello di Enzo Boschi se ne possono trarre alcune precise indicazioni. La prima: va bloccato il bando relativo all'affidamento dei lavori per il ponte sullo Stretto di Messina. Alle luce dell'alto livello di rischio di tutta l'area dello Stretto la sola idea del ponte risulta essere oggi pura follia, un atto criminale, un perverso sperpero di denaro pubblico. Le risorse finanziarie stanziate per questa megaopera devono essere riconvertite per un monitoraggio di tutta l'area che comprende tre vulcani attivi - Etna, Stromboli e Vulcano - che negli ultimi anni hanno fatto tremare di paura le popolazioni locali, da Catania alle isole Eolie. La società Ponte sullo Stretto di Messina s.p.a., lautamente finanziata da tutti i governi da più di vent'anni, deve essere riconvertita in Società per la sicurezza dell'Area dello Stretto di Messina. Un sistema di allarme con relative vie di fuga, punti di raccolta, ecc. va pensato e implementato per tutta l'area che va da Capo Vaticano fino a Catania, un'area dove vivono quasi due milioni di persone.
Il nodo prevenzione

La ricerca scientifica su questi fenomeni è ancora estremamente debole e poco sostenuta dalle risorse pubbliche. Dato che nel programma del centrosinistra è stato messa tra le priorità un maggiore finanziamento della ricerca scientifica e tecnologica, si indirizzino queste risorse verso un bene collettivo fondamentale: la prevenzione delle catastrofi naturali. Questo significa cambiare agenda politica e dare un altro significato al concetto di «sicurezza», oggi ideologicamente declinato nella lotta al terrorismo.

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