Ladri d'acqua
Di fatto, ogni tipo di lamentele sull’acqua potabile municipale di tutta la città si erano riversate nell’ufficio del sindaco di Atlanta, Shirley Franklin. Solo un paio di anni prima , la United Water – una società affiliata del gigante francese Suez, aveva rilevato l’intero sistema municipale con l’intenzione di trasformarlo in un “esempio internazionale” di associazionismo tra pubblico e privato. Ma invece di inaugurare una nuova epoca in cui l’acqua potabile fosse senza rischi, l’esperimento di privatizzazione dell’acqua ad Atlanta ha causato una valanga di problemi – dalle violazioni dei livelli minimi di sicurezza dell’acqua secondo la legge federale alle grosse perdite nelle condutture, rimaste guaste per settimane (la United, nel frattempo, insisteva dicendo che la città la pagava milioni dollari in più di quanto fosse stato accordato in precedenza). Dal gennaio del 2003, dopo indagini durate un mese e minacce da parte del sindaco di annullare il contratto , la United si era “volontariamente” ritratta da ciò che stava diventando una catastrofe internazionale più che un esempio .
L’insuccesso di Atlanta avrebbe potuto essere un incidente relativamente insignificante se la Suez (e un gruppo di altri servizi idrici privati che si contendevano il contratto) non avessero considerato la città una testa di sbarco per i loro tentativi di trasformare l’erogazione idrica in un’enorme fonte di guadagno sia nelle ricche città del nord che nella povera economia del sud. Dalla Bolivia al Ghana alle Filippine, dal Regno Unito agli Stati Uniti e al Canada, un’industria idrica di profitto in veloce espansione stava cercando di dominare il mercato dell’acqua domestica, che fino ad allora, era stato considerato in molte parti del mondo, non una miniera d’oro per le aziende private, ma un servizio pubblico.
Le multinazionali ora gestiscono i sistemi idrici per il 7% della popolazione mondiale, e gli analisti sostengono che il quadro potrebbe presentare una crescita fino al 17 per cento entro il 2015. Si pensa che la gestione privata dell’acqua sia un affare di 200 miliardi di dollari, e la Banca Mondiale, che ha incoraggiato vari governi a svendere i loro servizi per ridurre il debito pubblico, ritiene che entro il 2021 il valore potrebbe salire a un trilione di dollari. La crescita dei profitti barcolla: nel maggio del 2000 la rivista Fortune affermava che l’acqua sarebbe diventata “una delle maggiori opportunità di investimento mondiali”, e che “probabilmente essa sarà nel 21° secolo ciò che il petrolio è stato nel 20°.”
Rubinetti in cambio di soldi
Nessuno mette in discussione che in molti paesi del mondo i sistemi di fornitura di acqua potabile siano tristemente inadeguati, e che la situazione, già di per sé grave, rischi di peggiorare. In un mondo con una popolazione in aumento vertiginoso e scarsità di risorse, l’ONU ha previsto che la disponibilità di acqua pro capite in sole due decadi potrebbe diminuire fino a un terzo. E già un quinto della popolazione mondiale – un miliardo di persone – non hanno accesso ad acqua potabile sicura, e hanno soltanto quantità esigue di acqua per cucinare, lavarsi e per le necessità igieniche essenziali. Nelle città dei paesi in via di sviluppo, sistemi idrici antiquati, spesso risalenti al periodo coloniale, non sono adeguati per una popolazione in espansione. Il Dott. Peter Gleick, presidente del Pacific Institute for Studies in Development, Environment and Security con base negli Stati Uniti, ha mostrato come “metà della popolazione mondiale non riesce a ricevere il livello di fornitura d’acqua disponibile in molte delle città dell’antica Roma e dell’antica Grecia”.
Ma la privatizzazione migliorerà la situazione? La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) sembrano pensarla così. Ora ricorrono spesso al loro potere di concedere prestiti per indurre le nazioni in via di sviluppo a privatizzare i pubblici servizi, compresa l’erogazione idrica, nella speranza che spingendo i servizi statali verso il settore privato la restituzione dei prestiti sarà assicurata. Le compagnie come la Suez e i suoi primi concorrenti Vivendi e la RWE Thames Water promettono di utilizzare le loro competenze per costruire infrastrutture e sistemi di erogazione in cambio della garanzia di profitto sui loro investimenti.
Nelle nazioni più sviluppate dove ci sono già infrastrutture adeguate, i contratti spesso prendono la forma di ‘società pubbliche-private’ (come ad Atlanta), in cui il governo locale continua ad essere proprietario delle tubature, delle pompe, dei sistemi di filtraggio e di altri servizi, e il partner corporativo li ha in gestione.
I sostenitori della privatizzazione insistono nell’affermare che i servizi privati sono chiaramente più efficienti, che le aziende pro-profit possono generare finanziamenti con più facilità e che la fornitura idrica è una merce come un’altra. Per Gerard Payen, il funzionario che ha sviluppato il programma della Suez di espansione mondiale dell’industria dell’acqua, è semplicemente una questione di libero mercato. “Purifichiamo l’acqua e la portiamo nelle vostre case. Forniamo un servizio. Ha un costo e qualcuno lo deve pagare”.
Questo, tuttavia è l’ostacolo. Sotto il controllo delle multinazionali, le bollette dell’acqua salgono inevitabilmente, spingendo coloro che sono impossibilitati a pagare, a bilanciare la loro acqua e i loro fabbisogni di base, compreso cibo, vestiario, medicine e spese ‘extra’ come l’istruzione. Eppure, qualunque siano i meriti o demeriti della privatizzazione, la tendenza è già chiara: nel 1990 le compagnie private operavano solo in 12 nazioni; all’inizio dei primi anni del 2000, quel numero è salito a 100.
Così, l’acqua, una necessità essenziale per la sopravvivenza umana, dovrebbe essere controllata del tutto da interessi di profitto? E se pure fosse così, le multinazionali sono in grado di dare ciò che promettono – servizi migliori e un’acqua sicura, disponibile per tutti?
Le due aziende maggiormente interessate all’affare, la Suez e il socio francese Vivendi, gestiscono già l’acqua per 230 milioni di persone – in gran parte in Europa, e in piccola parte nei paesi in via di sviluppo. Ora le aziende idriche cercano un accesso nei vasti e ancora inalterati mercati globali che restano entità pubbliche.
Negli Stati Uniti l’85% delle case riceve l’acqua dalle strutture pubbliche. In generale, la qualità dell’acqua è eccellente, e i costi di gestione dei sistemi idrici municipali resta modesto. Eppure Atlanta non è l’unica città statunitense dove le multinazionali e i loro sostenitori politici hanno fatto pressioni per la privatizzazione. Nuovi e spesso controversi sforzi di privatizzazione sono stati fatti e promossi in città come New Orleans, Laredo in Texas e Stockton in California. Le compagnie idriche hanno fatto tentativi a Washington, per favorire il loro programma legislativo al Congresso, esercitando pressioni politiche per leggi che proteggerebbero le compagnie dai processi sull’acqua contaminata e che bloccherebbero le municipalità a fare marcia indietro in caso di privatizzazioni fallite. La National Association of Water Companies statunitense ha sollecitato un decreto legge che richiederebbe alle città di ‘considerare’ la privatizzazione prima di usufruire di fondi federali per migliorare o espandere i servizi pubblici, e che sovvenzionerebbe anche tali progetti di privatizzazione.
A livello municipale le pressioni politiche sono ugualmente intense, e le aziende idriche fanno attivamente la corte ai funzionari locali e spendono centinaia di migliaia di dollari nel sostenere la privatizzazione nei referendum locali. “Per le persone del posto è dura respingere queste compagnie”, ha detto l’ex membro della commissione sull’acqua del Massachusetts Douglas Mac Donald. “Sono ovunque, tentacolari come una piovra”.
Nel Regno Unito è stato introdotto un intenso programma di privatizzazione dell’acqua da parte del Partito Conservatore ala fine degli anni ’80. Le dieci autorità regionali di Inghilterra e del Galles sono state trasformate in compagnie private nel 1989. L’idea di fondo era che l’efficienza dei mercati privati avrebbe condotto a grandi miglioramenti per un sistema idrico datato e inefficiente. Nonostante la dura realtà delle forze di mercato, lo stato addolcì l’accordo assorbendo miliardi di sterline del debito preesistente, offrendo l’esenzione dalle tasse sui futuri profitti delle aziende e vendendo a prezzi di mercato.
“Il più grande atto di furto autorizzato della storia”
Ma i sostenitori della privatizzazione possono difficilmente indicare il Regno Unito come modello di facile transizione all’erogazione idrica pro-profit. I prezzi si gonfiarono fino al 50 per cento nei termini stabiliti dall’inflazione in meno di una decade, e anche il tasso di interruzione del servizio aumentò. La risposta della nuova industria alle lamentele pubbliche sui pericoli sanitari dell’interruzione della fornitura idrica fu di installare speciali contatori pre-pagati nelle case di coloro che rischiavano di non poter pagare le bollette. Quando una famiglia era incapace di pagare in anticipo, i contatori interrompevano immediatamente la fornitura di acqua. Nel frattempo la qualità dell’acqua peggiorò notevolmente, e sui giornali cominciavano a comparire storie sui generosi bonus che le nuove compagnie idriche garantivano al comitato direttivo .
Prima del 1994 il Daily Mail aveva dichiarato che le aziende idriche erano diventate “le più grandi predatrici della Gran Bretagna”. “Le bollette dell’acqua”, diceva il giornale, “sono aumentate e i direttori e gli azionisti delle 10 più grandi compagnie della Gran Bretagna sono stati capaci di utilizzare la loro posizione di monopolio per mettere in atto il più grande caso di furto autorizzato della nostra storia”.
Molti osservatori concordano nel considerare che la situazione nel Regno Unito è migliorata di molto da quando il governo Laburista ha imposto dei cambiamenti alla legge sull’acqua nel 1999. I contatori pre-pagati furono eliminati e furono introdotte severe limitazioni alle interruzioni della fornitura idrica. Un nuovo Office of Water Services ora regola il mercato, ed esso ha insistito affinché ci fossero nuovi investimenti nelle infrastrutture insieme a riduzioni delle bollette di circa 12 per cento. Eppure resta la questione su come e perche’ i grandi monopoli altamente regolamentati riescano ad essere economicamente ‘efficienti’, e a competere, in materia di efficianza, con quegli organismi pubblici gestiti in maniera onesta e che si avvalgono di funzionari eletti democraticamente.
I dati dell’industria in altre parti del mondo non sono più incoraggianti. Le città dei paesi in via di sviluppo in cui l’acqua è gestita da compagnie private sono state piegate dai crolli nei servizi, da costi esorbitanti e dalla corruzione, o ancor peggio. A Manila, dove il servizio idrico è controllato dalla Suez, dalla Betchel di San Francisco e dalla prominente famiglia Ayala, l’acqua è disponibile solo per alcune ore al giorno, e l’aumento delle tariffe è stato così elevato che le famiglie più povere devono scegliere ogni mese tra pagare le bollette e mangiare per due giorni. Nel 2001 il governo del Ghana ha acconsentito a privatizzare i sistemi idrici come condizione per ricevere prestiti dal FMI. Per attrarre investitori, il governo ha raddoppiato il costo dell’acqua, facendo esplodere proteste in un paese dove il reddito medio annuale non supera i 400 dollari e la bolletta dell’acqua (per i fortunati ad avere acqua corrente) può salire fino ai 110 dollari. A Cochabamba, la terza città più grande della Bolivia, le tariffe salirono oltre il 35 per cento dopo che un consorzio gestito dalla Betchel prese in mano la gestione dell’acqua nel 1999; alcuni cittadini dovettero pagare il 20 per cento in più. Una serie iniziale di pacifiche manifestazioni di protesta sfociarono in scontri in cui morirono sei persone. Ala fine il governo boliviano annullò il contratto con la Betchel e disse ai responsabili della compagnia di non poter garantire loro la sicurezza se fossero rimasti in città. La privatizzazione aveva generato proteste (e in alcuni casi persino influenzato le elezioni) nel Paraguay, dove la polizia rivolse i cannoni ad acqua su coloro che manifestavano contro la privatizzazione, nel Panama, in Brasile, Perù, Colombia, India, Pakistan, Ungheria e Sud Africa.
Negli Stati Uniti il disastro di Atlanta sembra essere stato una forte battuta d’arresto per l’industria idrica. “Atlanta doveva essere l’esempio splendente di come la privatizzazione sia fondamentale”, dice Hugh Jackson del gruppo a sostegno dei consumatori Public Citizen di Washington. “E adesso si è trasformata in un esempio splendente di come dopotutto non sia una così grande idea”.
Peter Gleick è un po’ più ottimista e suggerisce che, con una attenta sorveglianza, gli operatori privati potrebbero essere in grado di fornire benefici altrimenti non disponibili come l’accesso all’investimento di capitale – in particolare nei paesi in via di sviluppo. Ma avverte: “La privatizzazione dell’acqua non riguarda la competizione. Si tratta di contratti di monopolio a lungo termine, non di libera impresa, o mercato competitivo”.
Gleck inoltre nota che se i governi non sono in grado di gestire in maniera efficiente i sistemi idrici, sono anche dei pessimi candidati per sovrintendere alla privatizzazione: non sarebbero bene equipaggiati per fronteggiare la cattiva gestione e l’aperta corruzione. Viceversa afferma: “Sappiamo già che governi abili riescono a gestire bene i servizi idrici”.
“Nel caso di un servizio pubblico”, aggiunge, “per lo meno il denaro delle bollette rimane nella comunità. Con le aziende private, i profitti escono dalla comunità…e probabilmente anche dal paese”.
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Il rilevamento da parte delle multinazionali
Alla fine degli anni ’90 un gruppo di multinazionali cominciò in sordina a prendere il controllo dei sistemi idrici mondiali. Il valore dell’acqua iniziò a crescere , e compagnie miliardarie come la Vivendi, la Suez, la Enron e la Betchel perlustrarono il mondo in cerca di opportunità lucrative.
Fra il 1994 e il 1998 esistevano 139 accordi commerciali relativi all’acqua del valore complessivo di circa 4 miliardi. Nel giro di sei mesi nel 1999 la Vivendi ha acquistato l’operatore degli Stati Uniti occidentali Filter per 6.2 miliardi, e la Suez ha acquistato la compagnia della costa orientale United Water Resources per 1 miliardo. Queste due transizioni avvennero immediatamente dopo che la Enron aveva pagato 2.2. miliardi per il servizio britannico Wessex Water.
Allo stesso tempo le vendite all’asta elettroniche di acqua furono lanciate su internet. In siti come water2water.com e waterrights.com i singoli con eccessi di acqua (ad esempio i contadini con contratti di irrigazione) potevano mettere in vendita i loro diritti sull’acqua al migliore offerente privato. Come risultato di tutti questi accordi e speculazioni, centinaia di milioni di persone in tutto il mondo ora dipendono dalle multinazionali (compagnie collocate altrove) per le loro riserve di acqua.
Pubblicato da Every Drop for Sale di Jeffrey Rothfeder ( Tarcher Putnam, 2001).
Il commercio come arma.
Durante l’ultima decade, gli accordi commerciali internazionali si sono drammaticamente estesi per includere affari che precedentemente rappresentavano questioni di interesse strettamente domestico. L’acqua è solo un esempio. Inoltre, patti di investimento, come il North American Free Trade Agreement ha simultaneamente esteso i poteri delle grandi aziende e minimizzato i loro obblighi. Questi patti di investimento hanno avuto un effetto deleterio sugli sforzi governativi di promuovere la salute, la protezione dell’ambiente e altri obbiettivi sociali. Sono stati invocati o minacciati in almeno cinque occasioni per sfidare le azioni del governo riguardanti l’acqua o i servizi idrici.
1 Methanex vs US
La compagnia canadese Methanex ha citato il governo statunitense per 970 milioni di dollari di danni per l’interdizione del 1999 dalla California e da altri stati in merito alla questione degli additivi per carburante prodotti dalla compagnia. L’additivo era stato vietato perché contaminava gravemente le falde acquifere.
2 Sun Belt vs Canada
La compagnia statunitense Sun Belt ha citato in giudizio il governo federale del Canada per 10 miliardi, perché la provincia canadese della British Columbia aveva messo una moratoria sui piani aziendali di esportare l’acqua locale in California. La Sun Belt ha dichiarato che l’interdizione ha danneggiato i suoi futuri profitti.
3 Vivendi Vs Argentina
La Compania de Aquas de Aconquija, affiliata alla Vivendi, ha citato il governo federale di Buenos Aires per 300 milioni di dollari quando la privatizzazione dell’acqua e degli scarichi dell’acqua in Argentina è fallita. La compagnia ha asserito che i diritti degli investitori erano offesi da ordini di salute pubblica, da obbligazioni di servizio mandatarie e dalla regolamentazione delle tariffe.
4 Betchel vs Bolivia
La Aguas de Lunari, affiliata alla Betchel, ha chiesto più di 25 milioni di dollari al governo boliviano per annullare la privatizzazione dei servizi idrici nella città di Cochabamba. Il governo aveva annullato la privatizzazione quando la popolazione locale reagì violentemente all’aumento insostenibile del prezzo dell’acqua imposto dalla compagnia.
5 Metalclad VS Messico
In Messico la compagnia statunitense Metalclad che si occupa di gestione dei rifiuti ha chiesto che il Mexico paghi più di 15 milioni di dollari perché l’impoverita municipalità rurale di Guadalcazar ha rifiutato di garantire il permesso di edificare in cambio di un’azzardata agevolazione annuale sui rifiuti di 650000 tonnellate all’anno.
Adattato da Thirst for Control, un rapporto della campagna internazionale contro la privatizzazione dell’acqua Blue Panel Project (www.bluepanelproject.net)
Le multinazionali fingono l’interesse pubblico
Per raggiungere i loro scopi le compagnie idriche devono superare un numero di ostacoli, il più ostico dei quali è il governo. In quanto proprietari delle risorse idriche, delle forniture e dei regolatori dei servizi pubblici, i governi possono giocare un ruolo cruciale nella salvaguardia dell’ambiente, nell’accesso universale alle risorse, nella qualità dell’acqua e nella salute pubblica. Questo li pone in contrasto con la crescita delle aziende e la ricerca del profitto.
Quindi la realizzazione degli obiettivi delle compagnie dipende dalla riduzione o dall’eliminazione di queste regole tradizionali dello stato. Le società strategiche sviluppatesi fra le multinazionali dell’acqua e le istituzioni finanziarie internazionali hanno fornito una strategia efficace allo scopo. Le più importanti tra queste società, la Global Water Partnership (GWP) e il World Water Council (WWC) sono state fondate nel 1996. Esse forniscono un’arena di negoziazione e collaborazione fra le maggiori compagnie dell’acqua, banche multilaterali, l’ONU e le agenzie di sviluppo bilaterali e le ONG. Attraverso queste società, i moventi economici delle maggiori compagnie idriche sono stati razionalizzati come, o inclusi nella facciata di, più ampi obbiettivi di interesse pubblico.
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