Lo tsunami distrugge ma la biodiversità aiuta a ricostruire
23.01.05
È difficile mettere voce in merito al disastro dello tsunami. Ma mi ha molto colpito un articolo di Vandana Shiva su questo tema, un discorso nel filone dei tentativi di dare delle risposte ai perché l’umanità si trovi a subire delle tragedie così atroci. Molti hanno scomodato l’innaturale: castighi divini, fatalismi, ragionamenti di filosofi, uomini di fede, studiosi di religione. Esattamente come lo furono gran parte delle notizie relative alle vittime, questi interrogativi vengono analizzati con la solita visione eurocentrica: cristiani, ebrei o filosofi occidentali. Me se invece andiamo a sondare qual è il punto di vista delle popolazioni colpite, se facciamo lo sforzo di vedere le cose attraverso la loro concezione del mondo, influenzata dalle religioni e dal pensiero degli orientali, ecco che tutto appare sotto un’altra ottica, e ci rendiamo conto di quanto siamo poco accorti, supponenti e irresponsabili.
Già, il senso di responsabilità: e ciò che ha ben presente Vandana Shiva per il suo commento all’evento e ciò che hanno ben presente la maggioranza delle persone coinvolte in quel disastro. Un’umanità a noi sconosciuta, che vive secondo un principio di responsabilità riconducibile al karma: tradotto in parole povere è il bisogno di comportarsi bene in questa vita per vivere meglio la prossima. Credono alla reincarnazione e comportarsi responsabilmente è un modo per consegnare un mondo migliore a se stessi e ai propri figli in futuro. A chi verrà dopo di noi.
Vandana Shiva dice che lo tsunami va preso come un avvertimento di ciò che succederà se non ci prepariamo, se continuiamo ad agire solo per il profitto immediato e non guardiamo più avanti: è un avviso alla terra. «Le lezioni dello tsunami sulla necessità di prepararci ai disastri devono riguardare tutti i disastri che possono verificarsi in conseguenza di modelli di sviluppo che ignorano i costi ecologici e la vulnerabilità, a favore della crescita a breve termine».
Secondo Vandana all’indice c’è il mondo delle grandi corporations, il mondo dove è il denaro ciò che ci tiene uniti, invece del senso di responsabilità e della compassione. Un mondo dove può accadere che il 26 dicembre, mentre l’onda anomala si abbatteva sulle coste dell’India, il Governo indiano stava approvando un decreto sui brevetti che ha impedito dal primo gennaio di quest’anno la produzione di farmaci a basso costo. Proprio mentre esplodeva il bisogno urgente di queste medicine per centinaia di migliaia di persone.
Quindi lo tsunami non è stato solo un’onda contro la costa, ha rappresentato la collisione di due visioni del mondo. Quella del profitto immediato e dello scempio alla natura contro quella di un’umanità che si sente fragile e responsabile per ciò che fa.
L’agroindustria che non rispetta gli equilibri ambientali è l’espressione di una visione che ci porterà grandi e piccoli incidenti: non possiamo cogliere questi messaggi come se fossero soltanto evocatori di altri disastri annunciati, ma dobbiamo prendere coscienza che tutto rientra nella logica di un totale disprezzo degli equilibri degli ecosistemi, con una forte dose di presunzione – o di irresponsabilità – che ci fa credere di poter dominare la natura. No, invece dobbiamo essere umili e proteggerci, collaborare il più possibile con essa, anche perché tanto come può farci male, è lei che ci può salvare.
Ora è emergenza, ci sono un mucchio di persone da aiutare: Vandana mi ha segnalato che nel Tamil Nadu non solo si è perso tutto, ma la terra è diventata incoltivabile, piena di sabbia e di residui salini. Per fortuna l’associazione presieduta dalla scienziata indiana ha collezionato dall’immenso patrimonio di biodiversità indiana dei semi in grado di resistere a elevati livelli di salinità del terreno.
Vorrei che questa piccola storia di ricostruzione indiana sia significativa per tutti. La filosofia orientale ci fa trovare un nesso tra un incredibile terremoto nei fondali marini e la nostra condizione di sfruttatori del pianeta, un nesso che per inseguire lo sviluppo abbiamo dimenticato, che ci farà pagare drammaticamente i costi ambientali che non mettiamo mai a bilancio.
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