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Una miniera d'oro per le ecomafie

La ragnatela globale dell'ecobusiness fotografata dal dossier di Legambiente e carabinieri
27 gennaio 2005
M.Ca
Fonte: www.ilmanifesto.it
26.01.05

Non c'è rifiuto che non risulti appetibile alle ecomafie. Si traffica illegalmente persino sulle banconote triturate da Bankitalia e sulla carta usata per per pulire le mammelle delle mucche! Questo e molto altro s'impara dal decimo rapporto sulle ecomafie redatto a quattro mani da Legambiente e dai Carabinieri. Quello di quest'anno, intitolato Rifiuti Spa, radiografia dei traffici illeciti, fotografa una «ragnatela» che, con le uniche eccezioni virtuose della Valle d'Aosta e del Trentino Alto Adige, avvolge l'Italia per intero. Con diramazioni verso i paesi dell'Est e verso l'Africa perché la Rifiuti spa, osserva il presidente di Legambiente Roberto Della Seta, è «un'impresa globale». Íl cronico deficit d'impianti di smaltimento, la disinvoltura colpevole di molte aziende, la corruzione delle burocrazie, gli interessi malavitosi: tutto questo concorre a far diventare i rifiuti una miniera d'oro per le ecomafie.

Cinque reati al giorno, 17 mila infrazioni accertate dal 1994 al 2003, un giro d'affari annuo di 13 miliardi di euro, paragonabile a quello della droga, del traffico d'armi, del contrabbando. Ogni tipologia di rifiuto ha una sua quotazione di listino. Il prezzo è di molto inferiore a quello del mercato legale per i rifiuti industriali provenienti da imprese private. E' superiore alla norma, perché il costo ricade sui cittadini, per i rifiuti urbani raccolti dalle municipalizzate. Costa 30 lire smaltire un chilo di terra «cimiteriale», ce ne vogliono 185 per il fluff (le parti non metalliche delle automobile, si superano le mille lire per materiali più pericolosi. Data la totale inosservanza delle più elementari regole di sicurezza e di rispetto dell'ambiente, i profitti sono sempre alti.

Nel 2002 sono mancate all'appello, cioé sono «scomparse» non si sa dove, 14 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, pari a una montagna con una base di 3 ettari e alta quasi 1.500 metri. Montagna che si va aggiungere alle altre 5 cresciute nel quinquennio precedente. I rifiuti che non scompaiono, spesso e volentieri cambiano «identità»: da pericolosi diventano speciali grazie al trucco del «giro bolla» o alla complicità di un laboratorio d'analisi. Il nucleo Tutela ambientale dei Carabinieri segue con particolare attenzione un migliaio di persone del giro. Le 32 indagini condotte nell'ultimo triennio hanno fruttato 200 arresti e 647 denunce; 192 le aziende pizzicate.

Di fronte a questa deprimente e allarmente fotografia il ministro dell'ambiente Matteoli afferma che «la coscienza ambientale nel paese è notevolmente cresciuta, anche in quei settori come l'imprenditoria che in passato hanno avuto problemi con il rispetto delle norme». Sul conto delle imprese la pensano diversamente sia il generale dei Carabinieri Raffaele Vacca che il procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna. «L'imprenditore che dà i soldi a un'attività crimanale finisce per strozzarsi con le proprie mani», dice Vigna che propone di «mettere alla gogna» le aziende «socialmente irresponsabili». «Finché non si intaccano i patrimoni, la lotta alle ecomafie sarà sempre in affanno», dice il generale Vacca. Entrambi plaudono quando il presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti (il forzista Paolo Russo) afferma che «c'è un'assoluta necessità d'introdurre nel codice penale i delitti ambientali». L'indicazione che la commisione darà al parlamento soddisfa Vigna anche su un altro versante: affidare le indagini sul business dei rifiuti non a tutte le procure ma alle 26 che fanno a livello territoriale più ampio le indagini antimafia.
Matteoli è rimasto dell'opinione che «l'ambiente non si tutela solo con il ricorso a norme penali, è importante invece puntare sulla prevenzione, sulla cultura e l'educazione dei cittadini già in ambito scolastico».

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