Amazzonia: Ogni anno vanno perduti 20 mila chilometri quadrati di foresta.
di bovini e
la coltivazione
della soia.
Ora il presidente Lula intende correre ai ripari.
Con l’aiuto
degli ambientalisti di tutto il mondo
gennaio 2005
Secondo il Cifor, il successo della carne di qui ha varie motivazioni: il
diffuso timore della Mucca pazza e della Sars in altri Paesi, la sempre minore incidenza di afta epizootica in Brasile, la svalutazione della moneta locale. Il consumo di bovino è salito anzitutto localmente, con l’espandersi della capacità di acquisto di parte della popolazione (i new consumer descritti, anche in base a questo parametro, da Norman Myers e Jennifer Kent in I nuovi consumatori. Paesi emergenti tra consumo e sostenibilità, Edizioni Ambiente). Gli investimenti sono remunerativi. I bovini rendono molto bene.L’attribuzione dei terreni è difficilissima da regolamentare, il che apre le porte alle occupazioni abusive. Mentre facile è dribblare le norme che impediscono di deforestare più del 20% delle proprietà. Anche se la carneproveniente dalla ex foresta è oggi consumata soprattutto all’interno, il Cifor prevede un forte ampliamento dell’export (www.cifor.cgiar.org/publications/ pdf_files/media/ Amazon.pdf). Le logiche che conducono a deforestare sono antiche, numerose e intricate come la giungla stessa. Ma due risaltano sulle altre: per le somme di denaro che vi girano intorno, per la creazione di infrastrutture a esse legate e per il vorace avanzamento, registrato dall’occhio imparziale del satellite. La prima è, appunto, la carne; l’altra è la soia, in gran parte destinata all’alimentazione dei capi degli altri continenti.
La coltura brasiliana -spinta dall’enorme sviluppo del mercato mondiale, dai prezzi eccellenti, dai significativi investitori stranieri e da alcuni grandi produttori locali - sta avanzando dalla savana del centro-sud del Mato Grosso, dove si era attestata negli anni ’80, verso l’Amazzonia del nord, ma anche in Pará, Roraima, Rondonia e nell’estremo sud dello Stato di Amazonas. I sojeros sono approdati sul grande fiume, a Santarem, cittadina a metà dei 2.500 km che separano Manaus dalla foce del Rio delle Amazzoni. La realizzazione di una rete di terminal fluviali, per imbarcazioni che da sole spostano l’equivalente di mille camion di soia, ha ridotto i tempi e le spese. Il risultato è il boom, ancora una volta a scapito della foresta e a favore dei colossi dell’agribusiness internazionale. Le contestazioni non mancano. Gli attivisti di Greenpeace, a maggio, hanno scalato il terminal di Santarem per appendervi uno striscione che accusava la Cargill - una delle multinazionali - di portare alla distruzione della giungla. Sette hanno pagato con l’arresto. Tra coloro che cercano di limitare il danno ecologico e, allo stesso tempo, migliorare le condizioni di vita della gente c’è Marina Silva de Souza*, infaticabile e combattivo ministro dell’Ambiente. I due obiettivi sono infatti tra le priorità di Lula.
A marzo è stato annunciato un grande piano per controllare la deforestazione nell’Amazônia Legal. Partirà un nuovo sistema di allerta satellitare. Sono state istituite ampie oasi protette. Ma non basta: serve anche la responsabilizzazione dei proprietari terrieri. Una delle alternative al saccheggio della biodiversità mondiale resta il calo del consumo di carne nei Paesi occidentali. Il nostro modello, troppo ricco di proteine animali, è stato anche esportato con successo. Lo prospettava l’Ifpri (International Food Policy Research Institute,http://www.ifpri.org) già nel 2002, prevedendo un aumento del 40% della domanda di carne nel Sud del mondo per il 2020. Possiamo limitare i danni anche sostenendo le produzioni locali ecologicamente corrette. È uno degli obiettivi di Amigos da Terra - Amazônia Brasileira, presente nel Paese fin dal 1989. «Facciamo lobbying politico, diffusione d’informazioni e un lavoro
sul campo, con le comunità locali», spiega Roberto Smeraldi, che guida
l’associazione. Tra le risorse create c’è il portale Amazônia, fonte di notizie, dibattiti, studi. Poi Radio Amazônia, la voce della foresta: 236 stazioni radio a onde corte collegano le comunità più remote. Di questa rete fanno parte anche progetti mirati a sviluppare l’economia e tutelare l’ambiente; per esempio, la certificazione Fsc (www.fsc.org/fsc) garantisce articoli realizzati con legno “corretto” dal lato ambientale, sociale ed economico. «Offriamo servizi di business alle piccole comunità che hanno prodotti sostenibili da commercializzare», aggiunge Smeraldi, «e contiamo di organizzare presto una fiera internazionale». È ora di cambiare, insomma. Altrimenti, ammonisce il World Resources Institute (www.wri.org), l’attuale trend condurrà alla sparizione del 40% delle foreste mondiali nei prossimi dieci o vent’anni; forse prima.
più giovane senatore mai entrato nel governo brasiliano, nonché il più votato rappresentante di uno Stato. La storia di Marina Silva de Souza, ministro dell’Ambiente di Lula, è densa di fatti che ricordano i libri di Gabriel García Márquez o di Isabel Allende; il filo della sua esistenza parte e arriva alla giungla. Questa signora minuta, dai lunghi riccioli scuri, i lineamenti tirati e lo sguardo diretto, è davvero figlia della foresta amazzonica. Ha provato su di sé i disagi delle malattie endemiche, contro cui combatte tuttora, e ha conosciuto i segreti del grande bosco. La sua vita è iniziata proprio dai luoghi che ora Marina lotta per salvare. Cresciuta tra gli estrattori di caucciù dello Stato di Acre, ha imparato a leggere e a scrivere in due mesi, a 16 anni, quando per curarsi la malaria si è trasferita a Rio Branco. Qui ha iniziato una intensa carriera di studi e di attivismo sindacale. Marina Silva de Souza ha raccolto l’eredità di Chico Mendez, il leader del movimento dei seringueiros ucciso nel 1988. Oggi porta avanti la battaglia contro lo sfruttamento selvaggio della foresta e della gente che la abita. Il suo obiettivo è una riforma agraria che dia ai milioni di contadini ancora senza terra un campo da coltivare, e che implementi nuovi modelli di sviluppo ecologicamente sostenibili, attuati nel rispetto delle comunità tradizionali.
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