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Nato otto anni fa si impegna a ridurre i gas serra del 6,5%. Usa e Australia pronti a boicottarlo. Bruxelles pronta a bocciare di nuovo l'Italia

In vigore il trattato di Kyoto ...meglio tardi che mai

16 febbraio 2005
Sabina Morandi
Fonte: www.liberazione.it
16.02.05

. Ci siamo. Dopo otto lunghi anni entra ufficialmente in vigore il Protocollo di Kyoto, in sostanza un piano per ridurre le emissioni dei cosiddetti gas-serra, come vengono chiamati i gas considerati responsabili del riscaldamento globale. Per anni il Protocollo è stato bloccato dall'agguerrita opposizione degli Stati Uniti e dei suoi alleati - Australia in testa - che, pur firmando l'accordo di massima insieme a 180 paesi, si sono poi rifiutati di ratificarlo. E' stata soltanto la decisione del parlamento russo, nel novembre scorso, a rendere possibile il superamento della soglia del 55 per cento dei firmatari, al di sotto della quale il Protocollo restava privo di valore. Da oggi i paesi che non rispettano le quote di riduzione rischiano delle sanzioni, almeno in teoria. In pratica siamo ancora ben lontani dall'avere stabilito i meccanismi - e gli organismi - deputati al controllo e alle punizioni. Già lanciatissima è invece la "borsa delle emissioni", meccanismo previsto dal Protocollo per garantire ai paesi industrializzati la possibilità di comprare licenze di inquinamento da quelli più poveri.

C'era una volta Rio…

Nel '92 si tenne a Rio de Janeiro la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, meglio nota come il "Summit della terra", dove si parlò per la prima volta di riscaldamento globale. Subito dopo venne stipulata la Convenzione di New York che si poneva come obiettivo ultimo la stabilizzazione delle concentrazioni in atmosfera dei gas a effetto serra e, il 10 dicembre 1997, venne firmato il Protocollo di Kyoto per impegnare i paesi industrializzati a ridurre le emissioni di gas serra complessivamente del 5,2 per cento rispetto ai livelli del 1990, entro il periodo compreso tra il 2008 e il 2012. Un anno dopo, con la decisione del Consiglio dei ministri dell'Ambiente dell'Unione europea, l'Italia s'impegnava a ridurre le proprie emissioni del 6,5 per cento nel quadro degli impegni comunitari di riduzione complessiva dell'8 per cento rispetto ai livelli 1990.

Nato come un compromesso al ribasso, e criticato dagli ambientalisti proprio per questo, con il passare degli anni il Protocollo si è rivelato sempre più insufficiente mentre, al contempo, non riusciva a piegare la feroce resistenza della lobby petrolifera che ha continuato a finanziare ricerche volte a dimostrare l'infondatezza della nozione di "effetto serra". Soldi spesi male perché, alla fine, la comunità scientifica ha trovato un accordo di massima se non sui gradi - c'è chi dice che l'incremento si aggiri sui 3 gradi c'è chi parla di 6 - almeno sull'esistenza del fenomeno. Gli scienziati dell'Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite hanno trovato prove del riscaldamento globale ovunque: nel ritiro dei ghiacciai, nell'assottigliamento della calotta polare, nella diminuzione delle nevi perenni, nell'aumento delle precipitazioni e nell'impressionante incremento delle più violente manifestazioni meteorologiche. Naturalmente, mentre sono i paesi ricchi a inquinare di più, le conseguenze ricadono sui poveri: la desertificazione rosicchia via le terre coltivabili, i morti da inondazione si contano a migliaia e i cosiddetti "profughi ambientali", nuovo termine coniato per l'occasione, vengono lasciati a morire di fame a telecamere spente.

Ma il Protocollo ha un altro difetto sostanziale: quello di volersi a tutti i costi mantenere nel ristretto ambito d'osservanza neo-liberista. In nome del "mercato che guarisce tutto" è stato introdotto l'emission trading ovvero il commercio delle quote d'inquinamento previste per ciascun paese. Se, per esempio, la Russia produce meno gas perché le fabbriche chiudono può sempre vendere le proprie quote alla Francia che, acquistandole, riduce le proprie emissioni sulla carta, mentre nella realtà le incrementa. Un meccanismo perfetto per inaugurare un nuovo redditizio mercato "creativo" ma pessimo per incidere realmente sul riscaldamento globale.

Chi fa qualcosa e chi no

Per quanto modeste, le quote di riduzione stabilite dal Protocollo di Kyoto si sono rivelate completamente al di sopra delle possibilità del nostro paese che, dal 1990, non ha fatto che aumentare le emissioni di anidride carbonica, uno dei principali gas serra. Invece della prevista riduzione del 6,5% l'Italia si presenta con un imbarazzante aumento del 12 per cento. Nel frattempo Germania e Francia mettevano mano a una seria politica dell'efficienza energetica e dei trasporti che consentiva loro di ridurre le emissioni rispettivamente del 19 e del 14 per cento. Perfino un paese in fenomenale fase di crescita come la Cina - che in quanto paese in via di sviluppo non è vincolata dal Protocollo - è riuscita a ridurre in modo consistente le emissioni - pare del 17 per cento - cimentandosi in un mega-piano di riconversione dall'inquinantissimo e diffusissimo carbone al petrolio.

Al contrario il Bel Paese, dopo la sonora bocciatura di Bruxelles al piano presentato per recepire la direttiva europea sull'emission trading - cosa che costerà a Italia, Grecia, Repubblica Ceca e Polonia l'ennesima procedura d'infrazione - si candida a comprare quote per compensare lo sfondamento assicurato da una politica che, invece di puntare sull'innovazione tecnologica, torna a proporre il carbone e i derivati del catrame. Il ministro Siniscalco ha assicurato di essere già in parola con alcuni paesi - Laos, Brasile, Argentina e Croazia per citarne alcuni - che hanno promesso prezzi stracciati. Così, invece di investire in risorse rinnovabili come hanno fatto altri paesi - la Germania produce con l'eolico già 16 mila mega/watt - o in una politica dei trasporti in grado di offrire una seria alternativa all'auto privata o al trasporto di merci su gomma - i soldi dei contribuenti verranno utilizzati per comprare il diritto di avvelenare le nostre città e di riscaldare il pianeta. E sono bei soldi: fra i 300 e i 450 milioni di euro l'anno da qui al 2012, sempre che l'entrata in vigore del Protocollo non faccia schizzare in alto i prezzi delle quote, cosa ritenuta molto probabile dagli esperti del settore.

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