Isole di calore nei centri urbani perché aumenta l’uso degli impianti di refrigerazione
L’effetto «isola di calore urbano», fenomeno con cui i meteorologi indicano il surplus di caldo che si registra nelle grandi città, è in aumento. Fino a qualche anno fa, nei mesi estivi, i termometri cittadini segnavano temperature fra i 3 e i 5 gradi superiori a quelle delle stazioni extraurbane. Ora la forbice tende ad allargarsi: a Roma e a Milano è stato accertato un ulteriore balzo di qualche grado. Colpa dell’espansione edilizia, del crescente traffico automobilistico, delle emissioni inquinanti e, da ultimo, del dilagare dei condizionatori. «Una ricerca condotta negli archivi dell’Osservatorio del Collegio Romano, nel cuore della Capitale, ci ha portato a riscontrare, negli ultimi dieci anni, un aumento di due gradi sulle temperature minime dei mesi di luglio e agosto - riferiscono i climatologi Franca Mangianti e Francesco Leone -. Il calo delle temperature notturne, che dà sollievo nelle giornate più arroventate, si sta attenuando perché la città trattiene più efficacemente il calore del giorno, rallentando la dispersione verso il cielo». Le peggiori conseguenze si avvertono in concomitanza delle ondate di calore: quando anche nelle zone non urbanizzate le temperature balzano a 30-35 gradi, le città si trovano a sopportare valori sopra i 40.
«Anche a Milano si registra un incremento analogo - conferma il professor Sergio Borghi, direttore dell’Osservatorio meteorologico del Duomo -. Da noi la parte più calda della città è quella attorno alla Stazione Centrale. Ma in tutta la zona Nord, a causa della sua intensa urbanizzazione e scarsa ventilazione, l’isola di calore è più marcata».
Il crescendo del fenomeno ha scatenato la recente corsa alla refrigerazione: «Cinque milioni di condizionatori negli ultimi quattro anni, che hanno richiesto un aumento della potenza elettrica di picco pari a cinque grandi centrali, e che purtroppo funzionano a rendimenti molto bassi», lamenta l’ingegnere Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club. Risultato: una spirale perversa che vede aumentare le temperature, crescere la richiesta di condizionamento e farsi più soffocanti le condizioni della bolla di calore urbano. Basta avere una finestra che fronteggia il condizionatore di un vicino di casa per rendersene conto.
In alcune città come Atene, Los Angeles e Tokyo l’effetto isola di calore è stato indagato con delle reti meteorologiche dedicate, allo scopo di comprenderne la dinamica. In Italia, per carenza di finanziamenti, non sono stati ancora avviati studi altrettanto approfonditi, ma i problemi di fondo sono comuni, spiega il professor Renato Lazzarin dell’Università di Padova, uno dei maggiori esperti del fenomeno: «I materiali delle superfici urbane: strade, muri e tetti degli edifici, hanno un coefficiente d’assorbimento almeno del 10% superiore alle superfici verdi. L’espansione edilizia e la riduzione delle aree verdi costituiscono, pertanto, la causa principale di incremento dell’effetto. A questi fattori "passivi", si aggiungono quelli "attivi", costituiti da una molteplicità di fonti di riscaldamento diffuse. Il traffico automobilistico, per esempio, contribuisce sia con il calore diretto dei motori, sia con gli scarichi che formano sopra le città una cupola di gas e polveri in grado di trattenere altro calore solare».
Uffici, negozi e abitazioni private contribuiscono con la moltiplicazione di refrigeratori e condizionatori. «Il contributo di questi ultimi nelle città italiane è, per ora, di qualche percento sul totale - precisa Lazzarin -. Ma è destinato ad aumentare se si affermeranno anche da noi gli stili di vita delle città nordamericane, dove gli impianti vengono lasciati accesi giorno e notte, anche quando gli edifici non sono abitati, e le temperature regolate su valori inammissibili, che richiedono di indossare la maglia di lana».
Franco Foresta Martin
www.corriere.it
24.07.04