Aldrina, clordano, ddt, dieldrina, endrina, eptacloro, mirex, toxafene, bifenili policlorurati (Pcb), esaclorobenzene, diossine e furani. In una sigla: i Pop, Persistent Organic Pollutants. Eccoli, i 12 veleni dal nome impronunciabile, messi al bando dalla Convenzione di Stoccolma (ma presto potrebbero aggiungersene altri). Sono insetticidi, sostanze chimiche industriali e sottoprodotti della combustione che si trovano praticamente ovunque: servono contro formiche e termiti, topi e zanzare; vengono usati nel materiale isolante di trasformatori e condensatori e nella gomma; si trovano in computer, vernici e prodotti per la casa; si formano durante il processo di combustione.
E viaggiano. Circolano globalmente trasportati dal vento e dalle correnti marine. Dopo ripetuti processi di evaporazione e condensazione, vengono portati in regioni lontanissime da quelle in cui sono stati emessi. Ci vogliono decenni per smaltirli e si bioaccumulano, cioè si depositano nel grasso corporeo degli esseri viventi (balene, foche, aquile, orsi polari e molte altre specie, uomini compresi) dove si trasmettono di madre in figlio. Lo testimonia il Ddt ritrovato nel tessuto di animali polari e di mamme e bambini delle tribù Inuit.
"La persistenza e la capacità di accumularsi fa sì che i Pop siano tra le sostanze più pericolose oggi conosciute", avverte Vittoria Polidori, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. "Sono infatti molto tossici: tra gli effetti collaterali ci sono tumori, sterilità, danni al sistema nervoso e a quello immunitario".
La Convenzione bandisce tutti questi prodotti, ma in alcuni casi permette di farne uso finché non ci saranno valide alternative. È il caso dei Pcb,
liquidi molto usati nei trasformatori elettrici. Vanno segnalati con
un’etichetta sul prodotto; i governi devono inoltre smaltire gli enormi
stoccaggi esistenti, effettuare la manutenzione dei dispositivi per prevenire perdite e, entro il 2025, studiare come rimpiazzarli. Un altro caso è quello del Ddt, ancora ammesso nelle nazioni che ne fanno richiesta per combattere la malaria, almeno fin quando non saranno disponibili alternative. Una nota di demerito all’Italia che, dopo aver firmato il trattato nel 2001 e aver promesso la ratifica durante il semestre di presidenza dell’Ue, ancora non ha fatto propria la Convenzione.