La sfida dei Conflict Minerals
Negli ultimi anni, a livello internazionale, sempre più attenzione è stata posta sulle tematiche riguardanti le attività di estrazione e lavorazione dei cosiddetti “conflict minerals” provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC) e dalle regioni ad essa confinanti (“Covered Countries”) e le cui attività correlate (estrazione, lavorazione, ecc.) finanziano conflitti armati. Con il termine “conflict minerals” si fa riferimento a cassiterite, columbite-tantalite, oro e wolframite e loro derivati (tungsteno, stagno, tantalio), di seguito indicati anche come 3TG.
Nel 2010, con lo scopo di dissuadere le imprese dall’intraprendere rapporti commerciali che finanzino conflitti armati nella regione della RDC e per rendere più trasparenti gli interessi finanziari a supporto degli stessi, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato la “Section 1502” del Dodd-Frank Act che è stata normata dalla SEC (US Securities and Exchange Commission) nel 2012.
Nella pratica, tutte le imprese iscritte alla SEC che realizzano direttamente o contrattualizzano la realizzazione di prodotti per il cui funzionamento o processo produttivo sono necessari 3TG (ad eccezione di quelli che derivano da materiali riciclati o da scarti), hanno l’obbligo di individuare e riportare l’origine degli stessi una volta l’anno (entro il 31 maggio), compilando un apposito documento denominato Form SD (Specialized Disclosure). In alcuni casi, in relazione alle conclusioni tratte circa la provenienza dei 3TG stessi, le imprese devono compilare e pubblicare un ulteriore documento (Conflict Minerals Report) che descriva le attività di Due Diligence svolte al fine di individuare i paesi di origine dei 3TG impiegati e di identificare possibili finanziamenti di conflitti armati in tali paesi.
Pertanto, oltre a coinvolgere direttamente le aziende iscritte alla SEC, l’obbligo di legge coinvolge indirettamente anche i fornitori delle stesse: al fine di determinare l’origine dei 3TG individuati, infatti, le imprese devono svolgere un’attività di indagine (Reasonable Country of Origin Inquiry – RCOI) sulla propria catena di fornitura, e, qualora non ottengano risposte che garantiscano una ragionevole certezza che i 3TG stessi non provengano dai “Covered Countries”, devono procedere con ulteriori attività di Due Diligence.
In questo senso, le implicazioni per le aziende del settore siderurgico, in qualità di fornitori, sono molteplici. Al fine di mantenere i clienti attuali e/o di non precludersi la possibilità di nuovi rapporti commerciali, esse devono saper far fronte ad eventuali richieste da parte dei propri clienti ed essere in grado di fornire risposte non solo esaustive, ma anche basate su solidi processi e strumenti interni (es. policy interna sui “conflict minerals”, strumenti di indagine sui propri fornitori, processi di reporting, ecc.).
Dall’analisi dei primi Conflict Minerals Report pubblicati a maggio del 2014, è risultato, infatti, che uno dei principali ostacoli riscontrati dalle aziende sottoposte all’obbligo di legge è stata l’assenza o l’incompletezza delle risposte dei propri fornitori, che ha impedito loro di riportare le informazioni richieste dalla “Section 1502” con sufficiente livello di dettaglio e di risalire la propria catena di fornitura fino agli smelter (fonderie). Per tale ragione, un’attenzione particolare è posta sul livello e sulla qualità del coinvolgimento della catena di fornitura: si chiede, infatti, alle aziende di instaurare un dialogo costruttivo e formativo con i propri fornitori. La nuova normativa sui Conflict Minerals ha, infatti, l’obiettivo di promuovere la collaborazione tra le aziende che compongono i diversi livelli della catena di fornitura, in modo da tracciare con ragionevole certezza la provenienza dei minerali e metalli presenti nei prodotti finali e scoraggiare il finanziamento e il supporto, anche indiretto, a situazioni di conflitto e di violazione dei diritti umani nella regione della RDC.
La sfida, per le aziende del settore siderurgico, è quella di comprendere a fondo il proprio ruolo nel contesto delineato dalla normativa e di dotarsi di strumenti efficaci per rispondere alle crescenti richieste dei propri clienti.
Roberto Giacomelli
Director Climate Change and Sustainability Services - EY
Tel. 02806691
Cell. 3316744229
Roberto.Giacomelli@it.ey.com
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