Bye Amazon
Distinguished Engineer alla Amazon Web Services
Tra salari big-tech e share vestings [1] questa scelta – probabilmente – mi costerà più di un milione di dollari (lordi), per non parlare del fatto che è il miglior lavoro ch’io abbia mai avuto, e che ho lavorato con persone veramente fantastiche. Quindi sì: sono abbastanza triste.
Cos’è successo
L’anno scorso gli Amazoniani del ramo tecnologico si sono uniti nell’AECJ (Amazon Employees for Climate Justice) venendo all’attenzione del mondo con una lettera aperta: la proposta di una dichiarazione d’intenti che invitava dirigenti Amazon a un intervento drastico in merito all’emergenza climatica globale. Io ero uno degli 8.702 firmatari.
Nonostante la dichiarazione d’intenti abbia ricevuto moltissimi voti non è stata approvata. Quattro mesi dopo, tremila dipendenti tecnici hanno partecipato allo Sciopero globale per il clima. Il giorno prima dello sciopero, Amazon ha annunciato un piano di azione in larga scala con cui si proponeva di prendere parte alla soluzione della crisi climatica. Questo non significa che gli attivisti siano stati riconosciuti dai datori di lavoro per la loro lungimiranza, anzi, i loro leader sono stati minacciati di licenziamento.
Facciamo un salto avanti, fino all’era del Covid-19. Sono venute a galla storie di disordini nei magazzini di Amazon, gli impiegati hanno fatto sentire la loro preoccupazione riguardo al fatto che si sentono poco informati, poco protetti e che quindi sono molto spaventati. Le dichiarazioni ufficiali dicono che sono state prese tutte le misure di sicurezza possibili. Poco dopo è stato licenziato un impiegato che promuoveva il miglioramento delle condizioni di sicurezza, e da un incontro dei dirigenti (il cui oggetto era la difesa dei punti chiave di Amazon riguardo alla sicurezza sul lavoro) sono trapelate delle note con osservazioni crude e insensibili.
Gli impiegati dei magazzini hanno chiesto il supporto di AECJ. La loro risposta è stata la promozione di una petizione interna all’azienda e l’organizzazione di una conference-call per giovedì 16 aprile: a questa avrebbero partecipato impiegati dei magazzini da tutto il mondo, ed era anche stata invitata l’attivista Naomi Klein. A quanto pare la goccia finale è stata una comunicazione inviata a una mailing list interna, venerdì 10 aprile: Emily Cunningham e Maren Costa, due leader dell’AECJ sono state licenziate in tronco. Questo gesto è stato motivato in modo ridicolo: chiunque avrebbe capito che sono state messe alla porta per aver denunciato pubblicamente la situazione interna all’azienda.
I manager avrebbero potuto opporsi all’evento, chiedere che non vi partecipassero membri esterni, oppure chiedere di partecipare con una rappresentanza della direzione: c’era ancora molto tempo a disposizione. Invece hanno semplicemente licenziato le attiviste.
Boom!
A questo punto sono scoppiato! Non è bene che un vicepresidente perda pubblicamente le staffe, così ho portato la faccenda ai piani alti, seguendo i canali appropriati e rispettando le regole. Non posso rivelare questi discorsi, ma ho presentato molte delle argomentazioni di cui vi parlo in questa sede. Penso di aver parlato con le persone giuste.
Fatto questo, continuare a essere un vicepresidente di Amazon avrebbe implicato, di fatto, avallare delle azioni che disprezzavo. Così ho rassegnato le mie dimissioni.
Le vittime non erano entità astratte, ma persone reali. Ecco alcuni dei loro nomi: Courtney Bowden, Gerald Bryson, Maren Costa, Emily Cunningham, Bashir Mohammed, e Chris Smalls.
Sono certo che sia una coincidenza il fatto che siano tutte persone di colore, oppure donne, oppure tutte e due le cose insieme. Giusto?
Diamo voce a uno di questi nomi. Ecco cosa ha detto Bashir Mohamed: «Mi hanno licenziato per spaventare gli altri.» Non siete d’accordo?
[Qui avevo scritto una lista di aggettivi, ma persone che rispetto mi hanno detto che suonavano meschini, allora mi sono convinto del fatto che non aggiungessero nulla al contesto e li ho tolti.]
E i magazzini?
Che i magazzinieri dicono di essere a rischio nei loro luoghi di lavoro è un dato di fatto. Non credo che i media stiano facendo un ottimo lavoro nel raccontare le loro storie. Ho partecipato alla videochiamata che ha portato al licenziamento di Maren ed Emily, e ascoltarli mi ha commosso. Anche voi potete ascoltarli se ne avete voglia [2]. Ne ha parlato anche il New York Times.
Non sono solo i lavoratori a essere arrabbiati. Qui ci sono Procuratori Generali di quattordici stati che dicono la loro al riguardo. Qui potete leggere le parole del Procuratore Generale dello stato di New York che esprime delle critiche più dettagliate. Qui trovate la causa che Amazon ha perso in un tribunale francese, per ben due volte.
Dall'altra parte il messaggio di Amazon insiste su un mantra: stanno dando la priorità al problema e si stanno impegnando al massimo per la sicurezza nei magazzini. In effetti io ci credo: ho sentito descrizioni dettagliate del grosso impegno e delle grandi somme investite. Bene, bravi, ma ammettiamolo: una superpetroliera non si trasforma in un istante.
Ma credo anche nelle testimonianze dei lavoratori. E alla fine, il problema non è quello della risposta al Covid-19. È che Amazon tratta gli esseri umani dei magazzini come unità sostituibili di potenziale raccolta e imballaggio. E non stiamo parlando solo di Amazon, è il modo in cui viene concepito il capitalismo del XXI secolo.
Amazon è gestita in un modo eccezionale e ha dimostrato una grande capacità nell’individuare opportunità, ideare processi e continuare a sfruttarle. Ma, al contempo, ha una visione ristretta sul costo umano che c'è dietro una crescita incessante e un’incessante accumulazione di beni e potere. Se non ci piacciono alcune delle cose che Amazon sta facendo, allora è necessario mettere delle barriere legali che siano in grado di fermarle. Non serve inventare nulla di nuovo: una combinazione di antitrust, salario minimo e leggi che diano potere ai lavoratori, imposta in modo rigoroso, offre un percorso chiaro per il futuro.
Non dite che non si può fare, perché la Francia lo sta gia facendo.
Veleno
Licenziare chi denuncia pubblicamente la situazione non è semplicemente un effetto collaterale delle forze macroeconomiche, nemmeno è qualcosa di intrinseco alla funzione del libero mercato. È un segno evidente della vena di tossicità che scorre nella cultura della compagnia. Io scelgo di non servirlo questo veleno, e nemmeno di berlo.
E AWS?
Amazon Web Services (il ramo Cloud Computing della compagnia), dove lavoravo io, è tutta un’altra storia. I lavoratori sono trattati in modo umano, si fa di tutto per mantenere un equilibrio tra la vita privata e il lavoro, ci si sforza di incrementare la diversità (cosa che per lo più fallisce, ma come tutti gli altri del resto), e in linea di massima è un’organizzazione etica. Nutro un’autentica ammirazione nei confronti della sua direzione.
Certo, i suoi lavoratori hanno potere. La paga media è molto alta, e chiunque non è soddisfatto può semplicemente attraversare la strada e trovare un altro lavoro altrettanto pagato (se non di più).
Si individua un modello?
Alla fine è una questione di equilibri di potere. I magazzinieri sono deboli e, tra disoccupazione di massa e (negli Stati Uniti) un’assicurazione sanitaria legata all’impiego, lo stanno diventando sempre di più. Quindi verranno trattati sempre più di merda, per via del capitalismo. Ogni soluzione plausibile deve incominciare con l’incremento della loro forza collettiva.
E adesso?
Per me? Non lo so, sinceramente non mi sono ancora preso il tempo per pensarci. Sono triste, ma respiro già più liberamente.
[2] Su YouTube https://youtu.be/5s5Aup66EZU c’è un’altra videochiamata di un giorno intero: dura nove ore, ma c’è un indice e si può decidere se si vogliono sentire impiegati dalla Polonia, Germania, Francia, o da diversi Paesi degli Stati Uniti.
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