Il centro di ricerca Eurispes: "Chiudere l'acciaieria Ilva di Taranto"
Roma, 13 mag. (Adnkronos)
(Tes/Adnkronos)
Chiudere l'acciaieria ex Ilva di Taranto, un 'ecomostro' da 15 milioni di metri quadrati, ottenuta cancellando vigneti, uliveti e masserie, più del doppio per estensione della stessa città di Taranto e riconvertire l'area: in 30 anni si potrebbe smontare gli impianti, bonificare l'area e avviare nuove iniziative turistiche mantenendo gli stessi livelli occupazionali se non, addirittura, incrementandoli. E' questa la proposta contenuta nel Rapporto Eurispes che dedica alle acciaierie di proprietà della multinazionale ArcelorMittal ma ora in comproprietà con lo Stato, un apposito capitolo dal titolo evocativo 'liberiamo Taranto'.
"Nonostante l’emergenza sanitaria, ambientale e la progressiva riduzione del numero degli addetti, lo stabilimento continua nella sua attività, difeso a spada tratta da chi non vede, o non vuole vedere, soluzioni alternative possibili", scrive. E nel giorno dell'attesa sentenza del Consiglio di Stato che deciderà se accogliere o rigettare l'ordinanza del sindaco di Taranto di chiudere l'area a caldo, dunque, il Rapporto non sembra avere dubbi.
"Se si considera che oggi l’acciaio può essere acquistato a livello internazionale a prezzi notevolmente inferiori di quelli necessari per la sua produzione a Taranto, e che in una economia globalizzata ciascun territorio dovrebbe cercare di valorizzare al meglio i propri asset e le proprie risorse, non resta che una soluzione: chiudere le acciaierie", si legge. E a chi prospetta l’impoverimento del territorio e la perdita di migliaia di posti di lavoro Eurispes segnala "che esistono soluzioni alternative: coerentemente con le strategie a lungo termine dell’Unione europea, con i Piani nazionali per l’energia e il clima e con i Piani per la transizione energetica, le stesse risorse, finanziarie e umane, impegnate per mantenere in vita lo stabilimento, possono essere utilizzate per smantellare gli impianti, bonificare il territorio e restituirlo alle sue naturali vocazioni".
Il Rapporto Eurispes azzarda anche una previsione sui tempi di riconversione. "Secondo calcoli, sia pure approssimativi (ma l’Istituto ha deciso di verificare attraverso un’approfondita analisi i costi e i benefici di una possibile riconversione), occorrerebbero dieci anni circa per la prima fase, smontare gli impianti, altri dieci anni per bonificare il territorio e altri dieci anni per avviare una serie di attività alternative legate al settore del turismo, dei servizi, dell’ambiente, dell’agricoltura mantenendo gli stessi livelli occupazionali se non, addirittura, incrementandoli", spiega sottolineando l'importanza di guardare al futuro dell'ex gruppo Ilva "con nuove lenti".
Serve, infatti, conclude, "una nuova cultura del lavoro e del territorio per non rimanere appesi ad un passato di politica industriale che non ha più senso né prospettive. Le reminiscenze autarchiche nella produzione dell’acciaio sono compatibili solo con l’antica stagione della “politica delle cannoniere”, di infausta memoria".
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