Sant'Anna di Stazzema, per non dimenticare...
"...Era il 12 agosto del '44 a Sant'Anna di Stazzema (entroterra versiliese N.d.R.). Avevo undici anni. Ho assistito al massacro di mio padre e dei miei cinque tra fratelli e sorelle, la più piccina aveva tre anni. I carnefici appartenevano alla 16a Divisione Panzergrenadier SS, tra loro alcuni italiani arruolati e collaborazionisti..." Sono le parole di Luigi. Il cognome non lo riportiamo non per suo desiderio, ma perché Luigi è un sopravvissuto. La sua storia è pressoché uguale a tutte le altre e i testimoni diretti e indiretti erano quasi tutti presenti il 22 giugno nell'aula del Tribunale Militare di La Spezia, demandato a ottenere giustizia per uno dei più efferati eccidi compiuti dai nazisti in ritirata. I trucidati 560, centinaia i bambini, uno senza nome e senza età:era stato appena partorito.
Il Presidente, Franco Ufilugelli, alle 19.38 ha letto il verdetto: dieci condanne all'ergastolo per G. Rauch, A. Shoneberg,G.Sommer, L.H. Sonntag, K.Gropler, L. Goring, B. Werner, H. Shendel, A.Concina e H.Richter. L'aula dei "sopravvissuti", qualcuno grazie al sacrificio di un congiunto che gli fece scudo con il proprio corpo e dei figli e dei nipoti di questi, è stata travolta da un applauso liberatorio unito al commosso sguardo del Procuratore Militare, Marco De Paolis, che aveva chiesto e dunque ottenuto dieci condanne a vita. Le sue parole sono state il reale conforto dei presenti: "...chiedo scusa perché la giustizia è arrivata tardi. E' vero queste persone condannate non sconteranno la pena, ma almeno faranno i conti con la loro coscienza..." Infatti, passata l'istintiva reazione, abbiamo raccolto i commenti, ma soprattutto osservato lo sguardo, di coloro che hanno atteso più di 60 anni, comprese le ultime dieci ore in attesa del verdetto in una piccola e strapiena aula diventata quasi invivibile per il caldo. Un'emozione toccante, un insieme di lacrime di gioia incredula, amara, lacrime di rabbia. Gioia e incredulità perché non si sperava nella massima condanna. Amarezza e rabbia perché gli assassini, "vecchietti" ultraottantenni che da allora probabilmente vivono sereni nelle loro casette di campagna, non erano lì, perché contumaci, almeno ad ascoltare, e proprio perché "vecchietti", non sconteranno la pena. L'unico che pare abbia chiesto perdono, senza però pentirsi, visto che non denunciò i carnefici compagni, è il soldato semplice Goring.
Una frase vale per tutte a descrivere la strage, perché si fa fatica a definirla con un aggettivo.L'abbiamo ascoltata da un gruppo di "eredi" di questo infimo pezzo di storia: "...il sangue scorreva a rivoli nelle strade, come in un mattatoio...".
Ritorniamo dal nostro Luigi. Gli chiediamo se è disposto a perdonare. "...no, non mi venga chiesto. Neppure venisse a chiedermelo il SantoPadre in persona.."Il suo accento toscano si fa più intenso e fermo che mai "...Rimasi solo con mia madre, una donna che aveva perso in un attimo, ma interminabile, il marito e cinque dei suoi sei figli. Convissi da allora con la sua "morte apparente". Io non potevo fare gran che perché avevo, ho, negli occhi la fotografia di quei momenti. Nell'anima un marchio a fuoco…." Fa fatica a parlare Luigi, ha bisogno di una boccata d'aria. Ci chiede scusa, sa che facciamo il nostro lavoro ma ultimamente ha patito molto quando gli abbiamo chiesto di sollevare per noi il foglio di carta velina che lo riparava dall'orrore. Nel '98 gli è morta la moglie, solo grazie a lei era riuscito a sbatterci sopra quel foglio.
Ennio Mancini, direttore del Museo della Resistenza di Sant'Anna , ma soprattutto combattivo sostenitore della causa a difesa delle vittime dirette e indirette, si è avvicinato al Presidente del Tribunale, gli ha chiesto se poteva dargli un bacio... Proprio lui ci dice che in giornata è stato dato mandato per intervenire avanti il Tribunale di Stoccarda competente giurisdizionalmente in quanto vi risiedono due dei dieci condannati. Presente tra gli altri l'associazione tedesca Distomo (così chiamata nel ricordo del paese greco ove il 10 giugno del '44, sempre a opera dei panzergrenadier, si compì una delle più selvagge stragi che la storia ricordi) associazione di intellettuali fondata nel 2001 con l'intento di raccogliere tutti quegli elementi utili a perseguire le stragi naziste, e dunque assistere gratuitamente tramite i suoi avvocati, le parti civili che si costituiranno. L'avvocato Gabriele Heinecke ha infatti gioito nell'ascoltare il verdetto. Questo servirà ad accrescere il materiale probatorio nelle indagini che si stanno svolgendo in Germania volte a ottenere finalmente dei rinvii a giudizio e dunque istituire in terra tedesca un importante processo a carico dei criminali nazisti.
Purtroppo a dare man forte a questi sono stati, tra gli altri, alcuni nostri connazionali che a Palazzo Cesi, sede della Procura Generale Militare, negli anni '60, archiviarono provvisoriamente 695 fascicoli processuali contenenti denunce precise di stragi commesse in Italia durante l'occupazione nazista dai tedeschi e dai collaborazionisti. Fascicoli che rimasero "dimenticati" fino al 94 ,anno in cui il procuratore militare A.Intelisano, in occasione del caso Priebke, scovò proprio in uno sgabuzzino della cancelleria di Palazzo Cesi (così come ci descrive lo storico Mimmo Franzinelli nel suo libro "Le stragi nascoste"). Erano riposti dentro a un armadio, con l'apertura rivolta al muro.Il dossier promemoria "Atrocities in Italy" portava il marchio "secret". L'elenco dei fascicoli proveniva dai servizi segreti britannici che consegnarono il materiale ai giudici italiani .Questi ritennero di rendere note solo le denunce contro ignoti e non già quelle facilmente identificabili per individuare i militari, e non solo tedeschi, colpevoli dei massacri. Una catena di olocausti occultati, secondo l'autore del libro, dalla continuità dell'amministrazione della giustizia tra fascismo e democrazia, condizionata da magistrati che si erano "formati" culturalmente sotto la dittatura. Questo ritrovamento tardivo ha fatto si che la ricostruzione storica sia stata irreversibilmente ostacolata, ma, quel che è peggio, ha permesso "in nome del popolo italiano" che la maggior parte dei responsabili siano rimasti impuniti.
A noi, ma soprattutto a tutti i Luigi, rimane una speranza che forse è stata proprio l'oggetto, ci piace pensare più dettato da valenza umana piuttosto che giuridica, della sentenza di La Spezia: noi, popolo italiano, abbiamo condannato a vita ultraottantenni, è vero, ma abbiamo almeno contribuito a che non si cancelli dalla memoria. Memoria affidata a future speranze che si battano per essere chiamati Uomini, rispondendo, seppur in ritardo, a Primo Levi.
Nadia Redoglia
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