Contro Hitler a mani nude
Nato a Cerignola, Sabbetta studia da agronomo specializzandosi in agricoltura tropicale, e nel settembre 1943 il regime fascista lo spedisce a dirigere la tenuta agricola di Tor Mancina, un Istituto Sperimentale Zootecnico a 27 chilometri da Roma sulla via Salaria, che si estende su una superficie di ben 1.200 ettari destinati a pascolo e a boschi.
Ed e' proprio qui che la coscienza si ribella. Il 30 maggio '44, mentre l'occupazione nazista volgeva al termine, Sabbetta riceve un ordine perentorio dall'ufficiale tedesco assegnato alla tenuta: consegnare per l'indomani venti uomini che avrebbero dovuto lasciare Tor Mancina assieme a bestiame razziato. "Il loro destino era ormai segnato - racconta Sabbetta - sarebbero stati deportati nei lager nazisti". Appena ricevuta la convocazione, i ragazzi si precipitano in massa da Sabbetta. "Verso l'imbrunire entrarono nella mia stanza - ricorda il novantacinquenne pugliese - e mi accorsi che non erano soli, ma accompagnati dai loro genitori. Le larcime versate dalle mamme avrebbero commosso chiunque".
Questo episodio e' solo il culmine della resistenza non armata di Tor Mancina, iniziata subito dopo l'armistizio con una serie geniale di stratagemmi e sotterfugi per salvare il salvabile. Tutto e' documentato nei minimi dettagli dallo stesso Sabbetta, che ha trasformato la sua casa in un archivio/museo: in una sala sono esposte fotografie d'epoca, mappe e ritagli di giornale, lo studio contiene un enorme schedario, ma non c'e' ancora nessuno in grado di raccogliere questa eredita' che rischia di andare al macero. "Sin dagli anni '20 - ci racconta Sabbetta - ho conservato l'abitudine di scrivere il mio diario, conservando lettere, documenti, carteggi, note , appunti, fotografie e schizzi dal vero. Dentro questo archivio c'e' tutta la mia vita".
A tutto questo si aggiunge l'accoglienza ricevuta nella tenuta di Tor Mancina da alleati, partigiani, militari italiani sbandati e renitenti alla leva ospitati sotto false generalita' dal personale dell'azienda agricola, che divideva con loro le gia' scarse razioni delle "tessere annonarie".
Quello di Tor Mancina non e' un caso isolato: molti altri episodi analoghi dimostrano che i gruppi armati di resistenza sono stati solamente la punta dell'iceberg di un movimento popolare formato da tanti italiani che, attraverso la non collaborazione e il sostegno ai perseguitati, hanno creato un contesto senza il quale la nostra liberazione sarebbe stata impossibile.
C'è chi ha rischiato la vita ospitando per mesi gli ebrei braccati, chi l'8 settembre 1944 ha svuotato l'armadio di famiglia degli abiti da uomo, per consentire ai militari in fuga dalle caserme di disfarsi della divisa con cui sarebbero stati arrestati, chi ebbe il coraggio di scioperare quando lo sciopero era ancora illegale e punito con il licenziamento e l'arresto.
In Danimarca, all"ordine di scrivere "Jude" (ebreo) sulle vetrine dei negozi risposero tutti i negozianti (e non solo gli ebrei), rendendo di fatto indistinguibili i negozi perche' tutti avevano la stessa scritta. Quando gli ebrei presenti in Danimarca furono costretti a portare la stella gialla come distintivo, il re di Danimarca, Cristiano X, per protesta decise di indossare in pubblico la stella di Davide, seguito da tutta la popolazione. Grazie a questa forma di tutela collettiva non armata furono pochissimi gli ebrei danesi deportati nei campi di concentramento.
Tuttavia c'e' chi cerca di preservare questa memoria scrivendo una storia diversa da quella "ufficiale", piena solo di battaglie e spostamenti di truppe, una storia che metta in luce il ruolo svolto dalle popolazioni disarmate nella liberazione da tirannie e regimi oppressivi.
Tra questi c'e' il professor Alessandro Marescotti, insegnante di lettere e presidente dell'associazione "PeaceLink", che ha realizzato assieme al figlio adolescente Daniele una "Storia della pace e dei diritti umani" liberamente scaricabile su internet all'indirizzo www.peacelink.it. "Il mio lavoro - spiega Marescotti - fa parte di quella corrente, definita di 'storia sociale', che si sforza di dare diritto di parola non solo ai sovrani, ai regnanti o ai potenti di turno ma anche alla gente comune, con le sue sofferenze e aspirazioni. La grande maggioranza degli storici - continua il professore - ha visto nella nonviolenza una concezione morale astratta e incapace di basarsi su mezzi concreti. E' ora di aggiungere alla storia nuovi posti di osservazione, per scoprire che la nonviolenza non è stata una ritirata vigliacca di fronte ai violenti, ma un continuo sacrificio che a differenza della guerra ha aiutato anche gli avversari nella ricerca di un futuro e di un'esistenza più umana".
Anche Enrico Peyretti, tra i piu' noti storici italiani della nonviolenza, e' convinto che questi argomenti siano stati relegati a torto nel limbo delle utopie velleitarie. "La difesa e liberazione senza guerra è possibile - afferma con decisione Peyretti -. Questa possibilità, anche se fosse minima, è altamente preziosa. Infatti, con la difesa militare un esercito vince, uno perde, due popoli soffrono e probabilmente perdono entrambi: il risultato è a somma zero, se non negativa. Con la difesa non armata c'è la possibilità di risultato a somma positiva: un guadagno in termini globali per entrambi. Questa possibilita' e' ancora tutta da scoprire - conclude Peyretti -. Infatti solo in pochissimi casi (che sono i grandi esempi di successo) la difesa non armata è stata usata con una preparazione morale e un addestramento pratico".
Ma dal Quirinale arriva un messaggio perentorio: "il Presidente Scalfaro comprende i sentimenti che ispirano il desiderio di ottenere uno speciale riconoscimento per l'eroico comportamento di tante generose famiglie. Purtroppo le attuali norme di legge non prevedono una simile distinzione".
In conseguenza delle "norme di legge", quindi, l'unica onorificenza ricevuta dai resistenti non armati di Tor Mancina rimane l'enorme cartellone esposto nella sala-museo della casa di Sabbetta, dove i visitatori scorrono i pannelli appesi ai muri per scoprire i nomi di ottanta eroi sconosciuti e dimenticati. Come Ernesto Amici, che anche sotto i bombardamenti ha contribuito all'occultamento di grano e avena, Riccardo Giunta, che ha rischiato la vita per salvare dalle razzie due auto, un camion, un motofurgone e tre trattori, Vincenso Passacantilli, capo dei vaccari mungitori, che ha distribuito latte ai militari alla macchia, occultando armi e derrate agricole.
Oggi Paolo Sabbetta vive a Foggia, e a dispetto dei suoi 95 anni e' ancora attivo e sempre pronto ad accogliere con un sorriso nella sua casa chiunque voglia raccogliere la sua testimonianza. Ha gravissimi problemi di vista, e vorrebbe una indennita' di accompagnamento, una pensione di invalidita' o qualunque altra forma di assistenza per avere accanto una persona che lo sostenga nel suo lavoro di memoria della resistenza nonviolenta, leggendo documenti e aiutandolo nella corrispondenza.
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