Dopo la strage di Nassiriya: che fare? La proposta della Tavola della Pace.

L’Italia per l’Iraq

E’ tempo di cambiare strada. Chi vuole la pace non propone il disimpegno ma un diverso e migliore impegno. Non più a sostegno delle potenze occupanti ma a sostegno dell’Onu.
29 novembre 2003
Tavola della Pace

Lo aveva detto Padre Ernesto Balducci nel 1991 e lo abbiamo ripetuto noi in ogni occasione: “La guerra non ha più senso per il semplice fatto che non si vince più. Per il semplice fatto che anche una guerra vinta non chiude il conflitto che voleva chiudere: lo riapre in forme più nuove e terribili”.

Oggi questa drammatica verità è sotto gli occhi di tutti. La guerra non è servita a sconfiggere ma ad infiammare il terrorismo che continua a spargere sangue e terrore senza limiti e né confini. Non è servita a rendere il mondo più sicuro perché ha indebolito l’Onu e la comunità internazionale, violato il diritto e la legalità internazionale, diviso i paesi e i popoli impegnati nella lotta al terrorismo, alimentato i bacini di odio e la proliferazione delle armi. Non è servita a portare la libertà e la democrazia in Afganistan e in Iraq né a mettere fine alle sofferenze di quei popoli. La guerra non ha più alcun senso. Bisogna cambiare strada. Perché alcuni si ostinanano a non riconoscere questa verità?

Ricominciamo dall’Onu

Ce lo impone la ragione! Lo suggerisce il buon senso!

All’indomani della tragedia di Nassiriya, la Tavola della pace rilancia un forte appello all’impegno per la pace in Iraq e in Medio Oriente. Il dolore profondo che oggi ci unisce alle famiglie di queste nuove vittime italiane ed irachene deve dare impulso ad un rinnovato impegno comune per impedire che la violenza, la guerra e il terrorismo possano continuare a prevalere sulla domanda di pace, libertà, dignità e giustizia.

Nostro dovere è domandarci cosa possono fare l’Italia e l’Europa per il popolo iracheno. Un popolo che, tra gravissime complicità e silenzi della comunità internazionale, ha subito l’oppressione di Saddam Hussein, la guerra contro l’Iran, la guerra del 1991, le sanzioni economiche, l’invasione angloamericana del 2003 e le sue conseguenze.

La guerra che ha abbattuto il regime di Saddam non ha risolto i problemi degli iracheni né ha ridotto le loro sofferenze. Il cancro che i signori della guerra dicono di aver voluto estirpare si sta invece riproducendo rapidamente in forme altrettanto violente e inaccettabili. La cronaca di tutti i giorni testimonia come la prosecuzione dell’occupazione militare angloamericana alimenti una spirale sanguinosa di attentati terroristici, violenze e misure repressive che condannano la società irachena a vivere ancora nel dolore, nell’insicurezza e nel caos. Così non può continuare.

Solo l’Onu e un’Europa unita possono aiutare il popolo iracheno ad uscire da questo vortice di lutti e sofferenze ricostruendo il proprio paese in un quadro pacifico e democratico. E l’Italia, anche in qualità di Presidente di turno dell’Unione Europea, ha il dovere di impegnare ogni sua energia in questa direzione.

L’obiettivo non può essere solo la fine dell’occupazione e il trasferimento dell’autorità alle forze irachene. L’Onu e l’Europa sono indispensabili per promuovere un autogoverno democratico, rispettoso dei diritti umani.

Il futuro dell’Iraq non può essere affidato né ad un governo imposto dagli Stati Uniti, disconnesso dalla società irachena, teso a tutelare gli interessi americani nell’area né ad un insieme di gruppi religiosi, etnici o tribali impegnati ad estendere il proprio potere senza rispetto per i diritti umani. Entrambe le ipotesi di ricostruzione politica, coltivate dai neoconservatori americani e dai più pragmatici inglesi, sono destinate ad alimentare altre frustrazioni, altro malcontento, altra violenza e altro terrorismo. Il rischio è che il popolo iracheno non passi dalla dittatura alla democrazia ma da una dittatura ad un sistema altrettanto violento, ingiusto e antidemocratico.

La democrazia non potrà mai essere imposta dall’alto secondo un modello importato dalle potenze occupanti o affidata ai diversi gruppi che oggi prevalgono nel paese. La costruzione della democrazia esige tempo e pazienza che mal si conciliano con l’escalation della violenza e con le esigenze elettorali dell’amministrazione americana. Per questo abbiamo bisogno che l’Onu –quale autorità sovranazionale imparziale- sia presente in Iraq: per sostenere un processo di transizione alla democrazia che affondi le radici tra la popolazione e si nutra della promozione dei diritti umani.

L’Italia deve dunque investire subito sull’Onu e fare ogni sforzo per favorire il suo rapido rientro in Iraq.

Invece di prolungare la missione dei nostri tremila soldati a Nassiriya a fianco delle truppe d’occupazione, l’Italia deve destinare tutte le proprie risorse umane e finanziarie per rafforzare il ruolo vitale dell’Onu.

Invece di restare in Iraq agli ordini del comando anglo-americano, l’Italia deve mettersi a disposizione e agire di concerto con il Segretario Generale dell’Onu.

Invece di sprecare altri soldi in una missione militare dai contorni confusi e discutibili, l’Italia deve investire nel ridare credibilità all’unica autorità sopranazionale che può rispondere ai bisogni vitali di una popolazione stremata da decenni di guerre e dittature e che può aiutare gli iracheni a recuperare capacità di autodeterminazione e autogoverno democratico.

Invece di agire ancora una volta da sola, l’Italia deve lavorare perché questa diventi la posizione e l’iniziativa comune dell’Europa: un’Europa che s’impegna a ricostruire l’Iraq e la pace in Medio Oriente ma anche il diritto e la legalità internazionale violate.

Questa è la svolta che noi chiediamo al Parlamento e al Governo italiano. Continuare come se niente fosse accaduto sarebbe un grave errore.

L’Italia e l’Europa unita devono porsi l’obiettivo di sostenere l’azione delle Nazioni Unite a partire da quelle missioni che la stessa Risoluzione 1511 elenca: assicurare la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione, promuovere la ricostruzione economica, favorire una rapida transizione politica in modo che il popolo iracheno possa determinare liberamente il proprio futuro politico e controllare le proprie risorse naturali, favorire il dialogo nazionale e la costruzione del consenso” che dovrà portare alla stesura della nuova costituzione e alla convocazione di elezioni democratiche, accelerare gli sforzi per costruire istituzioni locali e nazionali democratiche e rappresentative, promuovere la protezione dei diritti umani in tutto il paese, favorire lo sviluppo di media indipendenti, sostenere lo sviluppo della società civile irachena e delle sue organizzazioni indipendenti, etc... .

La decisione di investire sull’Onu dovrà essere accompagnata da una importante azione diplomatica di concertazione con tutti i paesi della regione e le organizzazioni regionali, come la Lega Araba e l’Organizzazione della Conferenza Islamica.

Per aiutare le Nazioni Unite a raggiungere questi obiettivi l’Italia e l’Unione Europea devono inoltre impegnarsi per aprire le porte dell’Iraq a tutte quelle organizzazioni internazionali della società civile che hanno dimostrato di saper intervenire con efficacia anche laddove i governi non osano avventurarsi e alle quali ancora oggi viene sostanzialmente impedito di agire. Queste organizzazioni sono una risorsa insostituibile della comunità internazionale: meritano di essere sostenute, incoraggiate e valorizzate a partire dal nostro paese.

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All’indomani della strage di Nassiriya e dei numerosi attentati terroristici che stanno angosciando il mondo, rinnoviamo il nostro appello di pace convinti che sia necessario operare più attivamente e con maggiore determinazione nel cantiere della pace positiva. In un mondo sempre più globalizzato, al positivo e al negativo, la via obbligata della pace è quella della cooperazione, del multilateralismo, della legalità internazionale, della centralità delle Nazioni Unite.

La lotta al terrorismo non può, non deve conoscere tregue. Perché sia vincente, essa deve essere condotta sulla strada maestra della sicurezza collettiva, dell’economia di giustizia e di “tutti i diritti umani di tutti”, una via che passa attraverso le legittime Istituzioni internazionali. L’unilateralismo, oltre che illegale, non paga neppure alla luce del calcolo costi/benefici. I Governi, non altri, hanno la responsabilità e tutto il potere che è necessario per far funzionare efficacemente le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali. La società civile globale preme da lungo tempo in questa direzione.

Nel 1989 abbiamo tutti sognato un mondo di pace. All’inizio degli anni novanta, l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite, Boutros-Boutros Ghali, disse chiaro e tondo agli Stati che non avevano più alibi da addurre per non far funzionare le Nazioni Unite, e presentò loro il Rapporto conosciuto come “Un’Agenda per la Pace”. La risposta fu una sequela di guerre, a cominciare da quella del 1991, la prima guerra del Golfo. E il terzo millennio si è inaugurato con altre guerre: tutte illegali e inaccettabili. E’ tempo di dire basta. Tutti insieme.

In tempi di dolore, di ambiguità e di insicurezza come quelli che stiamo angosciosamente vivendo, rinnoviamo il nostro impegno di pace invitando tutte le donne e gli uomini di buona volontà a gridare insieme, il prossimo 10 dicembre 2003, 55° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Mai più violenza, mai più guerra, mai più terrorismo”.

Note: Tavola della Pace

Perugia, 20 novembre 2003
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