Medio Oriente

Io sto con gli eroi di Israele

In mezzo alla guerra, bisogna decidere da che parte stare, e scegliere tra umanita' e barbarie
4 marzo 2009

Fumetto di Mauro Biani e Carlo Gubitosa

Parto da una doverosa premessa: io sto al calduccio, senza rischiare la pelle, seduto tranquillo al computer e protetto da ogni genere di stupidita' armata, da qualunque parte provenga. I razzi di Hamas, le bombe al fosforo di Israele, il tritolo dei kamikaze e i fucili dei coloni per me non sono una minaccia.

Non mi costa niente aderire a nobili cause promosse via internet, indignarmi, leggere articoli di approfondimento, farmi scaldare il sangue dalle ingiustizie. Tutto, tranne sfogliare foto di bambini morti: quelle proprio non riesco a reggerle, perche' mi sento troppo impotente e mi ribello all'idea che le coscienze possono scuotersi solo quando cominciano a morire i cuccioli.

Per la comoda sicurezza da cui scrivo, la mia opinione su quello che succede in Medio Oriente conta meno di zero: fosse per me darei diritto di parola solo a chi ha avuto almeno un morto in famiglia per questa guerra stupida, o a chi ha cercato almeno una volta nella vita di fermare le macchine di morte con azioni nonviolente, pagandone le conseguenze in prima persona e sfidando le leggi del branco che impediscono di fraternizzare con il "nemico".

In questa categoria di persone ci sono i miei eroi. E sono per la maggior parte ebrei o israeliani. Quando devo difendere delle opinioni su questo conflitto, difendo le loro, e non le mie. Intendiamoci, anche la societa' civile palestinese puo' contare su uomini coraggiosi e nonviolenti, come il fermo e paziente Mustafa Barghouti, ma vivere sotto assedio indebolisce l'azione dei palestinesi, e le loro parole camminano zoppe perche' il gruppo armato che esprime la paura e la rabbia palestinese non e' riconosciuto e rispettato come l'esercito regolare che esprime la paura e la rabbia israeliana, e quindi attorno a loro c'e' sempre puzza di terrorismo.

I miei eroi, invece, sono forti di un potere che solo gli israeliani possiedono, perche' nella loro posizione possono dire le cose come stanno senza il senso di colpa storica dell'Europa prima antisemita, ora anche antirumena, antizingara, antimigrante, antipoveri. Sono preparati, perche' a differenza dei palestinesi hanno potuto studiare dalla parte dei vincenti senza coprifuoco e attacchi aerei, perche' hanno girato liberamente il mondo senza posti di blocco, perche' hanno incontrato altre culture e frequentato le migliori universita' senza essere rinchiusi da muri di sicurezza. Sono nonviolenti, perche' hanno fatto esperienza diretta della violenza scoprendo che l'unico modo per vincerla e' combatterla anche a casa propria. Sono informati, perche' sanno che la propaganda disinformata e' un'arma potente che puo' trascinare il mondo intero nel baratro di una guerra infinita, e che va disinnescata con la conoscenza e lo studio.

Sono i miei eroi, perche' hanno la nazionalita', la cultura e le condizioni di liberta' necessarie per diventare la sabbia piu' dannosa negli ingranaggi della guerra, e mettere sotto scacco chi si diverte a chiamare terrorista o antisemita chiunque esprima posizioni nonviolente o pacifiste, e si dichiara convinto che l'umanita' si sia evoluta al di la' della clava e delle sue successive evoluzioni tecnologiche.

Tra questi eroi ci sono i militari israeliani che fanno obiezione di coscienza e disertano quando gli si chiede di andare in casa d'altri anziche' difendere casa propria. Li trovate sul sito seruv.org.il : sono David, Moshe, Arik, Ori, Youval, Dror, Rami, Youval e altre centinaia di militari e riservisti che hanno firmato una "lettera dei combattenti" pubblicata nel gennaio 2002, e si rifiutano di prestare servizio nei territori occupati da Israele, cioe' al di fuori dei confini precedenti alle azioni militari del 1967.

E torniamo al diritto di parola: chi vuol sostenere che i "refuseniks" fanno il gioco dei terroristi dovrebbe prima farsi un po' di galera per difendere questa idea, cosi' come hanno fatto 280 di questi ragazzi israeliani, mandati dietro le sbarre perche' convinti che l'occupazione militare di terre altrui alimenti il terrorismo. E qui non si tratta di pacifisti all'acqua di rose o manifestanti della domenica che poi si sbrigano a tornare a casa per mangiare l'abbacchio della mamma: e' gente dura e scafata, pronta a sparare per uccidere, ma solo per difendere e non per invadere. Sono eroi perche' sfidano il potere, e per questa ragione non li troverete mai in tv. Tra gli arrestati c'e' anche Omer Goldman, la bellissima figlia di un ex vicecapo del Mossad, che nei giorni precedenti al suo rifiuto si e' allenata come una vera lottatrice della nonviolenza sottoponendosi ad una preparazione psicologica mirata ad affrontare nel migliore dei modi il trauma della detenzione.

Ci sono gli eroi della parola, come Amira Hass, giornalista nata a Gerusalemme dall'incontro di due ebrei sopravvissuti all'Olocausto in Bosnia e Romania, unica corrispondente israeliana dai territori occupati, ferma nel denunciare la violenza sia quando proviene dalle fazioni armate palestinesi, sia quando sono compiute dall'esercito del suo paese.

O come Noam Chomsky, che con la sua memoria da elefante non si ferma al ricordo dell'Olocausto, ma ci ricorda anche i due milioni di morti lasciati in eredita' dalla guerra in Vietnam, e tutte le inutili stragi compiute in nome dal delirio di onnipotenza che cambia etichetta a seconda della moda e si fa chiamare nazismo, sionismo, imperialismo, stalinismo, comunismo quando potrebbe chiamarsi semplicemente occupazionismo: andare a casa degli altri a fare i cavoli propri, in Vietnam come a Gaza, in Afghanistan come in Cecenia, in Iraq come in Tibet.

C'e' l'eroismo israeliano che sfida le ruspe e le minacce, come quello di Jeff Halper, gia' docente di antropologia presso la Ben Gurion University e la Haifa University, attualmente direttore dell'Israel Committee Against House Demolitions (www.icahd.org).

Il "Comitato israeliano contro le demolizioni" di Halper ha una task force che si mobilita in pochi istanti quando le famiglie palestinesi chiamano per annunciare l'arrivo dei bulldozer, generalmente nelle primissime ore del mattino. Grazie alla rete di contatti del comitato, attivisti e volontari che rispondono al segnale di allarme realizzano azioni di interposizione nonviolenta tra le case e i bulldozer. Il 3 aprile scorso lo stesso Halper e' stato arrestato per l'ottava volta, durante una azione nonviolenta per impedire l'abbattimento di una casa nella zona palestinese di Gerusalemme. L'abitazione era gia' stata distrutta dalle autorita' israeliane e ricostruita dall'organizzazione di Halper con l'aiuto di volontari israeliani, palestinesi e internazionali.

Il sito del comitato contro le demolizioni e' molto utile per un efficace ripasso del diritto internazionale e delle convenzioni di Ginevra, che regolano anche le occupazioni militari e vietano espressamente "ogni distruzione da parte della potenza occupante di proprieta' immobiliari o personali". Chi pensa che abbattere case palestinesi sia un modo efficace per combattere il terrorismo e proteggere gli israeliani dovrebbe provare a mettersi davanti a un bulldozer in modo per misurare la solidita' delle proprie convinzioni. Chi sfida le ruspe e' il mio eroe. Magari ha torto, ma le sue soluzioni mi piacciono e mi convincono di piu'.

E' facile parlare di pace e tolleranza quando non hai avuto un figlio ucciso dai kamikaze, molto piu' difficile continuare a farlo quando il terrorismo ti ha portato via il tuo sangue, e cerchi di non farti trascinare nella spirale della rappresaglia che legittima le punizioni collettive. Ma l'ebreo Yitzhak Frankenthal ha trovato il coraggio di farcela dopo la morte del suo figlio maggiore Arik, un soldato israeliano rapito e assassinato da Hamas a 19 anni e mezzo. Dopo quell'esperienza, Frankenthal ha dedicato la sua vita a promuovere la pace e la riconciliazione tra arabi e israeliani, e in particolare tra israeliani e palestinesi.

"Mio figlio è stato ucciso dai palestinesi - racconta Yitzhak - Nessun atto di forza può essere condonato, nessuna vita spezzata può essere giustificata. Ma se noi crediamo nella vita, abbiamo una scelta obbligata: capire le ragioni del popolo palestinese. Non sono guidati dall'odio verso gli ebrei o gli israeliani, ma solo dall'odio rivolto alla potenza militare che occupa la loro terra. Mi mortifica ammetterlo, ma hanno ragione. Al loro posto, anch'io sarei diventato un combattente per la libertà". E ora provate a chiamarlo antisemita o filoterrorista, ma prima di difendere le ragioni della guerra, chiedetevi se sareste disposti a regalarle un figlio.

Chiedetevi se sareste disposti a sostenere la guerra fino alla completa emarginazione sociale, come e' accaduto a Frankenthal, bollato come traditore dalla sua "banda" solo per il suo rifiuto di vivere una perenne guerra tra bande. Espulso dalla sinagoga, allontanato dagli amici, trattato con violenza: la sua colpa e' quella di aver voluto gettare i semi della pace creando punti di incontro tra israeliani e palestinesi: centinaia di riunioni e seminari, incontri nelle scuole per parlare ai giovani che andranno a ingrossare le fila dell'esercito, manifestazioni simboliche davanti al palazzo di vetro delle Nazioni Unite, campagne di riconciliazione promosse attraverso cartelli pubblicitari e annunci sui quotidiani, incontri con comunita' cristiane, ebraiche e musulmane, realizzazione di testi sulla riconciliazione e la pace e una meravigliosa rete di telefonate che ha consentito a più di 300.000 Israeliani di comunicare direttamente con altrettanti palestinesi, raggiungendo un totale di 1.200.000 minuti di conversazioni non mediate. Ci vuole piu' coraggio a sostenere per anni questo sforzo o a premere un pulsante che sgancia una bomba a diecimila metri d'altezza?

"Teniamoci per mano - scrive Frankenthal - e facciamo tutto quello che è in nostro potere per una riconciliazione e una pace globale. Questo obiettivo può e deve essere raggiunto. Sacrificare delle vite umane sull'altare dell'avidità non è un valore per l'ebraismo, né per l'Islam, né per il cristianesimo".

Io non sono nessuno, la mia opinione su questo conflitto non conta nulla. Se volete discutere della necessita' imprescindibile di bombardare, uccidere e invadere per difendersi dal terrorismo, non fatelo con me, e nemmeno con chi brucia le bandiere, con chi esplode di rabbia davanti alle ingiustizie o con chi vive da tutta la vita sotto occupazione. Se siete profondamente convinti delle vostre soluzioni armate, provate a discuterle con i miei eroi, che hanno messo in gioco per le loro convinzioni la comodita', la liberta' e la sicurezza che in Europa ci permettono di continuare a filosofeggiare nei salotti buoni senza essere costretti a scegliere tra la pace scomoda e la guerra facile.

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