Se i politici fanno ridere, un comico ci spiega la politica

Il caso Parmalat e il crepuscolo dell’Italia

Il crack Parmalat non e' il problema di una azienda, ma un sintomo della grave malattia di un Paese in crisi. L'economia e la politica italiana secondo Beppe Grillo.
Beppe Grillo
Fonte: Internazionale n. 524 - 30 gennaio 2004

Foto di Beppe Grillo. Fonte: http://www.aiab.it/nuovosito/informazione/dossier/ogm/grillo.shtml

Da anni, molti segni indicavano che non conveniva investire in Parmalat. Se a me che faccio il comico questi segni sembravano cosi' evidenti, come mai non erano evidenti alle banche internazionali, alle societa' di revisione, agli investitori e ai risparmiatori? Standard & Poor dava un buon rating di Parmalat fino a due settimane prima del crollo. Negli ultimi sei mesi il valore delle azioni di Parmalat era raddoppiato. Deutsche Bank aveva comprato il 5 per cento di Parmalat e l'ha venduto appena prima del crollo. Davvero nessuno sapeva? Dal 2002 ho raccontato nei miei spettacoli i debiti e i falsi di Parmalat a piu' di centomila persone. Sono figlio di un imprenditore.
La mia prima perplessita' su Parmalat e' sulla strategia industriale piu' che su quella finanziaria: mi colpisce la sproporzione tra la poverta' del prodotto di base - il latte - e la megalomania del progetto e delle spese pubblicitarie di Calisto Tanzi.
Una media azienda regionale che si propone, come diceva Tanzi, di diventare "la Coca-Cola del latte" mostra di non conoscere ne' il prodotto ne' i mercati. E' come se un fabbricante di meridiane dicesse: "Veglio diventare la Rolex delle meridiane". Come si fa a dargli i propri soldi?
Le caratteristiche del latte fanno a pugni con quelle della Coca-Cola, che e' una miscela chimica e vegetale inventata da un farmacista, standardizzata mondialmente, prodotta in pochi enormi impianti centralizzati; la Coca-Cola ha bassi costi di produzione e alti costi di vendita perche' gran parte della sua attrattiva e' fondata sulla pubblicita' e sulle emozioni. Il latte e' il contrario della Coca-Cola: e' un prodotto naturale, deperibile, locale, proviene da migliaia di produttori, ha alti costi di produzione, bassi costi di vendita, molti concorrenti. (...)
I ricavi della Coca-Cola si basano su cio' che e' stato creato intorno alla sua bottiglia, quelli del latte su cio' che c'e' dentro la bottiglia. E questo e' gia' perfetto, e' stato ottimizzato in milioni di anni di evoluzione. Modificare una cosa perfetta vuol dire peggiorarla, oppure farla diventare una cosa molto diversa, come il formaggio o lo yogurt.

Formula uno, calcio e latterie

Con il latte ci sono due strade: cercare di modificarlo il meno possibile e di conservarne il massimo di proprieta' per qualche giorno, oppure trasformarlo in qualcosa di diverso, che si venda per altri motivi nutrizionali - come il formaggio o lo yogurt - o emozionali, come i "novel food" inventati dal marketing. Nel primo caso riescono meglio le piccole latterie locali, spesso cooperative o comunali, di cui ci sono buoni esempi in Italia e in Svizzera. Nel secondo caso, il maggior successo lo hanno poche grandi aziende che investono molto in ricerca e marketing. In entrambi i casi i margini di guadagno sono modesti e non giustificano spese enormi di propaganda.
Marlboro o Benetton possono sponsorizzare la Formula uno perche' vendono prodotti con alto valore aggiunto e alto contenuto emozionale, hanno una distribuzione capillare e prodotti identici in piu' di duecento nazioni. Ma un consorzio di latte no, non puo' sponsorizzare la Formula uno come ha fatto Parmalat per anni: sono soldi sprecati. Lo stesso vale per le sponsorizzazioni di decine di squadre sportive nel mondo, tra cui quella molto costosa del Parma calcio in Italia. Questo vale anche per il jet privato intercontinentale di Parmalat, che secondo diversi giornali veniva prestato da Tanzi a vescovi, cardinali e a un ambasciatore degli Stati Uniti. Insomma c'era una grande discrepanza tra il tipo di impresa industriale e la stravagante grandezza delle sue spese.
La cosa che piu' mi colpisce nei reportage di questi giorni e' che si parla solo di soldi, mai di prodotti. Scrivono di Parmalat come di un'impresa finanziaria e non di un'industria che fabbrica prodotti tangibili, anzi mangiabili. Questo sottintende una convinzione molto diffusa, almeno in Italia: qualunque azienda, con qualunque prodotto, potrebbe generare per sempre grandi profitti purche' sia in mano a finanzieri creativi e spregiudicati.

Latte e merluzzi

Nei miei spettacoli ho cominciato prima a parlare dei prodotti, e solo poi dei miliardi di Parmalat. Nel 2001, girando tra il pubblico in sala, tenevo in mano un merluzzo e lo immergevo in una tazza di latte chiedendo alla gente che effetto gli facesse. Mi ci aveva fatto pensare un "novel food" Parmalat. Un'imponente campagna pubblicitaria annunciava la "scoperta" del latte con gli omega-3, una miscela di grassi che prometteva effetti benefici sul sistema cardiocircolatorio.
Quello che la pubblicita' non diceva e' che gli omega-3 sono grassi normalmente estratti da pesci e che quel latte non era stato "scoperto", ma inventato in laboratorio, fabbricando una miscela artificiale di latte di mucca e di additivi estranei.
Che fine hanno fatto quel prodotto e quegli investimenti?
Gli scandali alimentari degli ultimi anni hanno fatto perdere a molti europei la fiducia nei prodotti dell'agrobusiness. Ora gli europei dovrebbero riacquistare fiducia grazie ai "rigorosi controlli" italiani della nuova Agenzia alimentare europea, che avra' sede proprio a Parma, la citta' di cui Parmalat e' il simbolo? E chi e' stato il garante di Parma in Europa? Chi ha imposto Parma come sede dell'Agenzia alimentare europea? E' stato Silvio Berlusconi, che ha detto all'Europa: "Per Parma garantisco io!". Voleva come al solito giurare sulla testa dei suoi figli, ma glielo hanno sconsigliato.
Tanzi e Berlusconi sono oggi i due imprenditori italiani piu' conosciuti nel mondo. Mi sembra che non siano famosi come testimonial dell'Italia di cui ci si puo' fidare.
Sento ripetere da industriali e finanzieri che Parmalat e' un'eccezione criminale e non rappresenta l'Italia; sento dire che ogni settore ha le sue pecore nere.
Invece e' vero il contrario. Tanzi, come Berlusconi, e' un buon esempio della classe dirigente italiana di oggi. Entrambi sono casi patologici di megalomania. Entrambi posseggono una grande squadra di calcio, yacht miliardari, un jet privato.
Prima di fondare Forza Italia la dimensione dei debiti di Berlusconi, la sua dimestichezza nel falsificare i bilanci, la sua ragnatela di societa' finanziarie off-shore ricordavano la situazione di Tanzi.
Berlusconi confido' a giornalisti come Biagi e Montanelli che l'unico modo per salvarsi era conquistare il potere politico.
E' qui la differenza insormontabile tra Tanzi e Berlusconi: Tanzi non avrebbe potuto fondare "Forza Lat" e salvarsi con la politica come ha fatto Berlusconi con Forza Italia. Il latte non puo' essere trasformato in una proposta politica, la televisione commerciale si'. La mentalita', l'ideologia, l'apparato, gli uomini e i metodi del business di Berlusconi consistono da decenni nell'imbrogliare e conquistare milioni di persone con l'immagine affascinante di una societa' ideale in cui tutti sono giovani e belli, annegano in un'alluvione di consumi e sono sempre allegri, oltre la soglia della stupidita'.
La ricetta magica? Piu' pubblicita', quindi piu' consumi, piu' produzione, piu' occupazione, piu' profitti, quindi di nuovo piu' pubblicita' e cosi' via in una spirale infinita di benessere. Questo - che era gia' un programma intrinsecamente politico - e' stato trasformato facilmente in un programma esplicitamente politico. E' bastato estendere leggermente lo spettro degli obiettivi, trovare un nome adatto a uno pseudopartito (Forza Italia) e incaricare decine dei migliori funzionari di Publitalia - la potente agenzia di pubblicita' di Fininvest - di trasformarsi in commissari politici e di perseguire a tutti i costi la conquista del mercato.
Tanzi non ha la mentalita' spettacolare e le strutture di comunicazione di Berlusconi. Per questo non poteva diventare lui stesso un prodotto politico. Si limitava a finanziare il partito piu' forte, prima la Democrazia cristiana e poi Forza Italia.
Tanzi e' austero, schivo, uomo di chiesa e di pochissime parole. Lo stile era quello di un cardinale. Lo stile di Berlusconi, invece, e' quello di showman di basso livello, da giovane cantava e raccontava barzellette sulle navi da crociera. Non ha mai smesso, nemmeno al parlamento europeo, di esibirsi e di cercare di far ridere. Il "core business" di Berlusconi e' Berlusconi stesso. Cio' che ha permesso a Berlusconi di salvarsi con la politica e' il cabaret, sono le sue esperienze giovanili di showman e un istinto comico di basso livello che ha grande successo tra la gente meno colta, proprio come le sue televisioni.

Salvato dal cabaret

Se non fosse un personaggio tragico per l'Italia, Berlusconi sarebbe il maggior fenomeno del secolo di avanspettacolo comico italiano.
Sia Tanzi che Berlusconi hanno il titolo di Cavaliere del lavoro. In Italia la stampa usa il termine "il Cavaliere" come sinonimo di Berlusconi. Oggi per fare chiarezza qualcuno dovrebbe rinunciare a quel titolo: o Tanzi o Berlusconi oppure i molti Cavalieri onesti che ci sono in Italia. Finche' Berlusconi e Tanzi sono Cavalieri e' inevitabile pensare ai cavalieri dell'Apocalisse. E' gente come loro che sta portando l'Italia all'Apocalisse economia e civile.
Quasi tutta l'Italia e' una grande Parmalat, fondata piu' sull'apparenza e sulla falsificazione che non sulla sostanza. Come per Parmalat, pochi si rendono conto - o confessano di rendersi conto - dell'abisso che c'e' tra l'immagine e la realta' dell'Italia. Per trent'anni l'instabilita' politica e la corruzione hanno rallentato la modernizzazione del paese, ponendo le basi del suo attuale declino. Ma da dieci anni, da quando la Fininvest di Berlusconi e' diventata il principale attore politico italiano, questo rallentamento si e' trasformato in paralisi. Quasi tutte le energie delle due parti del sistema politico sono prosciugate da una parte dal tentativo di estendere il potere e l'ideologia Fininvest a tutto lo stato e a tutta la societa'; dall'altra dal tentativo di contrastare questo assalto egemonico. In Italia molti settori richiedono da decenni riforme profonde e urgenti: istruzione, informazione, ricerca, innovazione, tecnologia, pensioni, occupazione, distribuzione dei redditi, amministrazione della giustizia, energia, trasporti, gestione del territorio, protezione e risanamento dell'ambiente, sviluppo sostenibile. Ma da dieci anni tutto cio' passa in secondo piano, i ritardi italiani si accumulano, diventano drammatici.

Il sistema Fininvest

Il sistema Fininvest e il sistema Italia per certi versi sono analoghi al sistema Parmalat: molta apparenza, conti falsi, corruzione, poca qualita', futuro in declino.
Parmalat aveva conti falsi, ma produce milioni di tonnellate di alimenti che generano benessere reale per decine di milioni di persone in trenta paesi. Fininvest non e' una multinazionale, come Parmalat, ma una "ipernazionale". I suoi profitti provengono quasi esclusivamente dall'Italia e si basano su uno stretto legame con il sistema della politica italiana e della corruzione. La gran parte dei suoi guadagni viene dalla pubblicita' obbligatoria, un'attivita' controversa che crea alla popolazione piu' danni che benefici. Piu' che profitti in un mercato competitivo, si tratta di una rendita senza rischi, basata sul monopolio, sullo statalismo, sulla produzione di niente di concreto.
Sono miliardi di euro che, con il sistema della pubblicita' obbligatoria, Fininvest "preleva dalle tasche degli italiani" quando questi - anche quelli che non guardano le sue televisioni - comprano i molti prodotti resi piu' cari dalla pubblicita'. Meriti e rischi ne ha pochi, perche' il bombardamento pubblicitario e' forzato e non e' evitabile dai cittadini (altro che Casa delle liberta'!), perche' la televisione commerciale - privata o statale - e' l'unico tipo di televisione in Italia e perche' questa rendita pubblicitaria di fonda su concessioni statali di frequenze televisive ottenute corrompendo il potere politico ai tempi di Craxi. Senza queste concessioni statali, in quasi monopolio e in parte illegali, le rendite e il potere di Fininvest crollerebbero.
Da due anni inoltre la Fininvest e' ulteriormente garantita dalle centinaia di suoi uomini che hanno preso il controllo del governo, del parlamento e della televisione pubblica e che cercano ora di conquistare il controllo anche della magistratura e della banca centrale.
La rendita senza rischi di Fininvest e' inoltre facilitata dal fatto che molti dei settanta avvocati che Berlusconi ha fatto eleggere in parlamento usano nei processi contro Berlusconi e i suoi uomini le leggi a favore di Berlusconi che loro stessi propongono o approvano come parlamentari. Questi stessi avvocati - per esempio Pecorella, Taormina o Ghedini - sono ospiti frequenti nei talk show televisivi, dove continuano la loro difesa di Berlusconi nel "tribunale" italiano piu' importante, quello di milioni di telespettatori ed elettori, e spesso parlano in tv per ore senza un avversario al loro livello. Questo tipo di avvocati miliardari, star del foro, della televisione e del parlamento, rappresentano bene la concentrazione che e' avvenuta in Italia del potere economico, esecutivo, legislativo e informativo nelle mani di un'unica azienda, la Fininvest.
Grazie a una legge di Berlusconi - valida retroattivamente anche per i suoi falsi - il falso in bilancio e' stato quasi completamente depenalizzato. Cosi' e' restato o e' diventato una pratica diffusa non solo per aziende italiane come Parmalat, Fininvest e altre, ma anche per il governo. In Italia il vero rapporto tra deficit e pil nel 2003 non e' inferiore al 3 per cento, come dichiarato dal governo, ma sarebbe superiore al 4 per cento se la contabilita' creativa del ministro Tremonti - un ex commercialista di Berlusconi - non avesse contabilizzato per il 2003 gli introiti derivanti da enormi condoni fiscali ed edilizi e da vendite e alienazioni di beni dello stato che andrebbero distribuiti su molti anni. Quasi tutti sanno che questa contabilita' e' una truffa, ma fanno finta di non vedere. Come fingevano di non vedere la realta' Parmalat.

Un paese al crepuscolo

Se la situazione reale di Parmalat, di Fininvest e dello stato italiano non e' all'altezza delle apparenze e della propaganda, la situazione dell'economia e delle societa' italiane - lo dico con tristezza e rabbia - non e' migliore. Purtroppo la realta' dell'Italia non e' all'altezza dell'immagine che la Ferrari e Armani diffondono nel mondo.
L'Italia e' in declino rapido, e' un paese al crepuscolo. E' per questo che il mio spettacolo si chiama Blackout e io entro in scena in una sala al buio, con in mano un candelabro.
Faccio l'attore comico, il declino dell'Italia lo percepisco principalmente con gli occhi e le orecchie: vedo la pubblicita' e la volgarita' dilagare ovunque nel paesaggio, nei mezzi d'informazione, nella vita quotidiana. Dove prima c'erano capannoni industriali, oggi ci sono lunghe file di cartelloni pubblicitari; ritraggono spesso merci che una volta erano prodotte in quei luoghi ma oggi sono importate. Vedo il degrado dell'ambiente e della grandi citta', sento il traffico e il rumore aumentare ovunque. Sento la gente: avvilimento, mancanza di prospettive, ignoranza e disinteresse per cio' che succede nel resto del mondo, egoismo, cattiveria e volgarita' crescenti, chiusura nei propri affari e nella famiglia, declino del senso civico e della solidarieta'.
Anche se come artista avrei il diritto di farlo, non mi baso solo sulle mie impressioni. Io - attore vero - non voglio fare come Berlusconi - statista falso - che parla in televisione nascondendo i fatti e le statistiche, evocando sogni, promesse, miracoli e rivoluzioni.
Mi piace documentarmi con dati e cifre nudi e crudi, senza lifting. Ai pochi stranieri che volessero ancora investire in Italia e ai molti italiani che volesse votare di nuovo per il sistema Fininvest-Forza Italia consiglio due piccoli libri: "Il mondo in cifre 2004", una sintetica raccolta di statistiche internazionali curata dall'Economist (e pubblicata da Internazionale) e "Il declino dell'Italia", un inquietante libro del giornalista economico Roberto Petrini (Laterza). Spendendo meno di trenta euro in questi due libretti, chi si volesse documentare sul crepuscolo italiano puo' forse schivare ulteriori guai e investimenti sbagliati.
Se parlo di crepuscolo dell'Italia, non mi baso solo sulle mie impressioni del presente, ma anche sugli indicatori che ci segnalano il futuro del paese. E questi indicatori mettono tristezza.
L'Italia sta diventando un ex paese industriale che ha smantellato o sta smantellando buona parte della sua industria, una volta ben piazzata nel mondo: chimica, farmaceutica, informatica, elettronica, aeronautica, forse presto anche automobilistica. L'Italia e' il paese con piu' persone anziane al mondo e con la minore fertilita' tra i paesi industrializzati: da anni le nascite sono meno delle morti. I nostri livelli di istruzione, di cultura, di ricerca scientifica e tecnologica sono tra i piu' bassi al Europa. Tra i paesi industriali abbiamo una delle piu' basse percentuali di laureati e il piu' alto numero di maghi, pubblicitari e guaritori. Invece di investire e lavorare per il futuro stiamo consumando allegramente le ultime risorse che ci rimangono. Nella quota delle esportazioni mondiali in dieci anni siamo scesi dal 5 al 3,6 per cento. Nelle esportazioni mondiali di prodotti tecnologici stiamo scomparendo con un piccolo 2,5 per cento, mentre Francia e Germania sono al 6 e all'8 per cento.
Esaminando la posizione dell'Italia nel contesto internazionale non c'e' da stupirsi se siamo il paese industriale che attira meno capitali stranieri. Gli investimenti delle multinazionali in Italia sono diminuiti dell'11 per cento nel 2001, del 44 per cento nel 2002.
Per bocca di due dei suoi ministri piu' influenti il governo italiano afferma che l'Unione europea e' dominata dai "nazisti rossi". Uno di loro dice che l'Europa e' "forcolandia", che con il fallimento della costituzione europea a Bruxelles "siamo riusciti a fermare l'impero comunista che stava tornando", che "l'euro e' la rapina del millennio. L'hanno inventata i massoni". Se foste un investitore straniero mettereste i vostri soldi in un paese governato da gente cosi'?

Indicatori desolanti

Se osserviamo la posizione dell'Italia in alcune classifiche internazionali puo' sembrare quella di un paese fortunato: settimo pil al mondo, quarto posto tra i grandi paesi per numero di automobili e di telefonini per abitante. Ma se analizziamo gli indicatori che danno un'immagine piu' completa dell'Italia e soprattutto delle sue opportunita' per il futuro, allora siamo al crepuscolo.
In una ventina dei principali indicatori internazionali che delineano il futuro e la dinamica di un paese, l'Italia di trova tra il ventesimo e il quarantesimo posto. Gli stati che piu' spesso ci accompagnano in queste classifiche sono paesi in via di sviluppo (Colombia, Namibia, Sri Lanka, Cina, Brasile), paesi dell'Europa dell'est in transizione (Slovenia, Estonia, Slovacchia) o nel migliore dei casi i meno sviluppati tra i paesi europei (Spagna, Portogallo, Grecia).
La differenza preoccupante tra l'Italia e questi paesi e' che loro da anni stanno salendo nelle classifiche internazionali, noi invece stiamo scendendo. Ogni anno ci incontriamo con loro sui pianerottoli della scala internazionale: li vediamo salire e noi scendiamo di un'altra rampa. (...)

Fine di un'era

E' incredibile la profondita' del declino italiano. Nel rinascimento siamo stati un faro della cultura, della scienza, dell'innovazione e della finanza in Europa. Nella musica e nella tecnica bancaria ancora oggi molti termini tecnici in tedesco e in inglese sono parole italiane (sonata, adagio, fortissimo oppure aggio, incasso, sconto, lombard) a testimonianza dei secoli in cui eravamo il paese di riferimento in quei campi. Piu' tardi abbiamo inventato l'elicottero, l'aliscafo, il batiscafo, il telefono, la radio. Oggi pero' non inventiamo quasi niente, l'Italia ha meno premi Nobel del solo Politecnico di Zurigo, il nostro export si basa su prodotti di bassa tecnologia che presto vedranno la concorrenza dei paesi emergenti, mentre nei prodotti ad alta tecnologia non possiamo competere con le nazioni piu' avanzate. I nostri manager in compenso vogliono orientarsi per i loro stipendi agli Stati Uniti e per quelli dei loro dipendenti alla Bulgaria o alla Cina. Il numero dei laureati italiani che lavorano all'estero e' sette volte maggiore del numero dei laureati stranieri che lavorano in Italia.
Per decenni buona parte della grande industria e dell'export italiano hanno prosperato grazie alla benevolenza dello stato e dei partiti e alle periodiche svalutazioni della lira. Oggi che questo non e' piu' possibile, il declino italiano si accelera. Paghiamo il prezzo delle modernizzazioni che non abbiamo fatto negli ultimi anni.
Al crepuscolo industriale, tecnologico e culturale dell'Italia si aggiunge il declino sociale con un rapido aumento della ricchezza dei ricchi e l'estensione e l'approfondimento della poverta'. Nella disuguaglianza dei redditi abbiamo superato perfino gli Stati Uniti: in un decennio (1991-2001) il 20 per cento degli italiani e' diventato piu' ricco, l'80 per cento piu' povero. Il reddito del decimo di italiani piu' ricchi e' cresciuto del 12 per cento, mentre il reddito del decimo di italiani piu' poveri e' sceso del 22 per cento. Otto milioni di italiani vivono sotto la soglia di poverta' e altri quattro milioni vivono appena sopra. Molti di questi poveri e quasi poveri hanno un lavoro o due o tre, ma non gli bastano per vivere decentemente. Lo stipendio medio di un tranviere a Zurigo (5500 franchi) e' quasi il triplo di quello di un tranviere di Milano, ma il costo della vita e dei biglietti del tram a Zurigo e' solo il 50 per cento piu' alto che a Milano. Stipendi reali sempre piu' bassi e lavori sempre piu' precari fanno crescere la conflittualita' selvaggia - come quella dei guidatori di tram e autobus - che frena ulteriormente la qualita' della vita e lo sviluppo del paese.

La resa della sostanza all'apparenza

Il declino della Fiat e' forse uno dei migliori indici del declino italiano: dieci anni da Fiat vendeva in Italia un'auto su due, oggi una su tre. L'immagine piu' forte del crepuscolo italiano e' stata per me quella della carovana di limousine scure che in una sera del 2002 - al culmine di una crisi della Fiat che sembrava mortale - ha portato l'intero stato maggiore della Fiat a un consulto drammatico, non al ministero dell'industria o delle finanze ma nella grande villa di Arcore si Silvio Berlusconi, padrone della Fininvest e capo del governo. Le immagini del telegiornale sembravano quelle di un film sulla mafia, quando avviene un regolamento di conti e un cambio della famiglia al vertice del potere. Era la resa di cio' che resta dell'Italia industriale alla nuova egemonia, all'Italia della pubblicita' e della televisione commerciale. La resa della sostanza all'apparenza.
Non e' un caso che l'industria che ha conquistato il potere politico in Italia non fabbrichi cose ma sogni, non venda merci ma promesse.

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