Cittadini allo sbavaglio
Il primo luglio alle 17 sono uscita di casa per andare a Piazza Navona. Ad ogni passo continuavo a ripetermi: “Perché vado? Se dovessero domandarmi perché sei qui non voglio balbettare frasi insulse”. Da diversi giorni avevo messo da parte una risposta che non mi bastava e non mi soddisfava.
Io stavo andando in piazza perché creare una legge per complicare le intercettazioni e vietare la pubblicazione di queste non ha senso in Italia. In passato la pubblicazione delle intercettazioni non ha cambiato per nulla l’equilibrio del Paese. A parte l’indignazione di fondo, che però passa dopo tre giorni, e l’aumento delle vendite di qualche giornale o dello share per qualche trasmissione. Nessuno è stato sollevato dai propri incarichi istituzionali, nessuno ci ha mai chiesto scusa e nessuno ha pagato. Insomma perché mai avere paura delle intercettazioni? Poi rimane tutto uguale.
Arrivo in Piazza Navona che già la Ferrario cerca di contenere Ezio Mauro. In piazza è tutto un esplosione di creatività. Cartelli e travestimenti, Costituzione ed Agende rosse, bavagli e post-it. Mi faccio largo. Arrivo quasi alle transenne. Sul palco appaiono due donne che mi fanno capire che non tutto rimane uguale. Patrizia Aldrovandi, la mamma di Federico, non ha paura i parlare ad una piazza colma. Quattro poliziotti hanno ucciso suo figlio, una sera di cinque anni fa, senza alcuna ragione. Dopo la pubblicazione delle foto di Federico l’indagine non ha potuto più fermarsi. Ilaria Cucchi è giovane e decisa. Parla della difficile scelta di pubblicare le foto del cadavere di suo fratello: “A primo impatto sembrava orribile, ma solo grazie alla pubblicazione delle foto e degli atti ancora oggi si parla e si indaga sulla morte di Stefano”. Solo grazie a quelle pubblicazioni il caso non è stato archiviato. Con la legge che si vuol fare approvare nessuna foto, nessun nome, nessun cognome potrebbero reclamare giustizia e cercare di andare oltre le verità ufficiali.
Saviano è accolto da un boato di approvazione che pareva potesse continuare per ore se nessuno l’avesse fermato. Roberto mette fuori la lingua, si tocca la testa, saluta e sorride per l’affetto. Poi si fa forza e comincia a parlare. “Raccontare quello che sta accadendo diventa sempre più difficile, e sempre più necessario”. Prende parte Roberto. “Questa legge, ci viene detto, che difenderà la privacy. Ma questa legge ha un unico scopo: impedire che il potere possa essere raccontato. La privacy che vogliono difendere è la privacy dei malaffari”. Invita a sognare un’Italia diversa Roberto Saviano e poi scompare tra le spalle della scorta.
Sul palco è la volta di Claudio Giardullo, rappresenta tutti i sindacati della polizia. È agguerrito: “Con questa legge saremmo meno sicuri. Se davvero si volesse proteggere la privacy basterebbe un articolo che indica quali sono gli atti che devono rimanere segreti. Invece è vietata la pubblicazione di qualunque atto giudiziario”. Continua tra gli applausi “L’obiettivo è avere un controllo di legalità addomesticato e non avere il controllo di chi gestisce la Cosa Pubblica. In questa maniera polizia e magistratura non avranno la possibilità di controllare i grandi reati, ma i poveracci e i lava vetri”. È chiaro ed efficace Giardullo e spiega che le intercettazioni servono ad avere un quadro investigativo attendibile. Mettere un tetto ai tempi delle indagini è impossibile. I tempi della criminalità non coincidono con quelli delle indagini: “Solo chi non conosce la lotta alla mafia può pensare che questi tempi coincidano”.
Ed io ora capisco a fondo il perché ero in quella piazza assediata da gente con i capelli bianchi, che da casa s’era portata lo sgabello, e da ragazzi con i post-it sulla bocca. Ed ora ho capito che ci sarò anche il 29 luglio, giorno in cui il DDL sarà portato in Senato, a Montecitorio. Ho capito che voglio sapere e voglio avere la possibilità di raccontare quello che accade nel mio Paese.
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