Anche PeaceLink rischia di essere imbavagliata?
Lo scorso 22 luglio in commissione Giustizia alla Camera dei Deputati sono stati discussi e approvati, pressoché trasversalmente, alcuni emendamenti al testo ddl sulle intercettazioni.
In particolare l'esame degli emendamenti ha rilanciato il dibattito pubblico su quattro novità: l'introduzione dell'udienza “filtro”, l'approvazione del “comma D'Addario”, la bocciatura della “norma Falcone” e l'obbligo per i blog di rettificare notizie o opinioni ritenute lesive dell'altrui reputazione, entro 48 ore dalla richiesta.
Si può effettivamente affermare che il bavaglio sia stato sciolto? L'udienza “filtro”, brevemente, consiste nella possibilità di pubblicare le intercettazioni considerate rilevanti solo al termine di un'udienza tra gip (giudice per le indagini preliminari), avvocato dell'accusa e avvocato della difesa. Tale provvedimento solleva però una questione di non poco conto: chi decide cosa sia rilevante e cosa non lo sia?
Possiamo contare sulla buona fede e sulla competenza di giudici e avvocati - le recenti rivelazioni circa la nascita di una nuova società segreta allungano ombre inquietanti anche su spazi democratici costituzionalmente limpidi - ma non dovrebbe essere il giornalista a valutare cosa sia degno di pubblicazione? Non è forse compito dei giornalisti, tramite un attento studio e una lungimirante analisi dei fatti, informare la cittadinanza e contribuire alla sua formazione e alla sua crescita civile?
Bisogna prestare attenzione a come le competenze professionali vengono ridistribuite, a come gli equilibri tra i poteri di uno Stato (esecutivo, legislativo, giudiziario e, nella società contemporanea, mediale) vengono bilanciati, a quali conseguenti insegnamenti, circa il valore del giornalismo e della stampa, i cittadini-elettori vengono sottoposti. L'udienza “filtro” riduce il potere dei media a vantaggio di altri e mina i princìpi della libertà di stampa.
Il “comma D'Addario”, già noto, è stato semplicemente ridimensionato: passano da quattro a tre gli anni di pena massima per chi compie registrazioni nascoste. Francamente un cambiamento di poco conto. Meriterebbe, invece, una più approfondita discussione, e conseguente legislazione, l'oggetto delle registrazioni. Ad esempio, se una troupe televisiva sta girando una candid camera, è diverso che riprenda un uomo che sta rubando piuttosto che acquistando un prodotto in un negozio. Merita tre anni di carcere chi scopre un ladro? Il problema però è più complesso e si addentra in una materia come quella delle sanzioni penali che non mi compete.
La “norma Falcone”, non approvata, garantiva procedure di indagine agevolate anche per le organizzazioni criminali non mafiose. Mi viene da pensare - e giro la domanda a chi ha la competenza, sperando di avviare un utile dibattito sul portale di Peacelink - non è meglio avere a disposizione tutti gli strumenti per debellare il cancro malavitoso? E se è un problema di fondi statali, incarcerare i criminali non porta a un guadagno sia economico sia sociale?
L'ultimo provvedimento qui in analisi riguarda da vicino anche le nostre pagine. Peacelink, infatti, si propone, a buon merito, come portale telematico per la pace e dovrebbe sottostare assieme ai blog, ai giornali on line, etc. al provvedimento.
Ancora una volta vengono confuse le competenze e il valore delle parti chiamate in causa. Il blog, nato come diario telematico, è uno spazio in cui chi voglia può esprimere i propri pensieri, le proprie opinioni, il proprio estro e via dicendo. Il blogger non è tenuto a dire la verità, anche se sarebbe cosa gradita, non è tenuto a conoscere la deontologia giornalistica, non è tenuto a fare informazione. Diversamente il blogger sarebbe un giornalista e meriterebbe, assieme ai doveri, i diritti dei giornalisti e una piattaforma multimediale dovrebbe ricevere finanziamenti pubblici così come i giornali. Cosa impossibile.
Il provvedimento è sbagliato per due motivi principali. Il primo è che, equiparando il blog al giornale, esso delegittima, ancora una volta, la classe dei giornalisti i quali, anche se spesso risultano faziosi e incapaci - ma non si sta discutendo di questo - perdono la propria fisionomia professionale.
Il secondo è che in rete vigono regole molto diverse rispetto alla carta stampata: sul web sono gli utenti che, partecipando, segnalando, leggendo, condividendo permettono a tutti gli internauti di capire cosa sia valido e cosa no, chi ha le competenze per parlare di un argomento e chi, invece, è un chiacchierone. La vita nel web è decisamente molto più democratica di quella “reale” - la contrapposizione reale/virtuale è impropria ma qui è utilizzata per semplificare e chiarire - e fa paura, a mio avviso, che abbia una tale forza costituzionale chi teme la pluralità delle voci.
I tentativi di controllare la rete, come dicevo nell'articolo riflessioni sulla libertà di stampa in Italia, sono ormai molti nel nostro Paese, e però non possono opporsi a un mondo che ha confini globali e potenzialità informazionali gigantesche.
Le contraddizioni di internet sono intrinseche alla rete stessa, la quale però è capace, da sola, di produrre gli anticorpi per guarire. Non è necessaria una legislazione in tal senso.
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