L'agonia dell'industria alla diossina

Taranto verso il "tutti contro tutti". E sulla bonifica si decide a Roma.

Stretto tra il malcontento degli operai, l'assenza di visione strategica dell'industria e le accuse di "fondamentalismo isterico" del governatore Vendola, l'ambientalismo di Taranto rivendica il suo ruolo di sentinella.
29 luglio 2012

IL DITO PUNTATO CONTRO GLI AMBIENTALISTI

 
Osservo incuriosito il teatrino che sul "caso Taranto" spinge molti a chiedere agli ambientalisti risposte ai problemi occupazionali scatenati dalle azioni legali contro l'ilva. Chi denuncia la morte indotta dalla cattiva industria viene cosi' chiamato a colmare la mancanza di idee e di proposte della classe imprenditoriale dopo aver gia' compensato l'omesso controllo sull'ambiente da parte della classe politica.
 
Quella stessa classe politica, oltre a delegare ai cittadini attivi il controllo sull'ambiente e sulle emissioni mortifere di inquinanti, in piu' occasioni ha piu' volte osteggiato l'azione civile sui temi dell'ambiente, fino alle recenti dichiarazioni di Vendola che oggi si dichiara contro "un certo ambientalismo fondamentalista ed isterico che pensa che fra i beni da tutelare non ci debba essere anche il lavoro", come se il lavoro dovesse essere tutelato dagli ambientalisti anziche' dai politici e dagli imprenditori, che lo hanno messo a rischio con decenni di "politica dello struzzo" che non hanno mai preso in considerazione il dopo-Ilva, pensando che un dopo-Ilva non ci sarebbe stato mai, o che sarebbe comunque toccato ad altri gestirlo.
 
Caro Nichi, a ciascuno il suo mestiere: gli ambientalisti rispondono del monitoraggio dell'ambiente, gli imprenditori dello sviluppo economico, e tu rispondi di come e' stato speso il denaro pubblico per creare sviluppo sostenibile e favorire la riconversione industriale. E in ogni caso dovresti metterti d'accordo con quel governatore della Puglia che in una intervista dell'ottobre del 2009 non parlava di "ambientalismo fondamentalista ed isterico", ma di "imponenti movimenti popolari".
 
Quando gli ambientalisti non erano ancora "nemici del lavoro", infatti, Vendola esprimeva il suo "rammarico" per "aver dovuto approvare la più rigorosa legge italiana sulle diossine solo dopo le denunce di bravi giornalisti che hanno fatto il loro mestiere e che hanno fatto da facilitatori rispetto a imponenti movimenti popolari che chiedevano alle amministrazioni pubbliche di fare il proprio dovere".
 
Come a dire: la politica e' stata sorda alle giuste denunce degli ambientalisti, meno male che ci i giornalisti ci hanno aiutato a capirle e a trasformarle in leggi regionali. 
 
E sembra che di recente per tenere il piede della politica nelle scarpe dell'ambiente e in quelle del lavoro sia stato necessario trasformare in "fondamentalisti isterici" quegli stessi cittadini protagonisti degli "imponenti movimenti popolari" che hanno sfidato con successo la grande industria lottando contro partiti di ogni colore, sindacati dalla vista corta, amministrazioni comunali che facevano il gioco delle tre scimmiette e perfino ex animatori di liste civiche riassorbiti dalla sinistra di potere, gente capace perfino di organizzare abbuffate in piazza di tubettini con le cozze pur di delegittimare chi ha voluto difendere il cibo di Taranto senza populismi, ma richiedendo quelle analisi sulle cozze di fondale e sui formaggi prodotti a Taranto che hanno rivelato una inquietante presenza di Diossina.
 
Oggi non si chiede conto agli "attivisti delle abbuffate" della loro irresponsabilita', magari perche' siedono in un consiglio comunale "amico", ma nel frattempo si chiede conto agli ambientalisti del loro "fondamentalismo isterico", chiedendo a loro risposte che dovrebbero dare altri.
 

FOGLIE DI FICO PER IMPRENDITORI INCAPACI

 
E cosi' facendo, al di la' di ogni buona intenzione di contemperare diverse esigenze, si costruisce di fatto l'ennesima foglia di fico che copre le vergogne della politica e dell'industria, che a Taranto si sono dimostrate talmente sorde da rendere obbligatorio il ricorso all'azione giudiziaria per mettere un po' di ordine nel caos ambientale generato dall'ignavia, con una conseguente crisi occupazionale che i tribunali non hanno ne' la possibilita' ne' la responsabilita' di risolvere.
 
Una foglia di fico politica, l'antiambientalismo di Vendola, che nasconde la pochezza di quella sedicente "cultura imprenditoriale" di cui si fa vanto Confindustria quando si tratta di intascare soldi pubblici per il suo giornaletto salmone, sgravi fiscali e prebende governative, una cultura che messa alla prova dei fatti non sa fare di meglio che incolpare gli ambientalisti della disoccupazione, come se qualcuno incolpasse i magistrati per le famiglie che vengono private di un reddito a causa degli arresti.
 
Una finta cultura imprenditoriale che all'atto pratico si rivela incapace di proposte e fossilizzata sulla cultura dell'assistenzialismo statalista che rende alcuni industriali gli unici veri "comunisti", nel senso piu deteriore e stalinista del termine, sopravvissuti alla caduta del muro di Berlino.
 
Una finta "cultura" imprenditoriale che a Taranto sembra talmente "ignorante" da non riuscire a proporre nulla per dare lavoro a diecimila persone con un serio business plan, neppure con i TRECENTOTRENTASEI MILIONI di euro destinati alla bonifica, di cui nemmeno un centesimo sara' pagato dall'Ilva, che in un mondo piu' giusto sarebbe stata gia' nazionalizzata da anni a compensazione dei danni subiti dalla citta' e dal territorio, e costretta con un commissariamento ad una riconversione forzata della produzione verso un piano industriale a emissioni zero.
 
L'imprenditore Riva oggi e' agli arresti domiciliari dopo aver lanciato a vuoto denunce per "procurato allarme" contro gli ambientalisti che avevano diffuso i dati sulle emissioni di diossina autocertificati dalla stessa Ilva, e ha reiterato le minacce di ritorsioni legali fino a pochi giorni prima del suo arresto, indirizzando inquietanti lettere di diffida a chi ha mostrato su Internet il catrame presente sul fondale del mare di Taranto. Il tutto a conferma della natura intimidatoria e prepotente di quella che era l'impossibile tutela di una immagine aziendale ormai irrimediabilmente sporcata da tonnellate di sostanze inquinanti.
 
Visto che in casa avra' molto tempo libero a sua disposizione chiedete conto a lui, e non alle "sentinelle dell'ambiente" di quello che si dovrebbe fare adesso per difendere i lavoratori di Taranto. Ma in tanti anni di polemiche sull'Ilva, il signor Emilio Riva non ci ha mai fatto sapere quale e' la sua idea (se ne ha una) per uno sviluppo economico della citta' di Taranto che sia ecocompatibile e alternativo a quello che ora e' stato fermato per legge con l'obiettivo di difendere la vita e la salute dei cittadini di Taranto, la loro acqua, la loro terra, il loro mare e il loro futuro.
 
Eccola qui la grande "cultura d'impresa" che si esprime a Taranto: Riva che sta zitto, Federmeccanica che nei suoi comunicati invoca la "continuità produttiva dello stabilimento" e Federacciai che chiede "la riapertura dello stabilimento" con lo spauracchio di "conseguenze economiche e sociali drammatiche", come se le conseguenze subite finora dalla citta' a stabilimento aperto non siano gia' abbastanza drammatiche.
 
Se i grandi scienziati nazionali dell'economia industriale non hanno idee imprenditoriali alternative al mantenimento della produzione esistente, allora che siano gli imprenditori e i notabili locali di Taranto a riunirsi per partorire proposte concrete per valorizzare la forza lavoro che si sta cercando di sottrarre alla produzione di diossina. Che i Tarantini piu' abbienti misurino i risparmi che hanno investito nella finanza e ci dicano cosa gli impedisce di dirottarli sull'economia reale per far cambiare rotta alla citta'.
 
Gli ambientalisti hanno fatto bene il loro mestiere, portando in tribunale un colosso dell'industria utilizzando un semplice pezzo di formaggio che ha inchiodato gli inquinatori alle loro responsabilita'. Che ora non si dia la colpa a loro se gli imprenditori non sanno fare altrettanto, non sanno inventarsi nuovi modi di guadagnare e far fruttare i soldi, e vorrebbero continuare a sfruttare industrie, tecnologie e modelli economici vecchi di quarant'anni anche quando si scopre al di la' di ogni dubbio che questa vecchia imprenditoria causa la morte di persone e la devastazione dell'ambiente trasformando in veleni anche i nostri cibi piu' pregiati.
 

IL FUTURO DI TARANTO DECISO A ROMA A PORTE CHIUSE

 
Nel frattempo, il futuro dell'area industriale di Taranto si sta decidendo nei corridoi del potere, con la stesura di un "protocollo di intesa" per la gestione di 336 milioni di euro, firmato da ministri dell’Ambiente, dello Sviluppo, della Coesione territoriale, Regione Puglia, Commissario straordinario del porto, Provincia e Comune di Taranto.
 
Per il momento di quel testo ci raggiungono solo i "rumors" diffusi sulla cronaca nazionale, che lo descrivono come "un protocollo con pochi soldi ma tanti bluff", che non contiene una visione chiara del futuro di Taranto ma si limita a distribuire i 336 milioni a disposizione assegnandone 119 alle operazioni di bonifica, 187 agli interventi portuali e 30 al rilancio del polo industriale, senza che siano disponibili documenti e strumenti di analisi per capire se l'intesa prevede un piano strategico per creare lavoro grazie alla bonifica anche quando sara' terminata, se gli interventi portuali risolveranno i problemi di un porto che si vorrebbe militare e civile al tempo stesso, se il rilancio del polo industriale e' sostenuto da piani di sviluppo concreti o se sara' la solita pioggia di denari che non produrranno sviluppo.
 
Sospetti confermati da quanto pubblicato su "Taranto Oggi" del 27 luglio 2012, dove Gianmario Leone e Gianluca Coviello hanno spiegato che nel protocollo saranno rifinanziati interventi gia' previsti per cui non erano ancora stati stanziati i soldi previsti, come quelal Bonifica del mar Piccolo "che già nel 2006 aveva visto stanziare dal Ministero dell’Ambiente, dalla Regione Puglia e dalla Provincia di Taranto 36 milioni di euro". Soldi che pero' non sono mai arrivati, perche' non si e' saputo dove trovarli, e sui quali neppure questo nuovo protocollo di intesa ha saputo fare chiarezza.
 
Secondo Leone e Coviello, infatti, in questo protocollo "di nuovo, in realtà, c’è ben poco e anche laddove il Governo predispone risorse dirette ‘fresche’, non indica come verranno reperite da un punto di vista finanziario (nel documento si limitano a scrivere ‘copertura da definirsi a carico dello Stato’). I dubbi, dunque, sono molteplici ed il documento, che dovrebbe risollevare le sorti di Taranto, anche laddove non ‘doppia’ interventi vecchi e/o che già erano in corso di finanziamento, non chiarisce fino infondo la reperibilità e la certezza di una tempistica urgente di gran parte delle risorse pubbliche".
 
E' troppo chiedere che la discussione su temi cosi' delicati avvenga pubblicamente e con consigli comunali aperti in cui dare diritto di parola alle organizzazioni della societa' civile e agli ambientalisti? Se non si vuole coinvolgerli nelle soluzioni, almeno che non si gettino addosso a loro i problemi.
 
Mentre la politica gioca allo scaricabarile per dirigere sugli ambientalisti il malcontento della disoccupazione, quando si tratta di decidere ha deciso di non coinvolgere ne' la cittadinanza ne' l'associazionismo per progettare il futuro della citta' e utilizzare al meglio le risorse pubbliche destinate alla bonifica.

La politica, in estrema sintesi, ha rinunciato a sollecitare nelle sedi piu' opportune quelle risposte e quelle proposte che invece vengono richieste agli ambientalisti nel dibattito pubblico per dipingerli come sognatori velleitari e irresponsabili.
 
LA CULTURA AMBIENTALISTA COME ORIZZONTE POLITICO CONCRETO
 
Ma le risposte e le proposte non sono mai mancate, a conferma che l'ambientalismo di Taranto e' tutt'altro che fondamentalista, isterico e velleitario, ma e' una bussola che punta verso un concreto orizzonte politico di cambiamento.
 
Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink (l'associazione ecopacifista che e' stata la vera "spina nel fianco" dell'Ilva con le analisi sul pecorino locale che hanno innescato le azioni legali) spiega che "la bonifica non è fine a se stessa ma è funzionale alla riqualificazione paesaggistica e al recupero di aree degradate. Basta guardare cos'hanno fatto in Germania nel bacino della Ruhr, trasformando le vecchie miniere in centri di cultura". E invita a stare in guardia dai falsi profeti: "non date ascolto a coloro che dicono che bonificare è inutile. Sono solo disinformati, devono solo leggere di più e studiare i casi virtuosi. E anche i politici devono studiare di più..."
  
Studiare, ma anche ascoltare le voci dei cittadini, per capire se i soldi di quel protocollo di intesa possono essere usati anche per trasformare gli operai dell'acciaio in tecnici dell'ambiente, che saranno sempre piu' richiesti dal mercato del lavoro e sicuramente serviranno a Taranto se davvero si vuole bonificare quella zona. E allo studio dei politici bisognerebbe aggiungere da parte degli imprenditori un po' di fantasia, creativita' e il coraggio per sostenere un minimo rischio di impresa con l'aiuto dei fondi pubblici come paracadute.
 
Alle accuse di sostenere un ambientalismo che toglie lavoro alle persone, Marescotti risponde segnalando il caso di Friburgo, la capitale europea dell'energia solare che sta attraversando indenne la crisi economica grazie alla sua capacita' di progettare il futuro, e attualmente garantisce lavoro a 13 mila occupati nella green economy con un numero di abitanti pari a quello di Taranto.
 
Ma allora se a Friburgo ci sono 13 mila operatori nel settore delle energie pulite, e a Taranto altrettanti lavoratori a rischio nel settore industriale, la colpa e' dell'"ambientalismo isterico" demonizzato da Vendola o di un settore industriale inquinato da gente non all'altezza delle proprie responsabilita' e incapace di aprirsi a nuove prospettive di sviluppo diverse dall'industria pesante e "sporca"?
 

PARTECIPAZIONE COME ANTIDOTO AL "TUTTI CONTRO TUTTI"

 

Ho avuto la fortuna di girare il mondo, per visitare paesi piu' civili e democratici del mio dove ho imparato la differenza tra la politica come "cosa pubblica" e la politica di casta dove decidono solo pochi eletti. Per la riforma del diritto d'autore in Svizzera, ad esempio, ho avuto modo di visionare i documenti preparatori a quello che e' poi diventato il testo di legge, accompagnati da un lungo elenco di centinaia di associazioni, soggetti politici, comitati e singoli individui chiamati a dare un contributo di idee a beneficio di tutti con un processo aperto e partecipativo.
 
A Taranto e in Italia, invece, i politici e gli industriali non vogliono studiare ma neppure ascoltare chi ha studiato, e quel "partecipiamo tutti alla costruzione del futuro" che ho assaporato altrove, da noi diventa un "tutti contro tutti mentre i soliti pochi decidono per tutti".
 

Come mi ha fatto notare un caro amico esperto osservatore della politica locale, "già si intravede una città spaccata in cui nessuno si fiderà di nessuno e tutti odieranno sempre più tutti: gli ambientalisti contro l'Ilva, l'Ilva contro la città, i lavoratori Ilva contro gli ambientalisti, la città contro i lavoratori se bloccano la città, i politici fingeranno di essere a favore di tutti ma inseguiranno solo i propri interessi clientelari. Perché, in fondo, se tuo figlio si ammala di tumore, ce me ne futt' a me? [cosa me ne frega, ndr] Basta che io mangio. E se tuo fratello perde il lavoro, ce me ne futt' a me? Basta che non blocchi il ponte e mi fai fare i cazzi miei. Sta già succedendo".

Note: Il presente articolo esprime unicamente opinioni personali dell'autore e non coincide necessariamente con l'opinione dell'associazione PeaceLink
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