La mordacchia di Damocle
Il disegno di legge 3491/12 -cd. sulla diffamazione nonché “proSallusti”- è fermo in Senato. Sarà ripreso lunedì prossimo. Nel disegno schizzato, pur tenuto conto che tra i pittori ci sono gli onorevoli Gasparri e Ghedini, già s’intravedono macchie che mal s’armonizzano con il soggetto della tela. Come dice il prof. Rodotà, autorevole conoscitore della filosofia del diritto: “Purtroppo è fatale che quando si scrivono leggi ad personam si legifera male”.
Il disegno fu concepito, cogliendo il pratico attimo della vicenda Sallusti, pur menzionata nel testo, per l’indispensabile bisogno di modificare le nostre disposizioni penali del ’48 non più allineate alle europee (queste peraltro sempre buone per coglier attimi favorevoli al legislativo): no, il carcere giammai (giusto)! A tal fine sarebbe stato sufficiente abrogare solo la pena detentiva. La scelta, invece, d’interagire nella ratio (ad personam) legis dei reati “a mezzo stampa”, così com’è ormai d’abitudine (cfr. ddl intercettazioni, privacy e quant’altro possibile), fa si che per l’ennesima volta siamo attaccati dalla mordacchia di Damocle.
Gli è che un tempo la rete (vero e proprio tramaglio) era corporea prerogativa in uso ai censori di governo che, con le buone o le cattive, sapevano imbrigliare le principali testate tv e cartacee e quel poco che riusciva a fuggire se lo filavano in pochissimi. Oggi, ma già da un bel po’, la rete eterea e incorporea ha surclassato quell’altra perché, per sua natura, possiede spazi senza confini (e confino). I nostri legislatori, a quanto pare, non ne vogliono sapere e perciò proseguono nella parte d’improbabili “guastatori”. A parte legiferare condanne pecuniarie volte a condannare i più alla pena capitale, visto che tutte ‘ste pene commutate in palate d’euro impedirebbero loro di mangiare, va aggiunto il fatto che la rete telematica (fatta quotidianamente di miliardi d’opinioni in proprio e/o raccolte d’altrettanti miliardi d’info) non può materialmente riportare le smentite dei (sempre più) troppi individui che, per il solo fatto di ritenersi “ingiuriati e/o offesi nell’onore” pretendono la smentita e, dunque, in assenza di questa potranno ritenersi liberi di arrogarsi (giudiziari) risarcimenti pecuniari. E’ palese, in questo disegno, la totale assenza del giudizio, inteso propriamente secondo sua natura: ratio appunto.
I diritti e i doveri d’informare stanno nel riportare fatti (ovviamente accaduti) d’interesse pubblico. La libertà d’espressione consiste nel dichiarare la propria opinione su quei fatti. La nostra Costituzione è chiarissima anche sulla libertà d’informare (d’infornare non s'occupa...). Il 3° C. dell’art.21 si riferisce al “sequestro di stampa” non già a disposizioni artatamente arbitrarie su ciò che è “buono” e “non buono”! “…Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili”.
Giudizio e ragione, così come dettati dalla natura del diritto, in quel disegno sono impossibili a trovarsi. A scanso di “equivoci” osiamo sostenere che s’attagliano neppure tecnicamente. Sicché è indispensabile che almeno sulla seconda sia il caso di riflettere…
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