Qui i palestinesi resistono con la nonviolenza
La luce della nonviolenza
Siamo nei Territori palestinesi militarmente occupati da Israele, in Cisgiordania, a sud di Hebron.
E’ un villaggio di pastori e contadini palestinesi che vivono coltivando la terra (lottando contro i sassi e la siccità) e allevando pecore. Questi resistono con la nonviolenza agli attacchi violenti di coloni nazional religiosi venuti a vivere qui negli anni '80.
Da qui vedo chiaramente cose che prima mi erano, almeno in parte, nascoste da una propaganda politica e mediatica di cui non del tutto consapevolmente sono e siamo vittime.
La cecità la riconosco tutte le volte che abbiamo creduto che musulmano e fondamentalista islamico fossero la stessa cosa. Tutte le volte che abbiamo creduto che arabo e musulmano fossero la stessa cosa. Invece qui ho visto musulmani che di fondamentalista non hanno nulla e a Betlemme ho incontrato arabi cristiani, come me, che chiamano Dio Allah, il mio stesso Dio, proprio lo stesso.
La cecità la riconosco ora tutte le volte che abbiamo creduto anche noi, come i coloni nazionalisti che vivono qui vicino, che per risolvere i conflitti non ci fossero alternative ai metodi violenti.
Anche noi siamo ciechi quando pensiamo che per quanto dolorosa e brutta la guerra sia almeno un po' necessaria.
Invece qui ho visto che la guerra bisogna per forza farla in due, se uno decide di non farla non è guerra. Diventa resistenza nonviolenta che non aumenta la violenza e la sofferenza, ma mette un punto sul proprio dolore. Qui ho visto che se davvero gli uomini non vogliono essere violenti possono! Anche se sono attaccati e feriti.
Non è vero che bisogna picchiare, ferire o uccidere per poter vivere in pace. È cecità! Una cecità brutta che fa vivere male, nel rancore, nella rabbia, barricati dietro a fili spinati e affiancati da militari.
Qui ho visto una luce nuova. Qualcuno che con umiltà prova a dire che il male si vince col bene.
A.
Volontaria di operazione Colomba in Palestina
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