Lettera aperta a Valentino Parlato, editorialista del quotidiano Il Manifesto

Se la politica è in piazza ... i giornalisti dove sono?

Una risposta all'editoriale pubblicato su Il Manifesto del 21 marzo 2004. Valentino Parlato scrive che "esattamente un anno fa l'ondata pacifista, quella che fu definita la seconda superpotenza mondiale, fu sconfitta [...] L'internazionale pacifista fu sconfitta e si disperse, quasi in catalessi". Ma e' andata proprio cosi'?
22 marzo 2004
Carlo Gubitosa, Loris D'Emilio, Mario Muré

Non ci sorprende, anzi lo si dava quasi per assodato, vedere che nei telegiornali di sabato sera e di tutta la domenica successiva la "notizia del giorno" sia stata lo "schiaffo pacifista" di alcuni disobbedienti ai responsabili diessini, dimenticandosi (o facendo scendere un velo di silenzio omertoso?) dei veri contenuti del corteo del venti marzo a Roma, dove oltre un milione di persone hanno gioiosamente e coloratamente manifestato e dove forti e significative testimonianze sono state lanciate dal palco dai pacifisti americani, israeliani, palestinesi, kurdi, spagnoli.

Non ci sorprende nemmeno leggere commenti ed editoriali sulla stampa nazionale del giorno dopo dove, a parte la sempre scontata rilevanza al suddetto "schiaffo" e alle proteste urlate ai quattro venti dai responsabili della Quercia - oltre agli ipocriti attestati di stima da parte di alcuni rappresentanti del centrodestra - , l'unico leit motiv è stato il tentativo di sminuire l'importanza della manifestazione, o peggio demonizzarne come assurda la sua richiesta (come se la pace fosse una cosa assurda da chiedere ... ), il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq, equiparata all'antiamericanismo o peggio a collusioni con il terrorismo
stesso.

Quello che ci sorprende, ed in qualche misura ci ferisce, è leggere su un giornale dichiaratamente di sinistra, che ancora riporta nella sua testata la dicitura "quotidiano comunista", così attento, almeno in apparenza, agli eventi ed alle ragioni dei movimenti, e dalla cui costola è nato un periodico come Carta, parole e riflessioni che lasciano l'amaro in bocca.

In particolare, il riferimento è all'articolo "La politica in piazza" di Valentino Parlato pubblicato su Il Manifesto del 21/03/04; scrive Parlato: "Esattamente un anno fa l'ondata pacifista, quella che fu definita la seconda superpotenza mondiale, fu sconfitta [...] L'internazionale pacifista fu sconfitta e si disperse, quasi in catalessi".

Prima di tutto ci si dovrebbe intendere sul significato del concetto di sconfitta: la grande manifestazione mondiale del 15 febbraio 2003 non è stata capace di impedire l'attacco USA all'Iraq? allora si, il movimento è stato sconfitto.

Ma era davvero pensabile che alcuni milioni di semplici cittadini nel mondo potessero fermare la macchina bellica già messa in moto da chi aveva ed ha interessi miliardari in ballo? Che ha mandato al governo delle nazioni più potenti ed armate della Terra i suoi rappresentanti? che controlla la quasi totalità dell'informazione mondiale? realisticamente, no.

Come si fa, poi, a parlare di "sconfitta", con un linguaggio calcistico/militare, quando e' evidente che senza la forte pressione popolare contro la guerra preventiva anche l'Italia si sarebbe unita alle altre potenze belligeranti durante gli attacchi, anziche' aspettare la fine dei bombardamenti per invadere l'Iraq insieme alle altre forze di occupazione?

E allora non sarebbe il caso di cominciare a pensare che forse non era quello il primo, e soprattutto l'unico!, obiettivo del movimento pacifista quel 15 febbraio? che forse era più importante semplicemente esserci per dire forte e chiaro "Not in my name!", noi non siamo con voi, non vi seguiremo in questa assurda logica di guerra?

Davvero l'esempio delle elezioni spagnole di dieci giorni fa non ha insegnato nulla?

Cosa significherebbe allora la frase "costruire una cultura di pace"? E soprattutto, come si realizzerebbe? Come si può costruire quella "giustizia sociale" che ancora ieri sera Gino Strada ripeteva dagli schermi del programma di Fazio su Rai3 ? (a quanto ci è dato di sapere, l'unico programma televisivo che abbia dato uno spazio significativo ai rappresentanti di quel "popolo della pace" snobbato ed eclissato dal resto dei media). Valentino Parlato saprebbe spiegarcelo?

Perché altrimenti non ha senso il secondo concetto della sua frase, quel "disperso, quasi in catalessi" che più ci colpisce.

Come sarebbe dunque potuto accadere che solo in Italia quasi tre milioni di persone siano scese in piazza un anno prima e che a distanza di un anno ancora un milione sia tornato in strada? Qualcuno crede davvero che tutti questi cittadini vengano messi in una cella frigorifera e scongelati all'occorrenza? Basta guardare il calendario delle iniziative dei gruppi locali presenti in ogni comune d'Italia per rendersi conto che durante il "congelamento" della visibilita' sui media il movimento pacifista ha continuato imperterrito la sua opera di costruzione di una cultura di pace e giustizia sociale dal basso, a prescindere dalla presenza o meno dei riflettori dei media.

Noi crediamo che sia vero il contrario, e cioe' che siano la politica e i partiti ad essere congelati nella loro ignoranza, e che un master di approfondimento sul diritto internazionale, sulle scienze della pace, sulla difesa popolare nonviolenta e sulla prevenzione dei conflitti dovrebbe essere obbligatorio per chiunque si assume la responsabilita' di mandare cittadini italiani a rischiare la vita in terra straniera. Oggi e' obbligatoria una patente per guidare e per non mettere a rischio la vita dei passanti, ma chi mette a rischio la vita di migliaia di soldati e civili puo' permettersi di rimanere congelato in una cultura di morte che appartiene ormai ad un vecchio millennio, dove la guerra era la "levatrice della storia".

"Ieri il pacifismo sconfitto è tornato in campo - prosegue Parlato - e con grande forza, mettendo in evidenza che il pacifismo di oggi non è solo contro la guerra a anche e forse soprattutto contro le ragioni politiche, sociali, economiche della guerra"

Caro Parlato, con tutto il rispetto, il pacifismo non si è mai allontanato dal campo; è sempre stato presente nei condomini, nelle vie, nei quartieri, nelle città, in Italia come nel mondo, a partire dalla singola bandiera arcobaleno ancora esposta sul balcone da quell'ormai lontano 15 febbraio 2003 (e sono tante, basta andare sul sito di bandieredipace.org per vedere come le sottoscrizioni siano continuate ancora ben oltre questa data), passando per il volantinaggio casa per casa, via per via, per continuare l'opera di informazione e sensibilizzazione sulle problematiche della guerra e sulle alternative proposte di pace, fino ad arrivare alle assemblee popolari presso le parrocchie, le associazioni, le circoscrizioni civiche o i comuni (e di gonfaloni sabato in piazza, a Roma, ce n'erano tanti! anche quelli passavano di lì per caso?). Sono questi i luoghi dove si fa un'altra politica, dove si discute e si mettono in pratica altre economie, altre forme di gestione della "cosa pubblica", altri modi, equi e solidali, di vivere con le risorse di questa Terra per una società più giusta.

E tutto questo, non è un caso; mentre di tutte queste e tante altre iniziative, per ignoranza, malafede o semplice stupidita', non si trova quasi traccia nei cosiddetti media tradizionali.

Parafrasando il famoso detto dell'uomo e del cane, "un pacifista in tempo di pace non fa notizia", come se il pacifismo avesse senso - e di conseguenza spazio sui media - solo in presenza ed in contrapposizione alla drammaticità dell'evento guerra, non, al contrario, come un percorso il più delle volte silenzioso e sotterraneo, fatto di tanti piccoli gesti quotidiani, che unisce in un unico, ideale, filo conduttore i pochi, ma fondamentali, eventi nazionali ed internazionali.

Ma continua Parlato:
"La politica è fuori e tenta di ricostituirsi nei movimenti, quello per la pace innanzitutto, che ieri ha dimostrato di cominciare ad essere una nuova cultura. Molto forte, ma solo un inizio".

Per limitarci al panorama italiano, e senza andare a scomodare figure carismatiche del pacifismo quali Danilo Dolci, o Aldo Capitini o don Milani - per citarne tra quelli che proprio di ieri non sono - a noi sembra che il movimento pacifista stia proponendo una "cultura nuova" da qualche tempo prima di ieri. Solo per restare nel campo del media-attivismo telematico, vorremmo ricordare a Parlato alcuni esempi, come l'associazione PeaceLink, che da piu' di dieci anni raccoglie sul suo sito piu' visitatori del Ministero della Difesa e che ha prodotto dossier quali la militarizzazione di Taranto a causa dello spostamento del comando Usa o le problematiche nucleari in Sardegna;
Warnews.it, un portale interamente gestito da volontari che dal 2001 producono una puntuale e dettagliata informazione su tutti i conflitti armati nel mondo;
Ventimarzo.org e l'ultima nata Articolo11.org, che da alcuni mesi ad oggi lavorano per produrre quella informazione che non troverebbe altri spazi per esprimersi.

Queste iniziative telematiche si innestano nel lavoro "sul campo" delle associazioni, da cui nascono nuove sensibilità dei cittadini, nuovi movimenti di piazza, fino a interrogazioni parlamentari e voti "contro" dei rappresentanti politici. Quali altri mezzi civili e democratici avrebbe a disposizione un cittadino per far sentire la sua voce e ribadire così la sua contrarietà?

E tutto questo tralasciando, volutamente per necessità di sintesi, le decine e decine di associazioni, organizzazioni, semplici volontari che quotidianamente si impegnano nel loro piccolo sul loro territorio, per rispondere unicamente a quel motto "I care" lanciato tanti anni fa (non ieri!) da un uomo che aveva fatto del "prendersi a cuore" il suo ideale di vita.

Qual è, dunque, il "punto di inizio" a cui fa riferimento Parlato nel suo articolo?

Ma soprattutto, perchè continua a cercarlo altrove e non tra la gente, tra chi si "sporca le mani" giorno per giorno nel "fragoroso silenzio" dei media?

Caro Parlato, noi pacifisti eravamo in campo, lo siamo tuttora e continueremo ad esserci: ci farebbe molto piacere se scendessi anche tu e ti unissi a noi, non per darti uno "schiaffo pacifista" bensì per pagarti un caffè (equo e solidale!) intrattenendoci amabilmente a disquisire con te sui massimi sistemi, magari in un momento di pausa tra un volantinaggio ed una assemblea popolare.

Loris D'Emilio, Articolo11.org www.articolo11.org
Mario Murè, Collettivo Ventimarzo www.ventimarzo.org
Carlo Gubitosa, Ass. PeaceLink www.peacelink.it

Tre pacifisti convinti che la sconfitta al nostro impegno nonviolento non potra' mai arrivare dalle guerre dei potenti, ma solo dal sonno delle nostre coscienze.

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L'EDITORIALE DEL MANIFESTO CHE HA STIMOLATO QUESTA RISPOSTA:
Fonte: Il Manifesto - 21 marzo 2004

La politica in piazza
VALENTINO PARLATO

La giornata di ieri, a Roma e in molte altre grandi citta' di questo nostro instabile mondo, e' stata molto importante e non da' spazio a giudizi sommari, richiede riflessione. Esattamente un anno fa l'ondata pacifista, quella che fu definita la seconda superpotenza mondiale, fu sconfitta. Bush e Blair invasero l'Iraq, scavalcando i pacifisti; ma anche stati come la Francia, la Germania e la Russia. L'internazionale pacifista fu sconfitta e si disperse, quasi in catalessi.

La guerra comincio', Saddam fu catturato, ma la guerra non fini' in Iraq e diede motivazioni e vigore alla risposta terrorista, sanguinaria, ma fondamentalmente subalterna. Nella nostra storia d'Europa abbiamo avuto numerose ondate terroriste (il terrorismo non e' un'esclusiva musulmana anche se questa volta qualcuno parla di "scontro di civilta'"), micidiali, ma tutte fallite.

Ieri il pacifismo sconfitto e' tornato in campo e con grande forza, mettendo in evidenza che il pacifismo di oggi non e' solo contro la guerra, ma anche e forse soprattutto, contro le radici politiche, sociali, economiche della guerra. Se la guerra preventiva e' diventata la politica dei nostri tempi (e non solo la continuazione della politica) il pacifismo e' la politica di questa fase di crisi dell'egemonia capitalistica. E proprio, o anche per questo, che la politica, in questa fase, non e' piu' nelle sedi delegate, peraltro cadenti: che cosa contano oggi i partiti o anche i parlamenti?

La politica e' fuori e tenta di ricostituirsi nei movimenti, quello per la pace innanzitutto, che ieri ha dimostrato di cominciare a essere una nuova cultura. Molto forte, ma solo un inizio, solo un valido tentativo di ricostruire, non solo in Italia, le basi di quei grandi confronti politici, sociali e culturali, che hanno segnato il mutamento delle condizioni del lavoro dopo la crisi del `29 e la seconda guerra mondiale.

È una grande sciocchezza affermare che questo movimento sia antiamericano o - come ha detto Fini sulla linea di destra avviata su Sofri - al servizio del prigioniero Saddam. Mi correggo, non e' una sciocchezza e' una forma del combattimento delle forze conservatrici, che - in fase di crisi - per conservarsi, come tante altre volte nel passato, debbono imboccare una linea reazionaria e demonizzante dell'avversario.

Per converso questo movimento costringe le sinistre italiane a rifare i loro conti. Il fatto che il segretario della Quercia abbia dovuto abbandonare il corteo, dopo aver voluto una fallita manifestazione miopemente pensata come bipartisan, non lo si puo' spiegare con le immancabili scontate accuse di squadrismo, sulle quali ora forse avrebbe anche il consenso di Fini.

La crisi e' piu' profonda, bisogna rifare le analisi e i conti con i cambiamenti delle societa' occidentali e saper che quando il capitalismo ha difficolta' o crisi la sua risposta autoconservatrice non si lascia frenare dalle ordinarie regole della democrazia.

In ogni modo la giornata di ieri dimostra alla nostra parte, ma anche ai nostri avversari che questo mondo non e' governabile con la politica della guerra preventiva del presidente degli Stati uniti George W. Bush, che ormai non e' piu' tanto sicuro di rimanere alla Casa Bianca.

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