Ci sono ancora speranze in Ucraina?
Quattro voci autorevoli, invece, ci invitano a ripensare la narrazione ufficiale. Infatti, in Ucraina c'è anche la NATO (ma non si vede): vuole installare i suoi missili sulla frontiera russa, fermare il multipolarismo e ripiombarci nel bipolarismo della Guerra Fredda. Gli eventi in Ucraina ci riguardano dunque tutti -- e da vicino. Cerchiamo allora di capirli meglio.
Lo scorso primo luglio, Henry Kissinger, ex Segretario di Stato USA e uomo politico notoriamente di destra, ha stupito tutti con un articolo sul Washington Post in cui chiedeva la cessazione delle ostilità tra le parti nell'est dell'Ucraina e tra Washington e Mosca. “Basta con la demonizzazione di Putin e la politica dello scontro, bisogna trattare” ha ammonito Kissinger ( originale in inglese - resoconto in italiano ).
Poi, nel mese di agosto, sono apparsi altri tre articoli sull'Ucraina dello stesso tenore, tutti scritti da esponenti autorevoli dell'establishment europeo e statunitense:
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“L'Ucraina: l'Occidente è sulla strada sbagliata” di Gabor Steingart, Direttore del Handelsblatt, il Sole 24 Ore tedesco (08.08.2014: originale in inglese – traduzione in italiano );
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“La via per uscire dalla crisi ucraina – la finlandizzazione” di Jeffrey Tayler, corrispondente da Mosca di The Atlantic, ritenuta una delle dieci pubblicazioni statunitensi più influenti in politica estera (12.08.2014: originale in inglese - traduzione Google );
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"La crisi ucraina è colpa dell'Occidente - non di Putin” di John Mearsheimer, accademico e uno dei cervelli del Council on Foreign Relations, think tank che orienta la politica estera statunitense (Foreign Affairs, 23.08.2014: originale in inglese - resoconto in italiano ).
Questi esperti vanno addirittura oltre Kissinger e sfatano completamente la narrazione del conflitto ucraino finora propagandata nei mass media. Ossia, che sarebbe Putin, spinto da una presunta brama di accaparrarsi sempre più paesi per ricreare l'ex impero sovietico, l'aggressore pericoloso che bisogna isolare e mettere in riga.
Apprendiamo, invece, che è stato l'Occidente, tramite la NATO, il vero aggressore in Ucraina. Infatti, l'Occidente ha realizzato un colpo di stato armato a Kiev lo scorso febbraio, dietro la cortina fumogena delle manifestazioni in piazza, usando milizie ucraine filonaziste, addestrate nelle caserme NATO della Polonia, per prendere d'assalto il palazzo presidenziale e costringere alla fuga l'allora Presidente Janukovyč. Ciò ha consentito a Washington di prendere possesso del paese e di portare al potere, non le persone per le quali i manifestanti si stavano battendo in piazza, ma gli uomini voluti dal Pentagono e dal Fondo Monetario Internazionale – e già scelti da tempo.
Scopo dell'operazione: 1) poter installare basi missilistiche NATO lungo la frontiera russa, minaccia che Kiev e Washington negano di voler attuare ma che viene confermata dalle dichiarazioni della Commissione NATO-Ucraina e dalle visite in Ucraina del Missile Defense Agency del Pentagono; 2) privare la Russia delle forniture delle industrie specializzate nell'est dell'Ucraina, dalle quali l'esercito russo dipende da sempre; 3) privare la Russia della sua base navale strategica in Crimea; 4) consentire all'FMI di ridurre l'Ucraina alla subalternità, attuando la sua (tristemente nota) terapia d'urto economica – quella che l'Italia ha fatto salti mortali per evitare finora. L'accresciuta povertà degli ucraini che ne deriverà, darà poi ai paesi europei sviluppati (in particolare alla Germania) accesso ad un vasto bacino di manodopera a bassissimo costo – come quella del sud-est asiatico ma molto più vicina e più istruita. Inoltre consentirà il dumping, in Russia, di prodotti europei prodotti e venduti sottocosto dalle filiali ucraine (guerra economica condotta per procura).
La crisi ucraina è stata provocata, dunque, non dalla Russia ma dall'Occidente che, per mettere la Russia in difficoltà militarmente ed economicamente, ha commesso due illegalità: ha violato le norme internazionali che vietano l'attuazione di golpi in paesi terzi e ha violato i Patti Fondativi del 1997 che prevedevano un'Ucraina neutra e fuori da ogni alleanza militare. Le contromosse di Putin – annettere la Crimea con la sua base navale e sostenere la ribellione nell'est dell'Ucraina – andrebbero dunque viste meno come “invasioni ingiustificate” compiute “dal famelico orso russo” e più come tentativi di salvare il salvabile dopo l'invasione dell'Ucraina – questa sì ingiustificata – da parte della NATO. Questo concetto è stato peraltro raffigurato in un cartello della Rete NoWar per una manifestazione tenutasi a Roma davanti all'ambasciata d'Ucraina il 17-5-2014: vedi sotto.
Ma proprio la consapevolezza della falsità della narrazione ufficiale degli eventi in Ucraina ci consente poi di uscire dal conflitto. Invece dell'inevitabilità dello scontro, ci accorgiamo della possibilità di un negoziato, nei termini ipotizzati da Kissinger il primo luglio e ripresi nel mese di agosto, con varianti, dai tre autori elencati sopra.
Secondo questi esperti, l'Occidente potrebbe rinunciare all'installazione di basi missilistiche in Ucraina e al blocco delle forniture dalle industrie nell'est, per ottenere dalla Russia la fine della ribellione nella zona orientale del paese e la rinuncia alla sovranità sulla Crimea – naturalmente, dietro meccanismi che garantiscono la permanenza della base navale russa sulla penisola. Da parte sua, la Russia potrebbe accettare l'entrata dell'Ucraina nella zona economica europea, purché rimanga neutra sul piano politico-militare (“finlandizzandosi”) e dietro garanzie adeguate anti-dumping per tutelare l'economia russa. A ciò potremmo aggiungere la concessione, non dell'indipendenza, ma di un'estesa autonomia regionale all'est, militare (con una Guardia Regionale al posto della temutissima Guardia Nazionale), economica (con il controllo sulle proprie esportazioni) e culturale (tutele linguistiche e religiose).
E sarebbe la pace.
Ecco dunque apparire all'improvviso nell'estate del 2014, in quattro pubblicazioni autorevoli, una visione nuova degli eventi in Ucraina, diametralmente opposta alla fuorviante narrazione ufficiale. Una visione che, svelando le vere poste in gioco, ci consente di muoverci per fermare le ostilità sul campo e tra governi. Ma come?
L'editoriale di Gabor Steingart ce lo indica: rievoca la figura di Willy Brandt, sindaco di Berlino (e poi Cancelliere) all'epoca della costruzione del Muro da parte dei sovietici nel 1961. Quel muro poteva significare la fine di qualsiasi dialogo tra Est e Ovest. E invece Brandt si è prodigato per la conciliazione tra le parti e, passo dopo passo, ci è riuscito. Rifiutando le rappresaglie. Riconoscendo lo status quo al fine di cambiarlo. Riconciliando gli interessi. Promuovendo il riavvicinamento. E, soprattutto, provando e facendo provare la compassione – anche verso i nemici.
Potrebbe Brandt servire da modello per i nostri leader di oggi – Merkel, Obama, Porošenko, Putin – per quanto riguarda la crisi ucraina? Steingart sembra infatti incoraggiare la Cancelliera tedesca a seguire l'esempio del suo predecessore e già la Merkel sta mantenendo costanti contatti telefonici con i leader che meno si parlano tra loro (una tattica di Brandt). Putin, pur non rinunciando a fornire “assistenza” agli ucraini russofoni, ha dichiarato la sua disponibilità a trattare con tutti in qualsiasi momento. Persino Porošenko ha accettato, a margine del vertice regionale di Minsk il 26 agosto, di trattare con Putin faccia a faccia per due ore – trattativa “dura e complessa”, ha poi confidato, ma che ha permesso ai due statisti di creare un gruppo di contatto permanente per proseguire con le trattative. Un inizio di dialogo, dunque. (Per ragguagli sulla possibile svolta a Minsk, vedi quest'analisi di Giulietto Chiesa.)
Ma che dire del quarto protagonista, il convitato di pietra a Minsk, Barack Obama?
Purtroppo, a Washington, i neocon, i consiglieri ultra-conservatori cacciati dalla Casa Bianca con la sconfitta di Bush jr, sono ormai rientrati dalla finestra e oggi spingono l'amministrazione Obama a promuovere, di nuovo, la bipolarizzazione del mondo (il celebre “O con noi o contro di noi” di Bush jr.). Proprio l'opposto della conciliazione.
I motivi per questa insistenza sulla bipolarizzazione del mondo sono due. In politica estera, i neocon (e i poteri forti che li sponsorizzano) non vedono di buon occhio il graduale avvicinamento avvenuto in questi ultimi anni tra l'Europa e la Russia, con la costruzione di sempre più oleodotti e gasdotti ("fili" che cuciono insieme i due continenti), con l'intensificarsi dei rapporti commerciali, con lo sviluppo congiunto delle nuove tecnologie, e via discorrendo. Perché tutto ciò porterà ad un autentico multipolarismo, vale a dire, ad un futuro “blocco euro-russo” avente lo stesso peso degli USA o della Cina. Attuando invece il golpe in Ucraina per istigare la Russia a reagire, i neocon e i loro sponsor sono riusciti ad ottenere lo scontro, a rilanciare la retorica bipolare della Guerra Fredda e a spezzare in parte i legami euro-russi tramite:
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le sanzioni economiche contro la Russia che interrompono una parte degli scambi economici e tecnologici dell'EU con quel paese, sostituendoli con gli scambi atlantici previsti nel quadro del TTIP, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti – una gabbia normativa che subordina le industrie europee alle multinazionali statunitensi e che sarà probabilmente approvato entro quest'anno;
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il blocco della costruzione dei nuovi oleogasdotti Russia-UE, come il Southstream, sostituendoli con la fornitura di gas liquefatto americano, ormai prodotto in eccesso grazie al fracking (almeno, così si dice). Ciò significa che, accanto alla dipendenza economica (TTIP), l'Europa dipenderà dagli USA anche sul piano energetico.
In pratica, la politica estera neocon rigetta il multipolarismo e ridivide il mondo in due blocchi: da una parte la Russia, l'Iran e la Cina (la SCO: l'Organizzazione di Shanghai per la cooperazione); dall'altra, l'"Occidente", cioè tutti gli altri paesi dietro la leadership degli USA. La SCO diventa, dunque, il nuovo “Asse del Male”. E con il Male non si tratta.
Di conseguenza, Obama rifiuta di confrontarsi con Putin e impone a Porošenko di non trattare con i leader separatisti. Al posto del dialogo con la Russia, dunque, vengono preferite le sanzioni per isolarla, le direttive per escluderla da incontri internazionali e la moltiplicazione delle truppe NATO stazionate lungo le sue frontiere. Al posto del dialogo con i separatisti, Kiev preferisce intimidirli, bombardando le loro città con gli imprecisi missili Grad e quindi provocando l'uccisione indiscriminata anche dei civili (un crimine di guerra). Il 26 agosto c'è stato a Minsk il parziale disgelo a sorpresa tra Porošenko e Putin e perciò, per fermarlo sul nascere, la NATO ha tirato fuori, due giorni dopo, alcune foto satellitari di blindati russi (scattate diversi giorni prima e senza coordinate GPS), il che ha spinto il Presidente ucraino a suonare l'allarme per una “invasione russa” (parole poi smentite) e a chiedere un intervento UE. Di sforzi di conciliazione, di sforzi per capire le ragioni dell'altro, d'inviti alla calma, neanche l'ombra.
Questa bipolarizzazione del mondo e demonizzazione dell'avversario è anche funzionale alla politica interna statunitense voluta dai neocon. La SCO fornisce al governo statunitense un nemico di peso da additare – come fu l'URSS durante la Guerra Fredda – per giustificare uno stato di emergenza permanente e la creazione di uno stato poliziesco. Già grazie agli attentati dell'11 settembre, i neocon hanno potuto: (1.) far approvare il Patriot Act "per punire i terroristi" ma, in realtà, per poter incarcerare senza processo qualsiasi dissidente; (2.) creare la NSA per “scoprire i terroristi” ma in realtà per spiare ogni singolo cittadino; (3.) militarizzare le polizie locali “per impedire atti terroristici” ma in realtà per impedire qualsiasi protesta, come si è visto a Ferguson in agosto. Davanti alle presunte minacce di un nemico (la SCO) ancora più potente dei terroristi jihadisti, la repressione diventerà totale.
Sarà possibile invertire questa tendenza, arrestare la propaganda a favore della bipolarizzazione del mondo e spingere per accordi di pace in Ucraina e di libero scambio tra l'Europa e la Russia? Di certo non sarà facile, vista la disparità dei mezzi a disposizione (gli sponsor dei neocon hanno molto influenza nel mondo, sia presso i governi che nei mass media). Ma vale la pena tentare, anche con petizioni come quella di Alex Zanotelli e di Alfonso Navarra su PeaceLink.
Soprattutto ricordiamo ai nostri governanti il metodo della conciliazione messo in opera con successo da Willy Brandt, all'epoca del Muro di Berlino, come Steingart ha fatto sul Handelsblatt. Inoltre, chiediamo con insistenza ai nostri mass media, pena il boicottaggio, di smetterla con la ricorrente demonizzazione dei nostri avversari e di farci capire invece anche le loro ragioni. Rifiutiamo il voto a partiti che non hanno un'articolata politica estera e cerchiamo, da attivisti, di influire su quella degli altri.
Facciamo tutto ciò pur consapevoli che sarà assai più difficile oggi, rispetto al 1961, superare – con gli appelli alla conciliazione e alla comprensione reciproca – il nuovo muro di Berlino che si sta costruendo sulla frontiera est dell'Ucraina. Perché questa volta, a costruire il muro, siamo noi.
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