Alexander Langer, vent’anni fa si spezzava l’inquieto cammino

Due decenni dopo la tragica morte di Alexander Langer le sue riflessioni su convivenza, conversione ecologica e nonviolenza ci indicano un cammino vitale e prezioso
1 luglio 2015

Alexander Langer

Alexander Langer era una persona che suscitava sentimenti profondi, che una volta incrociato non si poteva ignorare. Lo si disprezzava o lo si amava. Poteva suscitare disprezzo nei “materassi di piume”, per scriverla alla Dé Andre, in coloro che quotidianamente sopravvivono, senza rendersi conto della forza dirompente e straordinaria umana della passione, della sete di conoscenza, di giustizia, di umanità, che si accontentano di quotidiane squallide consorterie, egoismi, meschini e osceni tradimenti,  volgari interessi. Ma, per fortuna, l’esistenza umana non è solo questo. La purezza e la profondità dell'animo umano sa andare oltre ogni barriera, ogni egoismo, amando rivolgendo lo sguardo soltanto verso lo scrigno custodito nel cuore dell'uomo. Ed Alexander era un faro in questo cammino, nel quale di un’esistenza bella e appassionata come la sua ci si può solo innamorare. Un amore appassionato che Alexander ha donato, in un’inquieta staffetta mozzafiato continua, senza mai fermarsi.

Viaggiatore inquieto, ha donato tutto se stesso all'umanità sofferente e oppressa, caricandosi i pesi e i dolori che ha incontrato per alleviarne le  sofferenze e curarne le ferite, portatore di una speranza e di un amore che lo hanno portato a spingersi troppo avanti, fino ad arrivare nel deserto, dove gli uomini non si amano e non parlano e i pesi diventano eccessivi. Ha descritto nell'ottobre 1992, in ricordo di Petra Kelly, il dramma dei "portatori di speranze collettive" e di quanto è “troppo grande... il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono”. Si dona così tanto amore che giunge il giorno in cui se ne ha necessità vitale, fosse anche solo una carezza o una parola di condivisione e conforto. Come fosse acqua. Pura, casta, genuina, vitale. Sgorgante da fonte vera e profonda. La sete arde, brucia dentro. Si è donato così tanto amore, dedizione, passione agli altri da non averne più per sé. Ci si sente fragili e indifesi, si ha la necessità di qualcuno al quale stringersi e sostenersi, che sappia chinarsi sulle ferite del  cuore e lenirle.

Si vive "in un tale incrocio di dolori" che non si riesce più a vivere, appaiono "troppe le attese frustrate e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le incomprensioni che nascono e segnano, troppo grande il carico di amore per l'umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che il cuore brama e ciò che si riesce a compiere". Si vorrebbe guardare sempre in alto, ma il peso della convivenza umana, avvelenata dalla mancanza di umanità, schiaccia al ribasso. Ci sono giorni che fanno sentire tutto il loro peso. Un peso enorme, che schiaccia, di illusioni tradite, di incomprensioni, di violenza e di cuori in lacrime. Quanto è grande la differenza tra quel che è e quel che vorremmo. Quanto immensa è la facilità di essere fraintesi, incompresi, travisati, dileggiati.

Vent’anni dopo il tragico epilogo della sua esistenza a Pian dei Giullari, la sua testimonianza ci guida nel leggere, interpretare e vivere questa devastante crisi ecologica, sociale, economica e politica che stiamo vivendo. La conversione ecologica e la convivenza, il dialogo tra popoli e culture, l’opposizione integrale e totale ad ogni oppressione, guerra, ingiustizia oltre vent’anni fa si svilupparono profeticamente nei suoi scritti, nei suoi interventi ai convegni, in un quotidiano impegno di coerenza e attivismo. Alexander perseguiva “utopia concreta”, non si accontentava di vuote e retoriche chiacchiere ma passo dopo passo, con mitezza, costanza, umiltà costruiva il suo mattone. Riassumerlo in poche righe è impossibile.  Nel settembre 1994 propose un radicale cambiamento degli stili di vita che sintetizzò nel rovesciamento del motto olimpico: "lentius, profundius, suavius" (più lento, più profondo, più dolce") in luogo di "citius, altius, fortius" (più veloce, più alto, più forte), avvertendo che "La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile". Oggi la conversione ecologica è diventata un'esigenza imprescindibile, una necessità vitale. Ma non riesce ad affermarsi. Il decalogo per una convivenza interetnica, dedicato al suo SudTirolo, indica oggi un percorso che andrebbe percorso dall’Italia intera. Scrisse che sul suo “ponte si transita in entrambe le direzioni” contento “di poter contribuire a far circolare idee e persone”. Cresciuto in una regione di frontiera, ha visto nella conoscenza reciproca, nell'incontro fecondo, una ricchezza da costruire quotidianamente. Ha precorso i tempi  attraversando sentieri e strade con la lungimiranza e la visione di chi sapeva guardare oltre ogni orizzonte. S’immerse totalmente e incondizionatamente nel dramma jugoslavo, vivendo in prima persona e sulla stessa propria pelle. Tùzla, Sarajevo entrarono nel suo cuore e divennero una ragione di vita. Davanti alle atrocità, alla crudeltà e alla barbara follia della guerra visse, lottò e cerco con tutte le sue forze di difendere e far valere le ragioni della vita e delle sofferenze della popolazione, sognando migliaia di donne e uomini che con la forza disarmata della nonviolenza potessero far tacere le armi, interporsi a difesa dei civili, riannodare i fili di una convivenza umana – lontana dalle cancellerie, dalle “ragion di stato” e dai Potenti pronti a sacrificare migliaia di vite in nome dei propri politici personali interessi – e ricostruire i ponti devastati, quelli “reali” (per una generazione intera il bombardamento del Ponte di Mostar rappresentò un simbolo di quel che stava accadendo). Erano gli anni dell’impegno pacifista della Marcia dei 500 che spezzò l’assedio di Sarajevo e dei caschi bianchi, dei Beati Costruttori di Pace e del sacrificio di Gabriele Moreno Locatelli. Per Alexander, e per tutti i pacifisti impegnati in prima linea, la Pace non va solo declamata. Va costruita, va trasformata in un impegno concreto, vero, reale.  Quattro anni dopo la morte di Alexander Langer, il Parlamento Europeo votò una risoluzione per la realizzazione dei “Corpi Civili di Pace”, oggi anche l’Italia riconosce la “Difesa civile non armata e nonviolenta”, ma il cammino è ancora lunghissimo. Un vasto cartello di associazioni e movimenti sta portando avanti la campagna per una legge di iniziativa popolare e nei mesi scorsi migliaia e migliaia sono state le firme raccolte. 

Al G7 a Napoli del luglio 1994 disse anche “silenziate un po', per favore, i vostri altoparlanti, moderate le vostre televisioni, limitate le vostre pubblicità, contenete le vostre telenovelas! Date spazio e voce, ospitalità e megafono alle molte voci dei piccoli, alle voci del sud, alle voci di coloro che non scelgono di gridare, o che non hanno più fiato per farlo”. Mai come oggi sarebbe vitale per la democrazia e la società farlo. Che sia la crisi (dalla Grecia, su cui i media si stanno scatenando in rappresentazioni a dir poco irreali, funzionali solo agli interessi della finanza e dei Potentati economici di Bruxelles)  o le tante guerre intorno a noi (Libia, Siria, Ucraina),  fino alla “politica” (le virgolette non sono casuali) italica, è incredibile come si sentano tantissime voci, analisi più o meno presunte e tanto altro vuoto cianciare, ma manca sempre la voce degli ultimi, degli impoveriti, di coloro che vivono e su cui gravano i pesi delle crisi, delle ingiustizie, della mancanza di umanità di questo nostro derelitto e disperato mondo. Alexander lo ha attraversato in un viaggio leggero, profondo, con lungimiranza e mitezza d'animo che si sposavano perfettamente con una radicalità e una coerenza del pensiero e della pratica quotidiana esemplari, con intelligenza profonda nel guardare l'umanità, impegno appassionato, generosità dei sentimenti che lo ha portato al dono totale di sé agli altri e alla politica.

In uno dei biglietti che gli furono trovati accanto scrisse “continuate in ciò che è giusto”. Quella ricerca del giusto che porta a non trovare mai riposo, a donare tutto se stessi e sentire che non basta mai, sentendo il dovere di donare sempre più, ogni secondo della giornata perché le proprie incombenze, problemi, anche necessità, personali appaiono quasi tempo rubato all’attivismo, alla politica, agli altri. Quando saremo capaci di raccogliere questo testimone il suo “viso serio e gentile” e la sua esistenza “invidiabilmente ricca di viaggi, di incontri, di conoscenze, di imprese, di lingue parlate e ascoltate, di amore” ci guideranno ancora. E ci illumineranno il cammino. 

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