Libia: la piazza chiede diplomazia; la Germania chiede le bombe – e l'Italia, chi ascolterà?
Venticinque anni di guerra evidentemente non bastano a certi paesi della Nato, preoccupati per il caos che regna in Libia.
Venticinque anni di guerra sono invece fin troppi per le migliaia di italiani scesi nelle piazze di molte città italiane sabato scorso per esigere la fine di un susseguirsi ininterrotto di guerre nel mondo, iniziate il 16 gennaio del 1991 con l'operazione “Tempesta nel deserto”. Quel giorno attaccarono l'esercito iracheno di Saddam Hussein le forze armate degli Stati Uniti affiancate da quelle di numerosi alleati, ivi compresa l'Italia – e ciò malgrado il divieto della sua Costituzione di partecipare alle guerre offensive. Purtroppo, dopo aver assaggiato quel primo frutto proibito, l'Italia si è data poi ad una scorpacciata durata un quarto di secolo: nel 1996, la guerra in Kosovo; nel 2001 (e fino ad oggi), la guerra in Afghanistan; nel 2003 (e fino ad oggi), la guerra in Iraq e, poi, nel 2011 la guerra in Libia e, indirettamente, la guerra in Siria.
E oggi l'Italia sta forse per partecipare ad una nuova guerra in Libia, voluta dai paesi della NATO, Germania in testa, per portare l'ordine nel caos libico con i missili e con le bombe: infatti, per la Ministra tedesca alla Difesa von der Leyen, è l'unico modo per dare alla Libia una speranza per il futuro e per salvarla da un oppressore. Ossia, la stessa argomentazione di quattro anni fa, con “unità nazionale” che rimpiazza “primavera araba” come speranza e “Isis” che rimpiazza “Gheddafi” come oppressore.
Peraltro le forze speciali angloamericane e francesi sono già sul suolo libico per studiare i punti migliori per un prossimo sbarco. Quando? Quando il nuovo governo, appunto, di “unità nazionale”, formato questa mattina a Tobruk, avrà ottenuto l'approvazione del Parlamento e avrà saputo imporsi sul paese tanto da poter dichiarare guerra all'Isis e invitare i paesi occidentali, i suoi sponsor, a parteciparvi.
Con questo stratagemma potrebbe dunque non essere necessaria una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per intervenire militarmente in Libia. Infatti, l'Italia, insieme agli Stati Uniti, alla Germania, alla Gran Bretagna e alla Francia, potrebbero semplicemente rispondere – ognuno bilateralmente – ad un “legittimo appello” d'intervento formulato dal “legittimo governo” della Libia, vale a dire il governo fantoccio filo-Nato ricucito oggi all'alba dopo una notte di trattative estenuanti, con la promessa prima di 10 poltrone, poi di 23 e infine di 32, per sigillare l'accordo (neanche unanime).
I primi segnali su ciò che si pensa nel Maghreb rispetto a questa messa in scena indecente della democrazia Occidentale non si sono fatti attendere. Già giovedì scorso, al-Anabi, il numero due di al-Qaeda nel Maghreb, intuendo il raggiungimento di un accordo sul nuovo governo, ha fatto pervenire una video cassetta con minacce molto esplicite contro l'Italia per aver creato un governo di comodo in Libia allo scopo di poter sfruttare il paese come ai tempi del colonialismo fascista.
Se poi l'Italia, insieme alla Nato, scatenerà davvero una nuova guerra in Libia per “colpire i terroristi” e dare maggiore forza al suo “governo amico”, sarà davvero come gettare benzina sul fuoco e invitare a una risposta da al-Qaeda in Italia.
Sempre oggi, il Ministro Gentiloni, consapevole di questo rischio e dopo aver salutato a distanza la formazione del nuovo governo libico a Tobruk, ha ricevuto alla Farnesina i “direttori politici” di 19 paesi, per concordare la linea di azione da intraprendere in Libia nel prossimo futuro. Ivi compresa la guerra? Gentiloni si è già espresso con cautela al riguardo in una recente intervista: dichiarò infatti al giornale francese Le Figaro che l'opzione militare “non è all’ordine del giorno, né oggi né domani”.
Ma così si esprimeva, nel mese di febbraio 2011, l'allora ministro agli esteri Franco Frattini, per poi cedere alle pressioni della Nato e, il 19 marzo, autorizzare i bombardamenti anche italiani sulla Libia: più di trecento attacchi italiani che hanno contribuito alla devastazione totale del paese. Perché, come ora sappiamo, questo fu lo scopo reale dell'operazione – non la protezione dei civili, che fu solo il pretesto presentato al Consiglio di Sicurezza per ottenere l'autorizzazione di una “Zona di Interdizione Aerea” (usata poi, illegalmente, come autorizzazione a bombardare).
Così, per salvare qualche centinaia di civili a Bengasi, l'Italia e la Nato hanno sterminato migliaia di civili innocenti in tutto il paese e condannato i libici sopravvissuti ad una vita misera e opprimente. Quei libici che – sotto Gheddafi – erano i cittadini più ricchi ed istruiti, con il più alto tasso di emancipazione femminile, di tutto il continente nero, tolto il Sud Africa.
Gli unici a beneficiare da quell'infausta operazione militare nel 2011 sono state, naturalmente, le compagnie petrolifere occidentali, cacciate da Gheddaffi. Hanno potuto ritornare in Libia e ricominciare a pompare il greggio pregiato nordafricano a prezzi stracciati, riuscendo a districarsi tra le varie milizie e i loro sponsor che si contendono il territorio. Almeno, fino all'arrivo dell'Isis e di al-Qaeda, i quali hanno rotto i giochi.
L'incontro di oggi alla Farnesina va dunque seguito con attenzione – come il successivo incontro, già programmato per il 2 febbraio con un ordine del giorno che ingloba anche la Siria e l'Iraq.
Nel contempo, chi ha marciato nelle strade di Roma, di Milano e di diverse altre città lo scorso sabato, deve continuare senza sosta a ribadire al Ministro Gentiloni due punti fermi per una politica estera italiana fedele alla costituzione e alle norme internazionali: NO alle bombe e NO alle ingerenze negli affari interni di un paese sovrano.
Il popolo della pace non era unito per dire queste due cose nel 2011. Infatti, molte persone hanno creduto allora che la sollevazione popolare contro Gheddafi fosse completamente spontanea e quindi da sostenere, acriticamente. Non conoscevano i contenuti, ora resi pubblici, dei documenti della Stratfor sulle manipolazioni europee relativi agli eventi in Libia, oppure le rivelazioni trovate nelle email di Hillary Clinton, l'allora Segretaria di Stato USA. Non avevano prestato attenzione nemmeno alle testimonianze dirette dell'epoca, che smentivano il mito di una spontanea “rivolta libica per la dignità” – che pure c'è stata, eccome!, ma sostenuta in parallela dall'Occidente e poi dirottata allo scopo di riprendersi il paese.
Ad esempio, i documenti appena citati – ed altri – illustrano come i francesi avevano organizzato il sollevamento a Bengasi proprio per provocare un attacco da parte delle truppe di Gheddafi e giustificare un intervento armato esterno per “salvare i civili”. Il tutto sullo sfondo della solita campagna demonizzante del capo di stato da abbattere, specialità dei mass media occidentali, basata su orrori veri e sensazionalismi grossolanamente esagerati o fabbricati ad hoc.
Ma ora il popolo della pace ha gli strumenti sufficienti per potersi ricredere e quindi dire con fermezza al Ministro Gentiloni e al Presidente del Consiglio Renzi di non cercare di ripetere l'inganno del 2011 ed i crimini di guerra ad esso connessi. L'autodeterminazione del popolo libico va rispettata – ed aiutata, semmai, cercando di bloccare i tentativi di manipolazione da parte dei burattinai francesi ed anglo-americani.
Lo stesso dicasi per il problema dei jihadisti dell'Isis e di al-Qaeda. Essi non vanno eliminati con nostre azioni di guerra, bensì colpendo con sanzioni gli sponsor stranieri di queste formazioni terroristiche, ossia:
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i paesi che li armano e foraggiano – Arabia Saudita, Qatar, Turchia;
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i paesi che comprano il petrolio rubato dai jihadisti – ad esempio Israele, che fornisce loro anche assistenza medica (infatti, Israele ricovera, nei propri ospedali, molti jihadisti feriti per poi rimandarli, guariti, in battaglia – senza però fare altrettanto per i civili feriti nelle stesse zone di guerra); e, infine,
- il paese che ha creato l’Isis dal nulla, come aveva già fatto con al Qaeda in Afghanistan venticinque anni prima – ossia, gli Stati Uniti d'America.
Solo mettendo pressione su questi paesi, i mandanti dell'Isis, possiamo sperare di sconfiggerlo – non bombardando i suoi guerriglieri. Questa affermazione dovrebbe essere un'ovvietà in Italia, che ha imparato, con l'esperienza, che non elimini la mafia da un paese colpendo i picciotti, perché i boss fanno presto a reclutarne altri. E nemmeno colpendo il boss, perché i mandanti fanno presto a nominarne un altro. Si elimina la mafia solo quando si riesce a risalire ai mandanti e a colpire loro.
Lo stesso principio vale per l'Isis. Le bombe contro i guerriglieri sono inutili, altri li rimpiazzeranno; l'eliminazione dei capi è inutile, altri verranno nominati. Bisogna risalire ai mandati, ai paesi elencati prima, e colpire quelli lì con sanzioni, fin quando non desistono.
Questa “soluzione” sarebbe del tutto irrealistica? Non c'è dubbio. I paesi del Golfo non si toccano – e si sa – perché sono azionisti importanti in Italia. Israele non si tocca – e si sa – perché chi lo critica viene subito tacciato di antisemita. Gli Stati Uniti non si toccano – e si sa – perché sono paese amico... e poi la Finmeccanica e tante altre aziende dipendono dai contratti statunitensi e ci vanno di mezzo tanti posti di lavoro...
Quindi dobbiamo solo rassegnarci davanti all'impossibilità di agire contro i mandanti dell'Isis, ossia i paesi appena nominati? Dobbiamo davvero imparare a “convivere con i terroristi” proprio come, secondo un certo ministro di Forza Italia, bisogna imparare a “convivere con la mafia”? Perché, egli disse, i mandanti non si possono toccare e colpire i soli picciotti non elimina il problema, essi vengono semplicemente sostituiti con altri.
E' davvero così?
Conclusioni
Il popolo della pace è ancora in tempo per evitare una seconda, catastrofica guerra in Libia. La questione si sta dibattendo alla Farnesina e nelle capitali europee proprio in questi giorni.
Va ribadito dunque, con urgenza, a Matteo Renzi e a Paolo Gentiloni di non cercare di imporre il loro governo fantoccio in Libia manu militari e di non cercare di eliminare i jihadisti con la guerra. Perché l'unico risultato verosimile di tali azioni sarà che l'Italia si trovi invischiata in una guerra senza fine e che il popolo italiano si trovi nel mirino di possibili attacchi terroristici di ritorsione (facendo tutti gli scongiuri immaginabili).
Anzi, il popolo della pace deve dire chiaro e tondo a Renzi e Gentiloni che essi verranno ritenuti responsabili di tutto ciò che avverrà in Italia in seguito alle eventuali azioni militari in Libia. Perciò non devono illudersi, nel caso malaugurato di un attentato terroristico, di poter prenderci per il naso come ha fatto Hollande con il popolo francese. Questo, no!
Cosa vuol dire, “prenderci per il naso”?
Due precedenti editorialI su PeaceLink (qui e qui) hanno ricordato l'incredibile reazione dei francesi dopo gli attentati a Charlie Hebdo e al teatro Bataclan. Secondo ogni logica, essi avrebbero dovuto chiedere le dimissioni del loro Presidente che, secondo la tradizione, è il primo responsabile degli indirizzi della politica estera francese. Infatti, con le sue guerre illegali nel Levante e nell'Africa occidentale, Hollande aveva messo il proprio popolo nel mirino. E non solo: ma, per vincere la guerra per procura della Francia in Siria, ugualmente illegale secondo tutte le norme internazionali, Hollande (e prima di lui Sarkozy) avevano creato e armato, insieme agli USA e alla Gran Bretagna, jihadisti tagliagole lasciati operare liberamente in Libia e in Siria – proprio l'ambiente in cui si è formato chi ha poi sparato contro i redattori di Charlie Hebdo e chi ha commesso l'attentato al teatro Bataclan.
Ma creare bande di terroristi è un reato! Farlo per rovesciare un governo, non importa quanto iniquo o meno, è anche un reato! Perciò Hollande si è macchiato di due atti criminali, i quali poi hanno avuto ripercussioni tragiche in Francia il 7 gennaio e il 13 novembre dell'anno scorso. Ecco perché, secondo ogni logica, i francesi avrebbero dovuto esigere le sue dimissioni.
Invece no. Hollande ha saputo incanalare lo sgomento e la rabbia popolare dopo gli attentati in... marce patriottiche, in canti corali della Marsigliese, in dichiarazioni di orgoglio della propria capacità di resistere. La gente si è riversata in strada, sì, ma per marciare tenendo alto una matita per riaffermare il valore della libertà d'espressione. Valore sacrosanto, per carità, ma il problema non era il suo ripudio da parte di alcuni psicolabili; il problema era perché il popolo francese si era trovato nel mirino di psicolabili come quelli di Charlie Hebdo e del teatro Bataclan per cominciare.
Quindi, il popolo della pace ha il compito urgente di informare l'on.le Renzi e l'on.le Gentiloni, sin da adesso, che se portano l'Italia in guerra in Libia ancora una volta e se ci saranno attentati in Italia (facendo tutti gli scongiuri immaginabili perché non ci siano), il popolo italiano non si lascerà imbarcare in marce patriottiche, come quelle della Francia. Marcerà sì, ma dritto sulla Farnesina e su Palazzo Chigi, per chiedere le loro dimissioni.
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Striscione degli organizzatori della manifestazione:
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