A cinquanta anni dalla morte di don Lorenzo Milani
Don Lorenzo Milani mi colpì subito.
Era il dicembre del 1980.
Da lì a poco sarei partito per il militare. Sarei andato a fare l'ufficiale di complemento, il mondo ripiombava nella guerra fredda e dentro di me covavo l'idea di disobbedire: come ufficiale avrei disobbedito ad una guerra nucleare.
Avevo letto don Milani e Brecht, entrambi mi suggerivano l'idea di una disobbedienza in nome della pace. Non lo dicevo a nessuno, ma al momento giusto avrei disobbedito.
Don Milani lavorava nella mia coscienza, come maestro positivo.
Mi colpì soprattutto la sua lettera ai giudici con cui rivisitava cento anni di storia italiana, dal punto di vista della pace.
Don Lorenzo Milani, parroco di Barbiana, era sotto processo per aver sostenuto a metà degli anni Sessanta che fosse legittimo disobbedire ad una guerra contraria alla Costituzione. Aveva scritto una lettera a quei cappellani militari che avevano attaccato gli obiettori di coscienza. Ricevette una denuncia e fu processato.
Scrisse una lettera ai giudici perché era molto malato e non poteva andare in tribunale.
"Spero di tutto cuore - scrisse ai giudici - che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare a fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura.Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione e d'ogni scuola insegneranno come me".
Sentivo mie quelle parole.
Don Lorenzo Milani concludeva così: "Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l'umanità. Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l'umanità ci salveremo almeno l'anima".
Don Milani scrisse che occorre "avere il coraggio di dire ai giovaní che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto".
Quelle parole mi segnarono per sempre: bisogna sentirsi responsabili in prima persona di tutto quello che avviene.
E ho applicato quel senso di responsabilità in tutti i campi dela mia vita quotidiana, a partire dalla difesa dell'ambiente.
Mi sarei sentito anche io responsabile del disastro ambientale se non avessi agito in prima persona. E' stato don Milani che mi ha spindo ad una presa di responsabilità totale, senza vie di fuga.
Nel campo politico ricordo una infuocata discussione nella sezione del PCI a cui ero iscritto. Durante una assemblea congressuale sostenni che un comunista doveva disobbedire agli ordini militari se avesse ricevuto un ordine contrario alla Costituzione. In particolare dissi: "Un pilota comunista non può sganciare bombe sui civili e se glielo chiedono il suo compito è quello di disobbedire".
Ricordo la faccia contrariata del dirigente di partito che avevo di fronte. Scosse la testa.
Un po' alla volta, argomentando, cominciò a prendere le distanze da me e a dire in assemblea che "occorre fare una battaglia politica su queste cose". Ma, messo alla strette, disse che non si può decidere di disobbedire di testa propria.
Mi vennero alla mente le parole di don Milani, la sua lettera ai giudici.
Don Lorenzo Milani - io che ero ateo e comunista - aveva lavorato dentro di me, assieme a Brecht: occorre disobbedire in nome della coscienza.
La coscienza. Proprio così: la coscienza.
Del resto vi immaginate la coscienza di Napolitano?
Vi immaginate Napolitano che dice di disobbedire ad una guerra?
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