Ciao Graziano, compagno degli ultimi e degli umili

Una domenica di ottobre accendi il computer, scorri la home di facebook e d’improvviso leggi la notizia. E’ morto Graziano Zoni, anima delle Comunità Emmaus, di Mani Tese e di tante altre esperienze di solidarietà e umanità d’Italia.
16 ottobre 2017

L'Abbé Pierre e Graziano Zoni

Molti anni fa, probabilmente era il 2004, ho avuto la fortuna di entrare in contatto con lui. Erano i tempi di Rete Lilliput, delle bandiere arcobaleno ai balconi, dell’immensa mobilitazione contro le guerre e la povertà globale, per un mondo più giusto e umano. Scrissi alla Comunità Emmaus per chiedere di poter utilizzare alcuni materiali pubblicati sul loro sito. Non mi rispose un ufficio stampa, non fui ricontattato da una segreteria o da un grandioso ufficio di burocrati. Incredibilmente, mi rispose direttamente il “Presidente”. Ma non ebbe un tono “presidenziale”, non uso toni distaccati e di superiorità. Eppure aveva davanti un ragazzo alle prime esperienze di attivismo e volontariato, che cercava di frequentare l’arcipelago lillipuziano in punta di piedi, con il timore e la timidezza dell’inesperienza. Rimanemmo in contatto per un po’ poi, come purtroppo spesso accade nell’associazionismo e nella vita, ci si perse di vista. Furono due le persone che in quel periodo mi colpirono tantissimo. E di cui, purtroppo, persi i contatti. Uno era Luciano Capitini, il nipote del fondatore del Movimento Nonviolento, e l’altro era appunto Graziano Zoni. In questi anni varie volte mi è tornato alla mente, ho sempre cercato di seguire lui ed Emmaus. Nelle tantissime iniziative per l’Italia. E nelle profonde e acute riflessioni di cui ci ha fatto dono per tanti anni. Un patrimonio immenso di cui ora tocca ad ognuno di noi, come sempre quando lascia questo mondo un grande compagno di viaggio, raccogliere il testimone.

Non ha conquistato le prime pagine dei grandi giornali, a lui non sono stati dedicati speciali e talk in tv. Non avrà i riflettori dei potenti e dei vip. Perché Graziano Zoni non apparteneva all’elite, non era un campione dei salotti e dell’alta borghesia. E’ stato, per tutta la sua vita, un compagno di vita degli ultimi, dei semplici, degli impoveriti. Ed è morto dopo aver vissuto gli ultimi istanti della sua vita terrena accanto a loro, tornando a casa dopo una giornata dedicata alla sua Emmaus. Parafrasando don Milani, la sua patria erano loro. Alexander Langer, utilizzando un’espressione che mi è cara e preziosa, oltre vent’anni lodò l’esperienza di Emmaus e dell’Abbé Pierre come amicizia degli scarti. Gli scarti del nostro consumismo, che tutto brucia e consuma. Ma anche della nostra mancata umanità. Emmaus è uno dei percorsi più tenaci e umili, forti e determinati di quel volontariato che “negli interstizi del disordine globale” – riprendendo “La politica perduta” di Marco Revelli - cercano di ricucire le lacerazioni di questo nostro mondo. Dieci anni di “crisi economica” ci consegnano un pianeta sempre più devastato, avvelenato, impoverito di risorse. E dove la disuglianza economica, sociale, politica è aumentata a dismisura. Dove si alimentano le guerre tra popoli e impoveriti mentre sempre meno ricchi sono sempre più ricchi. E i bilanci degli Stati, dove “non ci sono soldi” per la spesa sociale e la sanità, per i senza casa e i senza lavoro, ma sono crescenti ostaggi delle spese militari e per le guerre. Tra i tantissimi, senza neanche scendere nei sotterranei della Storia e nei più poveri Sud del Mondo, esempi li abbiamo accanto a noi. Il nostro Paese ormai spende oltre 60 milioni al giorno, il costo per gli F35 aumenta ma di fatto rimane intoccabile. E nella Grecia massacrata dalla troika e dalle ricette economiche della grande finanza mondiale tra le spese mai scalfite dai “tagli” ci sono quelle armate.

La voce di Graziano Zoni e di Emmaus, senza grancasse mediatiche e potentati, senza violenza e prepotenza, ci ha accompagnato nella denuncia di tutto questo. E nel cercare di costruire un’alternativa, un mondo radicalmente diverso per il presente e l’avvenire.

Tiziano Terzani scrisse che “il senso della ricerca sta nel cammino fatto e non nella meta, il fine del viaggiare è il viaggiare stesso e non l’arrivare”. In tempi in cui le palingenesi rivoluzionarie appare lontano, la vera rivoluzione potrebbe non essere in chissà quale avvenire ma nel cammino di oggi. La rivoluzione non la si compie con uno stravolgimento totale e totalizzante, improvviso. Ma nello scegliere con chi camminare, di chi essere compagno, con chi condividere e spezzare il pane. Ce lo insegna l’esperienza e la vita di Graziano Zoni. Lui ha scelto gli impoveriti, i semplici, gli ultimi, gli anawin di oggi. Coloro che vivono ai margini della società del benessere, emarginati e disprezzati dall’alta borghesia. Ma che possono vivere la solidarietà più umile e semplice, e per questo più vera. Capaci di dividere con gli altri il poco che hanno. Camminare accanto a loro, condividere con loro l’esperienza della vita e della sopravvivenza, dimostrare che non sono solo “resti della società” incapaci di tutto ma che sono vite, intelligenze, anime e cuori autonomi e capaci di costruire il proprio destino. Dargli voce e spazio, permettergli di camminare e costruire, è irrompere sul palcoscenico della Storia e ribaltarlo, rovesciarlo.

Perché la storia non la fanno i potenti e i prepotenti, l’umanità non sono i troni e le dominazioni. E’ la rivoluzione più rivoluzionaria che ci sia. La rivoluzione che don Tonino Bello, nella Sarajevo assediata, definì il “cambiare il mondo
col gesto semplice dei disarmati”.  E in attesa che questo avvenga, che questa forza possa stravolgere e salvare il mondo, c’è chi si accontenta di lamentarsi, c’è chi dice che mai nulla cambierà. E c’è chi invece si rimbocca le maniche, cerca di riconoscere nell’inferno dei viventi quello che non è inferno e vi partecipa. E’ la rivoluzione che Graziano Zoni, con la sua straordinaria capacità di riflessione e forza, ha portato avanti tutta la vita. Ed è la commemor-azione che dobbiamo portare avanti d’ora in avanti anche nel suo nome.

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