Contro la logica della vendetta: perché la guerra non è la risposta
Nel teatro dell'escalation militare tra Israele e Iran emerge sempre di più minacciosa e fosca logica della vendetta nella guerra. L'annuncio di un contrattacco futuro da parte di Israele in risposta al lancio di droni e missili iraniani è il classico esempio di questa pericolosa mentalità, che alimenta un ciclo interminabile di violenza e sofferenza.
La sproporzione
Il lancio di droni e missili iraniani, avvenuto il 14 aprile, ha causato due feriti civili (due bambini beduini privi di rifugio antiaereo) e danni marginali a una base aerea israeliana senza provocare vittime o distruggere aerei. Il sistema israeliano di difesa avanzato, l'Iron Dome, è riuscito a neutralizzare il 99% dei missili e dei droni iraniani, dimostrando l'efficacia delle misure di sicurezza.
È fondamentale sottolineare la disparità evidente tra i danni causati dalla ritorsione iraniana e l'attacco precedente di Israele all'ambasciata iraniana a Damasco (attacco in violazione alla basilare regola del diritto internazionale che protegge le ambasciate). L'attacco israeliano, avvenuto il 1° aprile 2024, ha causato 16 vittime. Tra i morti ci sono 7 soldati, 5 miliziani, un combattente di Hezbollah, un consigliere iraniano e due civili. Tra le vittime c'era anche il generale di brigata Mohammad Reza Zahedi, un alto comandante iraniano.
Quindi la sproporzione è evidente fra l'attacco israeliano e la ritorsione iraniana. E ciò nonostante il governo israeliano vuole proseguire nella logica della vendetta.
Il governo israeliano non ha quindi alcuna ragione di vendicarsi per danni che sostanzialmente non ha subito.
La reazione annunciata da Israele riflette una mentalità di vendetta che non tiene conto della proporzione dei danni inflitti.
La ritorsione iraniana, avvenuta il 14 aprile in risposta alla distruzione della propria ambasciata a Damasco, è stata più una dimostrazione di forza che una minaccia concreta per Israele. Nessun cittadino israeliano è stato ucciso durante l'attacco iraniano, e i danni alle strutture militari sono stati minimi.
Amina, la bambina senza rifugio
Unica amara constatazione. Ad essere colpiti da schegge sono stati due bambini di una famiglia beduina in una casa "abusiva" e senza rifugio aereo in territorio israeliano. Amina, 7 anni, è stata colpita alla testa ed è in terapia intensiva. (1)
Questi eventi pongono una domanda cruciale: fino a quando continueremo a rispondere alla violenza con ulteriore violenza? La guerra porta a un perpetuo ciclo di dolore e distruzione. È giunto il momento in sede ONU di rompere questa catena e abbracciare un approccio basato sulla diplomazia. La vendetta non risolve nulla; piuttosto, genera più odio e conflitto. È necessario porre fine a questa logica e lavorare insieme per costruire un futuro di pace. Solo attraverso il dialogo e la cooperazione possiamo sperare di porre fine alle tragedie umane che la guerra porta con sé.
L'estremismo israeliano
Confidiamo che nella società israeliana riescano prevalere quelle forze positive e pacifiche (in molti stanno scendendo in piazza per chiedere le dimissioni dell'attuale governo) che possano indicare un'altra strada per il futuro.
La scelta di scontrarsi con l'Iran è del resto un tentativo di distrarre l'attenzione da Gaza per compiere nell'ombra altri crimini di guerra.
Se il governo di Israele non viene isolato in questa logica di vendetta a tutti i costi, il rischio è che si vada verso un'espansione devastante della guerra nell'area mediorientale, un passo pericoloso verso verso una terza guerra mondiale che potrebbe saldare le tre aree di crisi per ora separate, quella iraniana, quella palestinese e quella ucraina.
Stati Uniti, Cina e Russia in questa situazione stanno tuttavia svolgendo una funzione di oggettiva moderazione. E questa è una timida novità. Perché non approfittare di questa coincidenza?
Con i suoi 7 anni appena e con quel nome che è lo stesso della madre di Maometto, Amina è l'emblema delle vittime bambine della guerra che si combatte nella Striscia di Gaza e che l'attacco di Teheran rischia di allargare. È arabo-israeliana, vive con la famiglia nel deserto del Negev. Sono beduini. La loro abitazione è in forati di cemento con tetto di lamiera, ora in parte distrutto. Senza scantinato né tantomeno un rifugio anti missile come la maggior parte delle case israeliane.
Per altre informazioni https://www.avvenire.it/mondo/pagine/israele-unica-ferita-nell-attacco-iran-amina-bimba-beduina-senza-rifugio
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